Deel Op

 È un onore per me parlare in questo panel che ritengo importante e vicino alla sensibilità e all'impegno   per la pace e il dialogo tra i popoli che guida la Comunità di Sant'Egidio in diverse regioni del mondo. La pace, questo bene prezioso dell'umanità, è minacciata da ogni lato, una parte importante del mondo è oggi in fiamme, diviso. Oggi vediamo il deficit di un mondo che non ha investito molto sul vivere insieme e che si è abituato alla malattia della violenza e della guerra. 

 
Le donne hanno storicamente svolto un ruolo prezioso nel mediare e rifiutare la guerra. Sono le prime in tutti i conflitti a subire le conseguenze e le prime a chiedere la pace per le loro famiglie e il loro popolo. A volte con manifestazioni pubbliche di rifiuto della violenza, contro il potere detenuto dagli uomini, come nel caso più recente del Sudan, dove gran parte del merito della rimozione di al-Bashir va a loro, alle donne sudanesi, che hanno svolto un ruolo di primo piano nelle rivolte diventando protagoniste del movimento nato per rovesciare pacificamente un regime che da 30 anni opprimeva il proprio popolo. O il caso delle “donne in bianco” liberiane guidate dal premio Nobel Lemah Gbowee. Resta incontestabile il fatto che le donne subiscono le conseguenze negative del conflitto in modo diverso dagli uomini e gli effetti nefasti di guerre che per lo più non combattono. Tuttora identificate come “categoria vulnerabile”, le donne rappresentano la grande maggioranza dei rifugiati e degli sfollati, delle vittime di mine e armi leggere, sono più gravemente penalizzate dalle conseguenze dell’applicazione delle sanzioni economiche. Nella memoria e nello sguardo delle donne, la guerra emerge innanzitutto come violenza e talvolta purtroppo come violenza sessuale, ma porre l’accento sulla vulnerabilità femminile rischia il distogliere l’attenzione dalla capacità di ripresa delle donne: le vittime non sono più soltanto tali se assumono un ruolo attivo e diventano soggetti della pace, delle lotte e della riconciliazione. 
 
Papa Francesco una volta ha detto che “senza le donne il mondo sarebbe sterile” questo è profondamente vero e ce ne accorgiamo, perché tanta violenza contro le donne, tanta sopraffazione, sono un attacco alla vita e al futuro, e rendono sterile la vita dei nostri paesi.
 
Dio nella Scrittura, e in particolare nell’Antico Testamento, ha uno sguardo attento alle donne povere e sterili. Sara, Rachele, Rebecca, Lia, che potremmo definire le “matriarche” di Israele sono tutte donne sterili, che non possono avere figli, e quindi considerate dalla società come “abbandonate da Dio” o maledette. Con Giuditta, Debora ed Ester, ci troviamo di fronte a donne che, attingendo forza da Dio, salvano il popolo di Israele in momenti in cui ai capi responsabili viene meno il coraggio. Eppure è proprio attraverso di loro che Dio costruisce la storia della salvezza rendendole feconde. E così è la storia di Raab la prostituta che accoglie le spie di Israele. Nella storia della Chiesa, sull’esempio di Maria di Magdala, che la mattina di Pasqua ha svegliato gli apostoli dal loro letargo e li ha messi in moto, le donne hanno mosso molto. 
 
Molto spesso, tutto accade in silenzio, ma non ha meno effetto: la resistenza delle donne alla guerra è profonda, presente nell'esperienza umana e nelle diverse tradizioni culturali e religiose, ed è sentire con il tempo. Le loro lacrime esprimono disperazione ma sono segno anche di un umanesimo che non accetta la violenza e la guerra e spesso si fa richiesta a Dio di pace. La scelta della resistenza alla guerra si presenta, per molte, come volontà di superare gli orrori e la tragedia attraverso la costruzione di un contesto e di società più umane e integrate. In molti angoli del mondo, lottano giorno per giorno per creare le condizioni culturali e politico-sociali perché la pace sia possibile.
 
Il grande filosofo e teologo ortodosso russo Evdokimov, nel suo libro "La donna e la salvezza del mondo" dice: «Più interiorizzata, più legata alle radici, la donna si sente subito a proprio agio nei limiti del suo essere e si sforza di utilizzare i propri doni per creare una sinfonia chiara e limpida della sua persona. Riempie il mondo della sua presenza dal di dentro. (...)La donna umanizza e personalizza il mondo (...). Difende sempre il primato dell'essere sulla teoria». 
 
