Teilen Auf

Paola Pizzo

Community of Sant’Egidio, Italia
 biografie

È significativo parlare di dialogo tra Oriente e Occidente a Madrid e in Spagna, dove l’incontro tra le due civiltà si è stratificato nella storia della città e dei paesaggi. 

Oriente e Occidente sono due mondi diversi e inconciliabili per certi versi, ma sono anche interconnessi per fascinazioni e debiti reciproci, per un canale spirituale di comunicazione che talvolta ha seguito percorsi carsici, ma che non si è mai interrotto ed è riemerso, ad esempio, nella sintonia con cui papa Francesco e il Grande Imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, affrontano i problemi del nostro tempo.

Mettere a tema nuovamente questo dialogo è frutto di un incontro di qualche anno fa al Cairo. Ahmad al-Tayyeb in una conversazione amichevole con alcuni amici di Sant'Egidio, attorno ad una accogliente tavola in stile orientale, propose una riflessione sulla necessità di avviare un confronto, non solo tra islam e cristianesimo, ma tra l'Oriente e l'Occidente nel loro complesso. C'era bisogno, sosteneva, di un cammino che portasse non solo a un dialogo fine a se stesso, ma a un processo di autentica riconciliazione tra la civiltà orientale e quella occidentale per ridurre le tensioni tra queste realtà. 

Ricordando la genesi dell'idea di un confronto tra Oriente e Occidente, Tayyeb ha affermato: "È così che, sulle macerie della frustrazione e dalle nebbie della tristezza per un mondo sull’orlo del disfacimento di civiltà, è scoccata l’idea di un incontro tra “saggi” ben scelti, provenienti dall’Oriente e dall’Occidente, per avviare la disamina di una questione molto ardua [...] nella speranza di giungere ad individuare una via d’uscita o per lo meno a gettare il seme dell’albero della pace che si spera possa portare dei frutti un giorno."

E spiegava che l'Oriente includeva non soltanto la civiltà arabo-islamica, ma anche le altre grandi civiltà dell'Oriente asiatico, come quelle indiana e cinese. Gli amici di Sant'Egidio hanno preso sul serio quella proposta che si è concretizzata nel primo incontro sul tema "Oriente e Occidente. Dialoghi di civiltà" tenutosi a Firenze nel giugno 2015 e poi a Parigi, con il toccante omaggio alle vittime dell'attentato al Bataclan, e infine a Roma, dove il Grande Imam è stato invitato a pranzo dal Papa in un clima di calda cordialità.

I protagonisti di quell'incontro, alcuni dei quali partecipano a questo convegno, erano consapevoli della complessità di definire Oriente e Occidente, realtà indefinite ma che esistono e sono percepite nella vita delle persone così come sono messe alla prova davanti alle sfide della globalizzazione.

Proprio su questo aspetto, Andrea Riccardi ha detto in quell'occasione: "Dialogo richiede di uscire dal proprio mondo e incontrare. Oggi in un mondo difficile, tutti gli universi culturali e le civiltà sono tentati dall’introversione e dalla chiusura: la paura di avventurarsi sui sentieri del mondo". Riccardi continuava ricordando come l'Occidente non fosse soltanto economia e tecnologia, ma anche una civiltà ricca di spiritualità innestata dalla fede cristiana, giunta come una luce dall'Oriente e sviluppata in venti secoli di storia. 

Ma l'anima spirituale dell'Occidente si è nutrita anche della tradizione ebraica radicata in Europa da oltre due millenni cui si è aggiunta di recente la componente musulmana con l'immigrazione. In questo senso la civiltà occidentale non rispecchia la semplificazione che la vorrebbe solo secolarizzata. Ci sono energie spirituali profonde che hanno plasmato la storia europea, si pensi solo al ruolo del cristianesimo nel processo che ha portato alla fine del comunismo in Polonia nel secolo scorso o al ruolo dell'ortodossia nel mondo europeo orientale. 

Oriente e Occidente si delineano come civiltà dalla sedimentazione composita, non riducibili a facili semplificazioni né destinate a scolorire nell'amalgama indistinto della globalizzazione. Anzi, i fenomeni di risorgenza dei nazionalismi e dei particolarismi etnici e religiosi possono essere letti proprio come una reazione alla tendenza ad omologare di una certa globalizzazione. A questo proposito sono chiarificatrici le parole di papa Francesco: "Di fronte al disegno di una globalizzazione immaginata come “sferica”, che livella le differenze e soffoca la localizzazione, è facile che riemergano sia i nazionalismi, sia gli imperialismi egemonici. Affinché la globalizzazione possa essere di beneficio per tutti, si deve pensare ad attuarne una forma “poliedrica”, sostenendo una sana lotta per il mutuo riconoscimento fra l’identità collettiva di ciascun popolo e nazione e la globalizzazione stessa, secondo il principio che il tutto viene prima delle parti, così da arrivare a uno stato generale di pace e di concordia".

