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Mauro Garofalo

Comunidade de Sant’Egídio, Itália
 biography

 Il 14 giugno del 2014, oramai più di due anni fa, il prof Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, lanciava un appello per la città di Aleppo. In quel documento  si chiedeva in maniera forte la fine dei combattimenti ad Aleppo, un soprassalto di responsabilità delle potenze coinvolte, sia quelle regionali, come la Turchia, che quelle globali, come la Russia. Si chiedeva soprattutto di trattare senza sosta, e di imporre la pace in nome di chi soffre, anche attraverso una forza di interposizione internazionale che potesse garantire una tregua e soprattutto l’assistenza urgente per i cittadini stremati dall’assedio. In molti hanno aderito a quell’appello. In migliaia lo hanno firmato on line sul sito della comunità di Sant’Egidio. Molte anche le personalità del mondo politico, accademico e religioso, premi Nobel per la pace, che lo hanno autorevolmente sostenuto 

Cosa chiedeva e chiede ancora quell'appello?
Trattare senza sosta, in nome del popolo siriano e delle sue sofferenze. 
Proprio in questi giorni si cerca faticosamente di implementare il piano russo-americano per la tregua e si assiste ad un effettivo e consistente calo della violenza in tutta la Siria. È forse (lo speriamo tutti) l’inizio di un serio negoziato di pace e di quel lungo processo di transizione che dovrebbe, almeno nelle intenzioni delle due superpotenze coinvolte, dare un nuovo assetto alla Siria. Già si parla di una risoluzione del consiglio di sicurezza a sostegno della tregua. Ieri invece sono arrivate cattive notizie e sono ricominciati i bombardamenti nella zona, oggi assediata, tenuta dai ribelli.
 
Ma viene da chiedersi… come mai dopo cinque anni? Perché si è lasciato un paese di tale importanza in preda agli orrori della guerra.? E se ci guardiamo indietro (5 lunghi anni di guerra, oltre 4 anni di battaglia solo ad Aleppo) quante sono state le pause del negoziato condotto dalle nazioni Unite? Molte e molto lunghe, e i negoziati veri e propri fin troppo brevi, come nel caso di Ginevra II 
 
L’appello Save Aleppo è stato poi rilanciato da Andrea Riccardi e dalla Comunità di Sant’Egidio in numerose occasioni, fino ad oggi. 
Si potrebbe chiedere,  ed in effetti ci è stato chiesto: 
 
Perché proprio Aleppo? Perche non Homs, o Daraa, o Kobane, o Hassake? Sono davvero poche in fondo le città siriane non toccate dalla distruzione della guerra
Ci sono molte risposte a questa domanda. 
 
La bellezza della città
Si è a lungo sottolineato come la guerra in Siria abbia distrutto irrimediabilmente un patrimonio archeologico e artistico inestimabile. Le immagini del crollo del minareto della grande moschea …..le immagini delle architetture di Palmira fatte saltare da Daesh.
Questo è particolarmente vero per la città di Aleppo, città bellissima, dichiarata patrimonio mondiale dall’UNESCO. 
C’è però un altro patrimonio irrimediabilmente distrutto, quello del complesso tessuto della società aleppina, quello di un luogo che per secoli ha simboleggiato il vivere insieme in Medio Oriente. Aleppo, la città più composita della Siria, dove tutte le minoranze prosperavano (e non é forse un caso che fosse la città più prospera economicamente), la città dei  trecentomila cristiani, cristiani di tutte le denominazioni. La terza città cristiana del medio oriente. Città approdo e rifugio per i cristiani. Gli armeni, fuggiti dal Metz Yegern, avevano trovato in Aleppo accoglienza, i siriaci di Seifo e tanti altri ancora. 
Quanti cristiani sono rimasti oggi? Quelli che non sono potuti fuggire, poche migliaia, difficile dirlo. 
Aleppo però non è un dramma solo cristiano: ha detto Riccardi: “La comunità cristiana soffre molto, ma soffrono anche molto i musulmani. La Siria non è solo un dramma cristiano, ma è anche un dramma cristiano. La perdita dei cristiani è un danno irreparabile per lo stesso islam e lo si vedrà nei prossimi decenni” (fine citazione).
 
Dunque Aleppo una città dove si imparava a vivere insieme, si imparava l’arte del dialogo.
Per noi di Sant’Egidio questa storia prende i tratti dei volti di Mar Gregorios Ibrahim e Paul Yazigi. Pastori della Chiesa di Aleppo. Volti familiari al popolo dello Spirito di Assisi, amichevoli per la comunità di Sant’Egidio. Mar Gregorios era qui, nel 1986, nella prima preghiera per la pace voluta da Giovanni Paolo II: Aleppo, i suoi pastori sono protagonisti dello spirito di Assisi, compagni di cammino di tutti noi. 
Purtroppo di loro non sappiamo nulla da molto, troppo tempo. Ed è assai probabile che Mar Gregorios fosse impegnato in una azione di negoziato per liberare dei cristiani quanto fu rapito da gruppi armati.
 
