7 September 2015 09:30 | Hotel Rogner
Intervento di Eugenio Bernardini Moderatore della Tavola Valdese, Italia
TRA ACCRA E ASSISI
Poco più di dieci anni fa, nell’estate del 2004, ad Accra in Ghana, l’Assemblea mondiale di quella che allora si chiamava Alleanza riformata Mondiale, approvava un documento intitolato “Confessare la fede in cristo di fronte all’ingiustizia economica e alla distruzione ecologica”.
Il titolo dell’enciclica di papa Francesco è decisamente più breve! Ma tra i due documenti vi siano importanti e preziosi punti di contatto che ci dicono quanto fecondo sia stato il cammino ecumenico su un tema etico centrale per il tempo in cui viviamo e per il destino dei nostri figli e dei nostri nipoti. Sono loro, infatti, che pagheranno ancor più di noi i costi economici, sociali e umani di un atteggiamento di rapina nei confronti del creato.
Tutti e due i testi fanno riferimento a un’idea “forte” dell’ecologia – qualcuno la definisce “deep ecology” – che va oltre i limiti dell’ambientalismo e della difesa degli standard naturalistici del primo mondo e dei paesi ricchi.
“ Crediamo in Dio, creatore e sostegno di ogni forma di vita, il quale ci chiama ad essere i suoi collaboratori nella creazione e nella redenzione del mondo”. § 17
“Crediamo che Dio ha stabilito un patto con la creazione intera (Gen. 9.8-12). Sulla terra Dio ha chiamato alla vita una comunità fondata sulla prospettiva della giustizia e della pace.
“Crediamo che l’economia esiste per essere al servizio della dignità e del benessere della convivenza umana, all’interno dei limiti di ciò che il creato può sostenere.” §22
“Per questo noi rifiutiamo ogni pratica o insegnamento ecclesiastico che escluda dalla propria missione i poveri e la salvaguardia del creato”. §29
Così intesa, l’ecologia scuote le confessioni di fede e le scuole teologiche e determina quella che recentemente [Festival Biblico di Vicenza, 2014] il protestante Jurgen Moltmann ha definito una vera e propria “svolta teologica”:
“La teologia ecologica – ha affermato - non affronta soltanto dei temi ecologici, ma è un mezzo per avviare il rinnovamento della teologia cristiana"
[http://www.festivalbiblico.it/notizia/ITA/22/la-svolta-ecologica-nella-teologia-dimoltmann_1624/].
E tra i corollari questa teologia ecologica vi è che essa è naturaliter ecumenica.
CASA COMUNE O TORRE DI BABELE?
Un’espressione che sembra appartenere al vocabolario dell’ecumenismo è “casa comune”.
Essa figura nel sottotitolo dell’enciclica e nell’appello che papa Francesco rivolge al mondo: “La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune – scrive – comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune.” LS §13
Ma anche nel testo di Accra ricorre un’espressione - “household”– che si può rendere con il concetto di “casa comune”.
Casa: un luogo e una metafora quanto mai appropriata quando si parla di ecologia. La radice etimologica è la stessa ed esprime l’idea cardine che tutti noi abitiamo in uno spazio condiviso. Una casa comune, condivisa e da condividere.
Un’idea molto diversa da quella di “casa mia” o di “casa nostra” che talora diventa una fortezza chiusa che separa ed esclude. Un’idea molto diversa da quella delle “piccole patrie” costruite sull’appartenenza etnica o religiosa; su quell’esclusivismo e quei fondamentalismi che in tanti contesti generano scontri, conflitti vere e proprie guerre combattute sotto l’idolo blasfemo della propria esclusiva identità.
No, la “casa comune” al centro della nostra riflessione è uno spazio aperto e pluralista, nel quale convivono differenze e si ha coscienza del fatto che ciò che oggi abitiamo non ci appartiene, perché noi siamo solo custodi di un bene che Dio ci affida perché noi lo preserviamo e lo consegniamo alle generazioni di uomini e donne che verranno dopo di noi.
La nostra generazione è invece quella del consumo senza limiti, dell’illusione che con la nostra intelligenza e la nostra tecnica sapremo costruire la torre di Babele dello sviluppo illimitato e senza prezzo. Non è così e, come la torre di Babele, questo progetto è destinato a fallire sotto il peso delle nostre ambizioni e del giudizio di Dio.