Si tratta di una preoccupazione che è stata alla base dell'incontro di Abu Dhabi tra il Grande Imam e Papa Francesco nel febbraio scorso che ha portato alla dichiarazione sulla "Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune". 

Proprio l'incontro ad Abu Dhabi tra il Grande Imam e Papa Francesco ci offre un esempio di cosa possa significare un dialogo tra Oriente e Occidente. Il primo, Ahmed al-Tayyeb, è un esponente di rilievo della grande tradizione islamica sunnita azharita, uomo dell'Alto Egitto, nato a Luxor, terra di antica civiltà. Egli appartiene a una famiglia di mistici musulmani, aderenti alla confraternita Khalwatiyyah, una comunità particolare nel mondo sufi, perché non prende nome dal fondatore, ma da una pratica ascetica dei suoi membri, quella della khalwa, cioè il ritirarsi per alcuni periodi dal mondo per immergersi nella preghiera e avvicinarsi a Dio. Il secondo, il Papa venuto dall'estremo Occidente, dall'altro capo del mondo, come disse nel momento della sua elezione. Un gesuita latino-americano, nipote di immigrati italiani, che prima di essere eletto Papa, non era mai stato negli Stati Uniti né in Africa, ma che vivendo a fondo la sua Buenos Aires, ha imparato a vivere un respiro universale. Si tratta di due persone che esprimono orizzonti religiosi e culturali molto diversi, ma che hanno trovato una sintonia immediata, solo dopo pochi incontri, nel condividere la stessa preoccupazione per l'umanità, specialmente quella più ferita dalle guerre, dalla fame, dai disastri naturali. Davanti a questo, si sono assunti la responsabilità comune di lanciare un appello per la salvaguardia della fratellanza umana lacerata da politiche di divisione e di odio e da un'economia attenta solo al guadagno.

Oriente e Occidente sono universi diversi e di difficile definizione, ma se si analizzano da vicino aspetti particolari dell'uno o dell'altro, si scoprono connessioni e commistioni inaspettate.

Uno dei simboli e dei portati principali della civiltà occidentale è l'idea di libertà, che si è espressa in Europa fin dal Settecento e nel secolo scorso attraverso la lotta contro la dittatura e il totalitarismo.

La rappresentazione simbolica di questa idea fondante la civiltà occidentale è la statua della Libertà a New York. Ma anche in questo monumento che raffigura la libertà conquistata dalla nazione ma anche la libertà dell'iniziativa individuale grazie alla quale tutti hanno diritto a realizzare i propri sogni, ebbene in questo simbolo della civiltà occidentale si nasconde una traccia dell'Oriente. La storia della realizzazione del monumento, infatti, rimanda alle vicende dello scultore e architetto francese Bartholdi che a metà Ottocento rimase folgorato dalla maestosità delle sculture dell'antico Egitto durante un viaggio nel Mediterraneo orientale sulla scia della fascinazione dell'orientalismo in voga a quei tempi. 

Dopo quel viaggio, egli concepì un progetto di statua monumentale per il khedivé d'Egitto Isma'il che doveva essere posta all'imbocco del canale di Suez, da poco realizzato, che univa i due mari, il mare dell'Oriente quello dell'Occidente. La figura femminile che alzava una fiaccola al cielo avrebbe dovuto rappresentare la luce del progresso che, attraverso l'Egitto, giungeva all'Asia.

Quel progetto non si realizzò per le condizioni politiche ed economiche in cui versava l'Egitto di allora, ma i bozzetti rimasero e Bartholdi li ripropose quasi identici per la realizzazione del dono che la Francia intendeva offrire agli Stati Uniti per celebrare l'alleanza franco-americana. In uno dei bozzetti originari, non realizzato, Lady Liberty è raffigurata in cima a un piedistallo a forma di piramide a gradoni, come quelle di Saqqara o Giza, e il riferimento all'Oriente sarebbe stato ancora più visibile. Anche nel monumento più emblematico dei valori occidentali, si trova una traccia della fascinazione dell'Oriente.

Non è questo il luogo per approfondire tutto il discorso della fascinazione reciproca tra Oriente e Occidente che ha il suo culmine nell'Ottocento e si esprime nell'arte, nella letteratura, nella musica  e in tanti altri campi.