Torniamo all'appello 
Perché un appello per Aleppo solamente e non per un accordo globale? 
C'è stato un momento in cui l'appello Save Aleppo è divenuto proposta delle nazioni unite, era il 2014 e, proprio in quella occasione,  questa obiezione fu posta dall’allora presidente del consiglio nazionale Siriano.
C’è una risposta legata al conflitto. Aleppo è la capitale del nord, e allo stesso tempo è la città più popolosa e più ricca del Paese. 
Conquistarne una parte è stata la vittoria più importante della rivoluzione. Stringerla nuovamente d’assedio, come in questi ultimi due mesi, interrompere la Castello Road, è stato il segno chiaro di una rivincita delle forze del regime. 
Cosi importante che la conquista di ogni casa fa notizia. 
Tutti quelli che combattono in Siria combattono anche ad Aleppo. Ogni milizia, ogni gruppo armato è rappresentato. I curdi dello YPG, gli hezbollah, le guardie della rivoluzione iraniane, le milizie sunnite legate ad Al Nusra, che oggi ci viene spiegato ha cambiato nome, Harar Al Sham, il Free Syrian Army declinato in decine di sigle diverse, l’esercito di Assad, e non meglio precisate forze speciali. Tutti combattono ad Aleppo. Anche Daesh è presente (nel momento di massima espansione lo stato islamico ha lambito la periferia nord occidentale della città, ed è riuscito ad effettuare le sue macabre manifestazioni ad uso e consumo dei media).
La popolazione da 4 anni è ostaggio di questa complessa geografia bellica.
CITAZIONE BORRI: “le milizie sono così vicine tra di loro che si preferisce bombardare la popolazione”
Le tregue poi sono possibili anche in questa guerra. Lo abbiamo visto a Homs, a Zabadani e in altre località minori. 
Infine ci si è domandato che senso avesse  lanciare un appello in una guerra così complessa dove la comunità internazionale, le Nazioni Unite, hanno dimostrato così chiaramente la loro impotenza?
Gli appelli non sono mai vani! 
Ha detto il Vice Ministro GIRO recentemente su Huffington Post, cito: “Dopo tutti questi anni di guerra, tutto è molto difficile: sembra che le voci di pace siano troppo deboli. Ma la complicatezza del conflitto e le oscurità dei suoi protagonisti sul terreno, non possono essere una scusa per non occuparsene, per non parlare. Lo sappiamo da sempre, certamente dalla Seconda guerra mondiale: il silenzio contribuisce a uccidere. Quanti massacri si sono compiuti nel silenzio, che diviene complice, dei tanti che pensavano non ci fosse nulla da fare perché era troppo difficile? L'impotenza sembra dire che non c'è nulla da fare, ma non è esatto: qualcosa da fare c'è sempre. Non si può cedere all'intimidazione del silenzio. La Siria non può più aspettare.” (fine citazione).
 
Senza contare che parlare aiuta a demistificare
Valore della demistificazione 
Lo ripete papa Francesco, quando ha ricordato: «Quando parlo di guerra, ne parlo sul serio, ma non si tratta di un conflitto religioso, perché tutte le religioni vogliono la pace. Qui si tratta di guerre fatte per interessi, soldi, risorse, dominio di popoli».
Parlare, ci aiuta a non semplificare e a non cedere alla retorica dell'odio e dello scontro, ci aiuta a non chiudere gli occhi.
 
L’indignazione mediatica e quella di Piazza. Cedere alla retorica dell’Odio.
 
La comunità di Sant’Egidio non si è limitata agli appelli. C’è il lavoro di consultazione ad ogni livello, di advocacy per la città di Aleppo. Questo è cominciato anche prima dell’appello per Aleppo, con la lettera ai capi di stato del G 20 nel 2013
E la proposta di fare di Aleppo una città libera dai combattimenti, una città aperta, è stata anche assunta dall’inviato speciale ONU de Mistura, il terzo ad occupare quella posizione in questi anni di guerra, senza che però potesse concretizzarsi sul terreno.
Hanno trionfato le logiche belliche, anche quelle molto piccole, hanno trionfato gli antagonismi regionali e globali.
Permettetemi un’ultima riflessione.
Aleppo come Sarajevo?
In molti hanno azzardato questo paragone. L’agonia della capitale bosniaca suscitò intense reazioni nel mondo: 
il tunnel, le stragi al mercato. Ricordiamo la missione dei pacifisti italiani che addirittura  ottennero un breve cessate il fuoco in occasione della loro visita lampo in città. Proprio qui, nel 1993, Giovanni Paolo II volle una preghiera per i Balcani divorati dalla guerra.
Aleppo ha tristemente superato Sarajevo in ogni senso, per la durata dell'assedio, per il numero delle vittime -di tre volte più grande ma forse non lo sapremo mai con esattezza- la distruzione della città. Eppure...
Aleppo ha suscitato meno interesse che Sarajevo 
Aleppo ha suscitato meno sdegno della guerra in Irak.
Dove sono i milioni scesi in piazza per l’Irak e per i Balcani?
È una domanda amara.
C'era  bisogno di compromesso tra posizioni irriducibili. Gli americani e i russi potevano trovarlo. Si poteva fare prima. Speriamo che si faccia presto. 
Ma il rito della diplomazia internazionale, in questo mondo globalizzato, si è dimostrato inefficace perché prigioniero di interessi di parte. A nessuno è interessato veramente salvare la Siria e Aleppo. Per questo oggi la società civile non può permettersi di rimanere inerte in attesa. I cittadini possono fare molto e c'è un interesse per la pace che deve rinascere ed essere comunicato.