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Jacques Mourad

Syro-Catholic Archbishop, Syria
 biografie
Buonasera a tutti. Il vostro silenzio è già una preghiera, una grande preghiera. Se la preghiera non dà il frutto della libertà interiore, non è una preghiera. Perché la preghiera riceve la rivelazione, e così possiamo capire la volontà di Dio e rimanere in pace. La preghiera è il tempo dell’avvio verso l’alto, verso il profondo. Così posso condividere con voi quello che ho vissuto durante i mesi della prigionia. Ma questa esperienza non è avvenuta così, dall’alto, in un attimo, no, perché avevo un lungo cammino di amore per la preghiera, perché sono stato da quando ero piccolo attaccato alla Chiesa, facevo il chierichetto e questo mi ha permesso di stare molto vicino alla preghiera, al culto, a cantare e lodare il Signore: tutto ciò ha sempre riempito di gioia e di pace il mio cuore. Ma condivido con voi anche un altro momento, che per me ha rivestito moltissima importanza, che mi ha convinto, che mi ha spinto ad impegnarmi ancor più nella vita di preghiera e di meditazione.
 
Era il 2 agosto, forse, del 1988, pregavo a Mar Musa, in questa chiesa in pieno deserto, durante la messa, con molto calore, con trasporto per la pace, perché si ponesse fine alla guerra tra Iraq e Iran. Due giorni dopo ho ascoltato il radiogiornale – il mattino presto ascolto sempre radio Montecarlo, e ho sentito che la guerra tra Iraq e Iran era finita, dopo 10 anni: questo mi ha davvero colpito,. Mi ha convinto ancor più della forza della preghiera. Dico quello che ho vissuto io, so che si è trattato di un lungo cammino prima di arrivare a questa giornata, quindi alla fine della guerra, non è stato certo grazie alla mia preghiera. Però, io l’ho vissuto così, ed è molto importante che ognuno di noi legga tutto questo e lo viva. Perché la vita continua, forse preghiamo mille volte  tutti pregano per la pace e poi ci sono più guerre che pace, ma non significa che smetteremo di pregare per la pace perché è considerato inutile. Non è così. 
 
Quindi, siamo chiamati a credere alla forza della preghiera e questo l’ho approfondito negli anni della mia vita monastica nel monastero di Mar Musa, che è un monastero nel deserto, sulle montagne, dove si vive davvero un tempo di preghiera intensa e di meditazione. È il nostro cibo, il cibo di ogni giorno. E sono stato testimone del fatto che questo modo di vivere, questo stile di vita ha aiutato molti giovani a vivere questa libertà interiore. Perché ognuno di noi, in fondo cerca proprio questo.
 
Adesso posso giungere a questa esperienza nel bagno dove sono stato chiuso per 4 mesi e 20 giorni. Quando sono arrivato in questo bagno, dal punto di vista umano è stata una esperienza inimmaginabile, essere chiuso, essere prigioniero, ostaggio, chiuso in un bagno. Ma al contempo per me è stato un momento di grazia, un periodo di grazia, perché è proprio in quel momento che ho vissuto in simbiosi con Dio, unito a Dio.
 
E questo lo dico per dire anche che, durante quel periodo, ho dimenticato tutte le preghiere, le preghiere che recito ogni giorno, i canti. È stato incredibile davvero. La sola cosa che mi ha accompagnato dal primo istante di questa esperienza di prigionia è stato il rosario. Perché la vergine Maria mi ha fatto sentire che lei era con me, che mi accompagnava.
 
Dal momento che mi hanno preso nella macchina, mi hanno prelevato, mi hanno incatenato, mi hanno bendato, ho sentito la presenza della nostra Madre. È in quel momento che ho cominciato a pregare il rosario, a dire il rosario. E lungo la strada, una volta arrivato alla terza fase del rosario, ho sentito una specie di calore nel cuore, un desiderio di urlare: vado verso la libertà! Come? Non lo so, finora ancora non me ne capacito. Certo, ora capisco, ma in quel momento non capivo cosa volesse dire. 
 
Ogni volta che sentivo che l’odio arrivava, che mi sentivo male, ebbene ogni volta che ciò accadeva volevo che questi rapitori mi uccidessero, che tutto finisse. Veramente ho vissuto dei momenti di disperazione, tutto questo è normale, ma ogni volta che ho trascorso momenti così, quando ho iniziato a dire il rosario, ho iniziato a sentire una incredibile pace nel cuore.
 
E c’è anche altro. Ogni giorno i jihadisti venivano in questo bagno per maltrattarmi, per farmi sentire parole che non avrei mai pensato di dover ascoltare, ma io non ho perso la mia pace interiore. Perché? Perché per me c’era una posta in gioco, che Dio mi ha offerto e mi ha regalato in quel momento. Sono due cose: la mitezza e il sorriso.
 
Quando qualcuno di quei jihadisti entrava e mi maltrattava, io non ho mai smesso di guardare la persona negli occhi e di cercare di trasmettergli questo messaggio. Un messaggio di perdono e di coraggio, perché ogni volta sentivo che non ero io il prigioniero, era lui, erano loro ad essere prigionieri.
 
È questo il mistero che possiamo comprendere: capire quando viviamo nella preghiera, quando ci incamminiamo, compiamo il cammino di preghiera. La libertà interiore è davvero una grazia che ci dà Dio, proprio perché vogliamo essere fedeli al suo amore.
 
C’è un libro che è stato pubblicato un anno fa, di una francese che è anche qui oggi. Questo libro è il frutto di un cammino molto lungo, in Siria, in Iraq, in cui descrive la guerra e i suoi frutti, le conseguenze che sono state terribili: ha visitato tutte le persone, ha vissuto anche con noi. Il libro si intitola “Dio in mezzo alle rovine”. Questa signora non è impegnata in una Chiesa, non ha una vita cristiana tradizionale, ma leggendolo si può toccare con mano l’esperienza della preghiera, che non è una preghiera tradizionale. È l’esperienza della fedeltà umana che va oltre la nostra debolezza e il nostro carattere.
 
Posso dire, quindi, che davvero la preghiera vince il male. Siamo riuniti per parlare di immaginare la pace. Nelle ultime pagine del mio libro, quello che ho scritto nel 2018, grazie all’aiuto di Amaury Guillem, un giornalista, ho condiviso con i lettori una idea che ha davvero bruciato il mio cuore. Un mattino alle 4, della Pasqua del 2016. Io ero a Cori, questo piccolo paesino vicino a Roma, per celebrare la Pasqua con la mia comunità, la Settimana Santa, eravamo due, tre persone molto semplici. Era la mia prima Pasqua dopo la mia evasione. Vicino a Cori c’è la città di Pilato, che ha deciso la crocifissione di Cristo. Lì ho pensato anche all’assenza, al silenzio assoluto riguardo a padre Paolo, del quale non sappiamo nulla fino ad oggi. Per me era difficile, dopo la mia evasione, grazie al musulmano che mi ha aiutato ad evadere, era difficile per me portare questa idea, non era giusto che qualcuno sparisca e non si sappia più nulla di lui.
 
Quindi, avevo tutti questi pensieri e stavamo celebrando questa mattina di Pasqua, il rito della pace. E io ho sentito una chiamata, il modo per sconfiggere tutto questo fiume di male che è sempre presente, ebbene è necessario un fiume di preghiere e di digiuno, che possa dominare nel mondo intero per sconfiggere il male. È così che immagino la pace.