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Nei tre giorni del nostro convegno abbiamo camminato con passo spedito. Un vasto insieme di conoscenze ed esperienze – che saggi leader religiosi e spirituali ci hanno esposto e che è il risultato dello studio e della pratica di vita – ha arricchito il nostro pensiero.

La nostra mente si è aperta a nuovi orizzonti dinanzi ai principali problemi del mondo e si è accresciuta la nostra sensibilità verso il dolore e l’ingiustizia delle nostre società.

Giunti al termine dei nostri giorni di incontro e di questa cerimonia conclusiva, siamo coscienti delle nostre responsabilità per l’instaurazione della pace sulla terra e perché prevalgano la giustizia e la libertà fra le nazioni.

Indubbiamente viviamo in tempi difficili. Dal 1945 e dall’apparire delle armi nucleari, l’umanità è entrata in una nuova fase della sua storia: l’età del nucleare. Per la prima volta nella storia siamo in grado di estinguere la civiltà umana nella sua totalità. Non stupisce che la gente da ogni parte del mondo aneli alla pace.

La pace è considerata un deterrente tra le potenze mondiali contemporanee con le loro armi nucleari, appesa al filo sottile del delicato equilibrio sul possibile innesco di una distruzione di massa. Questa concezione tecnocratica della pace è fondata sulla paura e la diffidenza. Ma non è questa la visione religiosa della pace. La pace è più della semplice assenza di guerra o di minaccia di guerra.

Sin dall’epoca romana, i popoli hanno prestato fede al motto “Si vis pacem, para bellum”, vale a dire: se desideri la pace, prepara la guerra. Ma nel mondo attuale c’è bisogno di un nuovo principio: “Si vis pacem, para pacem”. Se desideri la pace, prepara la pace. Cerca i principi sui quali essa si fonda e sforzati di ottenere che tutti li facciano propri. Quando la semplice pressione di un tasto è sufficiente a farci tornare all’Età della pietra, gli uomini, almeno gli uomini di Dio, non possono preparare la Guerra.

Naturalmente la ricerca della pace non deve essere solamente il risultato della paura della guerra, non può avere solo un punto di partenza negativo. La pace, vista positivamente, è un beneficio supremo per l’umanità.
Non parliamo qui solamente dello sviluppo letterario e artistico, ma della prosperità materiale e del progresso scientifico in tempi di pace. Anche la ricerca della pace ha risultati positivi. Favorisce l’avvicinamento delle persone e una maggiore comprensione reciproca, porta ad una valutazione più profonda dei problemi dell’umanità e ad affrontare tutti i problemi con un rinnovato senso di responsabilità. Tutti i cercatori di pace sperimentano un rinnovamento spirituale della loro esistenza e del loro progetto di vita.

L’impegno per la pace e di conseguenza per la giustizia, la fraternità e la libertà, non conosce limiti e frontiere, né restrizioni religiose o confessionali. E’ questa la causa che ci ha unito in questi tre giorni: cristiani, musulmani, ebrei, induisti, buddisti, uomini di tutte le fedi. Forse non tutti crediamo nello stesso Dio, gli stessi cristiani forse non Gli attribuiscono le stesse qualità – e questo incontro non sminuisce la fede di nessuno, come non porta ad alcun tipo di comparativismo – ma come persone, avendo la stessa natura, siamo ugualmente sensibili verso i grandi problemi dell’umanità.
E’ una convinzione comune a tutti che la sorgente della pace è Dio. Ma è anche comunemente acquisito che essa non è solo un dono esterno che viene da Lui, bensì il risultato degli sforzi degli individui e dei popoli.

Oggi, mentre la facilità di spostamento di gente di ogni razza e provenienza attorno al pianeta e i moderni mezzi di comunicazione hanno trasformato il mondo in un villaggio, e ora che i nostri paesi e le nostre città sono diventati multiculturali, non ci sono più scuse per ignorare la pace.
L’incontro dei popoli deve portar alla comprensione e al rispetto dei diritti di tutti gli uomini e di tutte le donne e all’instaurarsi di una vera pace.

Ecco perchè noi qui a Cipro non possiamo tollerare l’ingiustizia e la violazione dei diritti umani. Nel XXI secolo mentre l’Europa è unita, Nicosia è divisa dal muro dell’occupazione. Mentre i visti per viaggiare sono stati aboliti ovunque e ognuno ha il diritto di stabilirsi nel paese desiderato, noi non abbiamo il diritto di fare ritorno alle nostre case e alle nostre proprietà da cui siamo stati mandati via a forza. Mentre l’insediamento di stranieri è considerato dal mondo civile un crimine di guerra, la Turchia ha proceduto barbaramente e impunemente a spostamenti di coloni nelle nostre terre. E mentre l’umanità è orgogliosa della propria eredità culturale, frutto dell’impegno delle generazioni precedenti, oltre 500 chiese, castelli e teatri, testimoni della nostra presenza ininterrotta a Cipro da 35 secoli vengono sistematicamente distrutti. Ci può essere pace in queste circostanze? E’ forse questa la pace di cui abbiamo parlato per tre giorni?

Ci appelliamo all’umanesimo di voi tutti. Ci appelliamo ai vostri sentimenti religiosi. Esercitate la vostra influenza ovunque potete: presso i governanti dei vostri paesi, presso i luoghi dove si prendono decisioni a livello internazionale, perché anche noi possiamo trovare giustizia e la pace possa finalmente giungere in questa terra da troppo tempo sofferente. Noi non auguriamo a nessuno di patire un’ingiustizia. La pace, come l’abbiamo descritta qui, è la coesistenza della libertà di uno con la libertà di tutti gli altri.

Siamo convinti che non resterete sordi a questo appello, e per questo vi ringraziamo fin da ora. Sono stati la vostra passione e il vostro desiderio di pace a condurvi fino a qui, sopportando il disagio del viaggio e di un programma particolarmente intenso.

Concludendo ufficialmente questo incontro e valutandone positivamente i risultati, vi ringraziamo per la vostra partecipazione. Vi auguriamo un pronto ritorno alle vostre case, e di poter mettere in pratica quel che abbiamo ascoltato in questi giorni.
Attendiamo con impazienza il prossimo incontro del 2009.

Grazie.