Vorrei citare solo l'esempio dell'intellettuale egiziano Rifa'at Rafi' al-Tahtawi, che nel 1826 fu inviato da Mehmet 'Ali come imam al seguito della prima missione di studenti egiziani inviata in Europa per studiare la cultura dell'Occidente. Egli rimase molto impressionato nel conoscere il modo di vita, i luoghi e soprattutto la cultura della civiltà occidentale in tutti i suoi aspetti. Il volume che raccoglie le sue considerazioni su questo soggiorno europeo, noto col titolo "L'oro di Parigi", è ancora oggi ricco di spunti interessanti. Egli può essere considerato uno dei pionieri dell'incontro tra Oriente e Occidente.

Oltre alle fascinazioni, vorrei soffermarmi su un altro aspetto del rapporto tra Oriente e Occidente, quello dei debiti reciproci che esistono a tutti i livelli. Solo per fare qualche esempio, basta osservare che l'idea di città come modalità di convivenza umana strutturata e che sembra così tipica delle società occidentali, nasce in realtà in Oriente. Un esempio tra tanti è la città di Aleppo, ancora oggi martoriata da un conflitto senza senso, che vanta una continuità abitativa di oltre cinque millenni ed è stata oltretutto un ponte che ha unito Oriente e Occidente. Snodo fondamentale per il commercio mondiale in età moderna lungo la via della seta, ha avuto da sempre la vocazione di una città che accoglie e si arricchisce grazie al contributo di uomini e donne di cultura, etnia, religione diversa provenienti sia da Oriente che da Occidente. La storia di Aleppo rappresenta il simbolo della prosperità economica e culturale di una città che ha saputo integrare molteplici identità al suo interno, un modello che una folle guerra ha voluto abbattere assieme al suo minareto dell'XI secolo.

Ma anche Sant'Egidio è debitrice verso l'Oriente e proprio del suo nome. Sant'Egidio infatti era un monaco greco del VII/VIII secolo trasferitosi nella Francia meridionale da dove il suo culto e la sua fama si allargarono a tutta l'Europa, rendendolo un protettore dei deboli e dei malati. È significativo che la Comunità, a pochi anni dai suoi inizi, trovi casa nell'antico monastero dedicato al santo nel quartiere di Trastevere a Roma, raccogliendone l'eredità di preghiera e di attenzione agli ultimi.

Avviandomi a concludere, vorrei raccontare di una "lezione orientale" che ho ricevuto circa un mese fa quando mi trovavo sull'isola greca di Lesbo assieme ad altri amici di Sant'Egidio provenienti da Roma e da altre città europee. Lungo l'estate si sono alternati gruppi di Sant'Egidio nelle isole greche di Lesbo e Samos in segno di amicizia e solidarietà verso i rifugiati ammassati nei campi formali e informali delle isole. Abbiamo organizzato attività per i bambini, fornito integrazioni alimentari, animato feste, gite e momenti di preghiera. La cosa che mi ha toccato maggiormente sono state le visite nelle tende dove abitano le famiglie di rifugiati. In una di queste, siamo stati invitati da una famiglia siriana musulmana di Deir el-Zor che condivide lo spazio esiguo della tenda con altre cinque famiglie, separate da pareti improvvisate fatte da coperte appese. Sono tre fratelli siriani arrivati da pochi mesi con le rispettive famiglie, sei adulti e molti bambini intorno. Giunti solo con i vestiti che avevano indosso dopo un viaggio per mare che ha terrorizzato i bambini, uno dei quali non riesce a parlare più perché traumatizzato dopo un bombardamento in Siria.

Per delicatezza nei nostri confronti ci hanno fatto lasciare le scarpe ai piedi, anche se, come ci siamo accorti, le coperte su cui ci hanno invitato a sedere erano i loro giacigli notturni. Con grande cortesia e dignità, ci hanno preparato del thè non con l'acqua corrente dei rubinetti improvvisati del campo, ma con l'acqua minerale, preziosa perché comprata con i pochi soldi che hanno a disposizione dall'unico negozio che dista alcuni kilometri a piedi dal campo. Dopo ciò si sono anche scusati per questa povera ma dignitosa accoglienza. Il capofamiglia ha detto: "Mi dispiace di dovervi accogliere in queste condizioni, non abbiamo nulla altro da offrirvi. Se foste venuti da noi in Siria vi avremmo preparato una ricca tavola e una degna accoglienza. Per noi accogliere l'ospite è un dovere imperativo". Questa è la lezione orientale dell'accoglienza dell'ospite, anche nella miseria di un campo profughi sovraffollato.

In conclusione, credo che questa storia dia conto di quel tratto comune al quale cerchiamo di dare corpo con i nostri incontri di dialogo tra Oriente e Occidente e che, al fondo, nella sua essenza, rimanda alla lezione antica messa in bocca dal poeta latino Terenzio a uno dei suoi personaggi: "Sono uomo, nulla di umano ritengo mi sia estraneo.