La Comunità di Sant’Egidio ha sperimentato la forza di pace delle donne in molte situazioni. Ma forse ce n'è uno, in particolare, che può essere interessante per la nostra riflessione perché ha accompagnato precisamente un processo di pace concreto. Sto parlando del Mozambico, paese che - come sappiamo - dopo più di due lunghi anni di negoziati, Sant'Egidio è riuscito a ottenere la firma di un accordo di pace il 4 ottobre 1992. Ma è stato necessario proteggerlo, per far crescere la convinzione di pace all'interno della popolazione. In questo impegno, il ruolo delle donne si è manifestato chiaramente e ha avuto un impatto concreto. È emerso in particolare grazie al programma DREAM per la cura e la prevenzione dell'AIDS, una pandemia che si è aggiunta alle terribili conseguenze di un conflitto che aveva causato un milione di morti. DREAM, che è presente oggi non solo in Mozambico, ma in altri dieci paesi africani che coinvolgono due milioni e mezzo di persone, si basa non solo sul lavoro di medici e sanitari ma anche su una fitta rete di donne attiviste. Donne originariamente accasciate su sé stesse, malate di AIDS con la frustrazione di non poter più contribuire alla famiglia, in preda a sensi di colpa per essersi ammalate, ma anche segnate dall’emarginazione e dall’abbandono. Queste donne sono divenute testimonial di riscatto umano, sociale, intellettuale. È la storia delle migliaia di attiviste di Dream in Africa. Talune di loro sono letteralmente passate, dall’agonia su una stuoia sopra la nuda terra al protagonismo pubblico di battaglie civili condotte insieme a capi di governo. Donne tratte da esistenze anonime hanno trovato il coraggio di sconfiggere lo stigma ovvero di rompere le catene del più vile conformismo sociale, per studiare e acculturarsi. 
 
Oltre a intraprendere azioni decisive nell'educazione alla salute, queste donne testimoniano con il loro impegno molti altri aspetti della vita come cibo, igiene. In un mondo venato di subcultura magica diffondono una educazione sanitaria scientifica e, soprattutto, proteggendo i soggetti più deboli, si aprono, in ambienti difficili e violenti - come spesso accade anche nell'ambiente familiare - nuovi mondi di pace. Negli anni, il loro ruolo è diventato sempre più pubblico e molte di loro ora intervengono nei dibattiti televisivi e alla radio, sono invitate in consessi internazionali per portare la loro testimonianza. Pertanto, dal Mozambico, e non solo, le principali vittime dell'AIDS, le donne sono diventate attori in una liberazione più globale dalle società africane in cui vivono. 
 
Nel 2009, il ministro della Sanità mozambicano di quell’epoca, decise la chiusura dei day-hospital di quanti, curavano malati di AIDS nel paese, trasferendo d’imperio masse di pazienti sieropositivi nella sanità pubblica residenziale. Il risultato fu catastrofico, migliaia di malati abbandonarono la cura, altri iniziarono a curarsi con discontinuità, e lo stigma anziché diminuire aumentò nella società. Davanti a una situazione disastrosa le attiviste di Dream decisero di organizzare manifestazioni di protesta in tutte le città del Mozambico cui parteciparono decine di migliaia di persone. Potenza delle donne: nel 2010 il ministro della Sanità fu rimosso e i day-hospital ripresero a funzionare. Fu un atto coraggioso, al tempo in Mozambico, chiunque fosse sceso in piazza poteva essere considerato un sovversivo, un simpatizzante per l’opposizione. Ma simili raduni di migliaia di malati e loro familiari in nome di cure dignitose, simili masse di donne di ogni fede, persone fragili non potevano essere oggetto di repressione violenta. L’opinione pubblica nazionale fu scossa da questo esercizio di cittadinanza inaudito in Mozambico. Queste donne escluse da elementari diritti umani hanno sperimentato un empowerment, hanno creato una società civile, dove non esisteva, aggregando intorno a DREAM un movimento politico e culturale. Sono donne che scoprono le virtù civiche e costituiscono in Africa una società civile mai prima esistita. Sono, incredibilmente, le stesse persone che l’HIV/AIDS elegge a sue prime vittime. Infatti, le donne africane sono più a rischio degli uomini di contrarre il virus, a causa della loro inferiorità sociale nella gran parte dei contesti e del minore accesso ai servizi di prevenzione e cura, mentre sono schiacciate dal mantenimento di famiglie numerose, da lavori usuranti, dalla prepotenza maschile. Eppure sono loro a dare le maggiori speranze all’Africa perché sanno lottare e perseverare. Molte di loro, non si limitano all’aiuto agli altri malati e alla lotta contro lo stigma e per i loro diritti, ma sentono il debito di una vita ridonata con una nuova dignità, si sentono chiamate a prendersi cura dei più indifesi: dei poveri, dei deboli, degli ammalati, dei bambini, degli anziani, dei carcerati. Ogni giorno edificano la pace per i loro paesi, costruendo la società civile e lottano per il diritto alla vita e alla salute non solo propria ma anche dei più piccoli. Questa esperienza non riguarda solo le donne malate di AIDS, ma anche le centinaia di attiviste coinvolte nel Programma BRAVO! di Sant’Egidio. Un programma per la registrazione anagrafica in Africa iniziato nel 2008 e che a oggi ha registrato più di 4 milioni di persone in quattro paesi africani. Una grande operazione anche culturale, per la quale le attiviste si spendono non solo per dare informazioni alle madri sulle procedure della registrazione allo stato civile nelle maternità, nelle scuole, nei villaggi più remoti, ma soprattutto per combattere un aspetto strettamente connesso ad essa, quello della prevenzione della tratta dei minori e degli abusi.
 
