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Nikolaj

Bishop, Ukrainian Orthodox Church
 biografie
Eminenze,
Eccellenze, cari padri, fratelli e sorelle,
Egregi membri della Comunità di Sant’Egidio!
 
È difficile e allo stesso facile parlare di pace quando nel tuo paese c’è la guerra. È facile perché il cuore anela alla pace e ogni discorso sulla pace dà speranza. E la speranza nella pace e la fede nell’arrivo della pace ci aiutano sempre a superare le prove. 
 
Nel paese da cui vengo, l’Ucraina, c’è ancora la guerra. La nostra Chiesa ortodossa ucraina sta vivendo il conflitto insieme alla sua gente, che si è ritrovata da entrambi i fronti delle barricate. Solo la Chiesa si è ritrovata su due fronti. Nel nostro caso la Chiesa è davvero un ponte, dal momento che nel nostro paese non è rimasta alcuna forza o struttura che si trova su entrambi i fronti e che, con la propria presenza, possa operare da ponte che unisce e concilia le due parti in conflitto.
 
Il nunzio apostolico in Ucraina, l’arcivescovo Claudio Gugerotti, dopo il suo primo viaggio nelle zone del fronte, in Ucraina orientale, e dopo la visita ad entrambi i territori, controllati e non controllati dall’esercito ucraino, ha notato un dettaglio molto importante. Il nunzio ha raccontato in un’intervista “Il segno che mi ha maggiormente colpito è che sono stati distrutti tutti i ponti. Quando i ponti vengono distrutti non ci sono più vie per comunicare”.
 
Continuando questa immagine, vorrei raccontarvi due storie che nascono dall’esperienza della nostra Chiesa e che riguardano la costruzione di ponti e il ripristino dei rapporti tra le persone. 
 
Il primo esempio viene da un episodio che ha vissuto un nostro vescovo in Ucraina orientale, l’arcivescovo di Severodonezk e Starobel’ Nikodim. Il territorio della sua diocesi si è ritrovato diviso dal conflitto. Una parte delle parrocchie della diocesi è rimasta nelle zone controllate dall’esercito ucraino, un’altra parte in quelle non controllate da esso. All’inizio della guerra, nell’estate del 2014, il vescovo è andato a visitare con una parte dei fedeli della sua diocesi le parrocchie che si trovavano dall’altra parte della linea del fronte. Per raggiungerle hanno attraversato un ponte che univa le due rive di un fiume, sulla linea del fronte. Poco dopo che avevano attraversato il ponte, in quello stesso giorno, il ponte è stato fatto saltare in aria. Il vescovo, insomma, era stato l’ultimo ad attraversare il ponte per andare a visitare i fedeli dall’altra parte. Dopo alcuni mesi, dopo la fine delle operazioni di guerra in quella zona, il ponte è stato ricostruito e il primo che lo ha attraversato è stato proprio il vescovo Nikodim, che lo ha benedetto all’inaugurazione. Questa storia è molto simbolica: una persona consacrata ha ricostruito e benedetto i ponti di comunicazione distrutti tra la gente. 
 
“Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza” (Is 52,7) – questa storia mi ha fatto ricordare tali parole delle Sacre Scritture. 
 
La Chiesa è chiamata ad essere un ponte di pace. Il ponte unisce le parti, il ponte non appartiene ad una di esse, ma a tutte e due. È importante notare che le persone volevano attraversare quel ponte, incontrarsi, parlare. Prima di costruire nuovi ponti è importante non distruggere quelli esistenti. 
 
E ora, cari partecipanti a questa tavola rotonda, vorrei raccontarvi una seconda storia della vita della nostra Chiesa, che proviene anch’essa da una diocesi orientale che si è ritrovata nel teatro degli scontri.
 
Nell’Ucraina orientale c’è un grande monastero, molto famoso, la Lavra di Sviatogorsk. Quando è iniziata la guerra in questo monastero sono arrivati molti profughi dai territori del Donbass. La città di Sviatogrosk prima del conflitto contava 3000 abitanti. Dopo l’inizio delle operazioni belliche si sono riversati sulla città circa 30.000 profughi. Molti di essi vivevano nel territorio del monastero, dove erano stati accolti e a cui veniva dato da mangiare.
 
Il monastero è anche un luogo di pellegrinaggio. Nel 2014, durante la festa dell’Icona della Madre di Dio di Sviatogorsk, è arrivato alla Lavra un pullmann di pellegrini da Rovno, una città dell’Ucraina occidentale. Quando i pellegrini sono andati via, i profughi del Donbass che vivevano nel monastero sono usciti per accompagnarli. Queste persone si sono messe in circolo e hanno iniziato a condividere i loro dolori. I profughi del Donbass hanno raccontato delle loro sofferenze: qualcuno aveva avuto la casa bombardata, a qualcuno erano stati trucidati i familiari sotto le bombe… I pellegrini dall’Ucraina occidentale, a loro volta, hanno raccontato le loro sofferenze: qualcuno aveva visto il figlio soldato tornare dal fronte in una bara, qualcun altro aveva perso un parente nel conflitto…
 
Queste persone hanno condiviso il loro dolore, hanno pianto insieme. Poi i pellegrini sono ripartiti e i profughi li hanno salutati da lontano. Tra queste persone non si era registrata inimicizia e divisione, al contrario c’era stata comunione, lacrime e abbracci.
 
Così la Chiesa, nel nostro paese, è diventata un luogo dove le persone comuni di incontrano e dialogano. I fedeli si ritrovano nella stessa Chiesa, benché vivano in opposte barricate. In questo senso la Chiesa rimane uno spazio di dialogo e di incontro tra gente semplice, ma credente. 
 
In questo ritengo che la vostra Comunità di Sant’Egidio sia un importante ponte di comunicazione e di pace. In particolare, a Kiev, la vostra Comunità unisce persone di confessioni differenti, anche ortodosse, nel servizio ai poveri. Credo che proprio il servizio comune dei cristiani a chi si trova nella povertà, o soffre per la guerra, o attraversa altre prove, crei ponti di fiducia tra la gente. E le persone che si fidano e credono le une nelle altre non si faranno mai la guerra!
 
Grazie per l’attenzione.