Sono giovani donne che si impegnano con il loro lavoro a far crescere il proprio paese e a diffondervi una nuova cultura. Esse si coinvolgono nella costruzione di nuove società in cui vengano riconosciuti i diritti dei bambini e per far germogliare la consapevolezza di tali diritti nella popolazione e particolarmente fra le donne.
 
Un aspetto peculiare del lavoro delle attiviste di Bravo! è quello della promozione della donna. In particolare quelle più in difficoltà, che vivono in ambiente rurale, ai margini, spesso sole e senza istruzione, nel dialogo con le attiviste, scelgono di far esistere i propri figli e allo stesso tempo maturano una coscienza del proprio ruolo e dei propri diritti nella società. 
 
Ma non solo in Africa, in tutto il mondo dove ci sono comunità di Sant’Egidio, le donne sono protagoniste di processi di ricostruzione ed educazione alla pace. Per esempio nelle migliaia di Scuole della Pace, luoghi che si qualificano come un ambito familiare che sostiene bambini e adolescenti nell'inserimento scolastico, di aiuto alla famiglia nel suo compito, proponendo un modello educativo aperto agli altri, solidale verso i più sfortunati, capace di superare barriere e discriminazioni. Ma anche le tante giovani donne che sono l’anima del movimento internazionale Giovani per la Pace in molte città del mondo che aiutano in modo concreto i poveri e promuovono una cultura dell’amicizia e della solidarietà. Un grande lavoro di educazione alla pace che opera una trasformazione delle strutture sociali, politiche, culturali, economiche che impediscono la giustizia e l’uguaglianza combattendo le più gravi forme di violenza strutturale, a cominciare dai fenomeni di analfabetismo, denutrizione e esclusione.
 
Nell’incontro con la Comunità di Sant’Egidio, molte donne trovano amicizia, solidarietà tra donne, sostegno. Trovano quelle energie spirituali e materiali che rompono l’isolamento e le trasformano in ambasciatrici di salute, educazione, di emancipazione, di uguaglianza, di democrazia. Diventano portatrici di una nuova cultura che costruisce la pace.
 
Gli ebrei parlano di Tikkun Olam, che vuol dire riparare il mondo preso dal caos. Negli angoli del mondo, laddove gli ambienti si lacerano, queste donne riparano le solitudini e rammendano la vita con la loro presenza. È un lavoro paziente e quotidiano, che risana le fratture e costruisce ponti nelle solitudini, che disegna società inclusive, che integrano e accolgono soprattutto i più deboli. Il nostro mondo malato di violenza, ha bisogno di donne forti, di donne di fede. 
 
Papa Francesco in occasione della festa delle donne l’8 marzo 2019, ha dichiarato "La donna è colei che fa bello il mondo, che lo custodisce e mantiene in vita. Vi porta la grazia che fa nuove le cose, l'abbraccio che include, il coraggio di donarsi. La pace è donna. Nasce e rinasce dalla tenerezza delle madri. Perciò il sogno della pace si realizza guardando alla donna. La donna è centrale contro l’odio e per tutelare la vita, il suo contributo è insostituibile nel costruire un mondo che sia una casa per tutti. Se sogniamo un futuro di pace, occorre dare spazio alla donna”.
 
Vivere per gli altri è un argine alla violenza, alle divisioni, alla paura, all’autoreferenzialità del nostro mondo. Investire sulle donne non è una questione “ideologica” o femminista, ma di cambiare una cultura con la forza del Vangelo. Le sfide sono molte. In un mondo di violenze e guerre, le donne possono svolgere un ruolo importante di pacificatrici, creando reti di prossimità, di unità e riconciliazione, dando un contributo fondamentale alla crescita delle nostre società e influenzando i processi in corso a livello politico, sociale e di sviluppo. Non si tratta semplicemente di dare un po’ più di responsabilità, ma di suscitare un movimento popolare che partendo dalle donne possa originare una corrente di umanità che cambia il volto del mondo, in un mondo di pace.