Da anni uomini e donne di fede, chiese ma anche associazioni di diverso orientamento, levano la loro voce contro lo scandalo dell’incoscienza e dell’indifferenza sui destini della nostra " casa comune”.
Prima ancora della profetica denuncia dell’Alleanza riformata mondiale del 2004, vorrei infatti richiamare il fatto che il Consiglio ecumenico delle chiese – che come noto raccoglie oltre trecento chiese protestanti e ortodosse di tutto il mondo – già nel 1988 avviò un progetto denominato “Giustizia, pace e salvaguardia del creato”. L’assunto era che una efficace testimonianza cristiana, radicata nel mondo di oggi e capace di interpretare le contraddizioni che lo attraversano, deve collegare tre temi solo in apparenza diversi e autonomi.
E’ sull’onda di quel programma che negli anni il Consiglio ecumenico ha lanciato una campagna di denuncia del surriscaldamento globale e dei suoi effetti economici, arrivando a proporre l’immagine della terra come “madre” (1999, Echoes).
Un’immagine forte, teologicamente discutibile, ma che esprime con forza quello che tutti sappiamo e fingiamo di ignorare: e cioè che nessuno sviluppo, nessuna crescita economica, nessun piano economico o finanziario può prescindere dal fatto che la vita umana dipende da risorse naturali che solo la terra può garantire: l’acqua potabile, il sole, i mari, i ghiacciai, il suolo fertile, le foreste, il clima.
PACE, GIUSTIZIA E SALVAGUARDIA DEL CREATO
E’ difficile contestare quest’analisi: più difficile definire il meccanismo che determina questo processo. L’ecologia light del bosco rigoglioso e delle acque limpide raccoglie il consenso unanime: ma quando si cerca di capire che cosa finisce per distruggere il bosco e avvelenare l’acqua, piovono accuse severe di politicizzazione, radicalismo, catastrofismo. Ma come cristiani siamo chiamati a libertà, e libertà è anche dovere di dire la verità, coraggio di andare controcorrente e persino di rischiare l’impopolarità.
Il documento di Accra arriva a delle conclusioni molto nette: “la deforestazione, l’erosione del suolo, le minacce che pesano sull’acqua dolce, fanno parte delle conseguenze devastanti del danno ambientale… Elevati livelli di radioattività minacciano la salute e l’ambiente. Forme di vita e saperi culturali vengono assoggettati alla brevettazione in vista di profitti finanziari. Questa crisi è direttamente connessa allo sviluppo della globalizzazione economica neo-liberista”.§9.
Ecco la parola impronunciabile, quella che sembra fare da discrimine tra “buona” e “cattiva” ecologia: la denuncia del sistema economico che produce la catastrofe ambientale.
Ma in questo, care sorelle e cari fratelli, siamo buoni compagni di strada perché esattamente questo tema mi pare stia al centro dell’enciclica di Francesco, quando egli afferma che: “un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”. LS §49.
E’ qui che l’analisi di papa Francesco si fa particolarmente acuta: quando parla del “debito ecologico” del Nord nei confronti del Sud del mondo che per secoli ha fornito risorse utili a promuovere lo sviluppo dei paesi coloniali; o del “riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni”.
O quando denuncia il comportamento delle multinazionali che nei paesi del Sud del mondo “fanno quello che non è loro permesso nei Paesi sviluppati o del cosiddetto primo mondo talora cessando improvvisamente le loro attività e lasciando grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più sostenere”. LS §51
C’è un passaggio dell’enciclica che mi piace richiamare e mettere in parallelo con il documento di Accra. Scrive Francesco: “I poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi… qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta” (l’espressione era già contenuta nella Evangelii gaudium del 2013)”. §56
D’altra parte, affermava l’ARM:
“Ci rendiamo conto che il mondo attuale vive all’ombra di un impero oppressore. Con questo termine, intendiamo la congiunzione di forze economiche e politiche invadenti, in tutto il mondo, che amplificano la divisione tra ricchi e poveri”. ARM §p4 (lettera alle chiese). Divinizzazione del mercato e impero oppressore dell’economia: con parole diverse il magistero cattolico e il mondo riformato concordano sul fatto che dietro la crisi ambientale – di cui siamo testimoni, complici e vittime – non ci sono forze oscure della natura, ma una logica economica, un sistema “globale – cito ancora dal documento riformato - che difende e protegge gli interessi dei potenti. Da questo sistema noi tutti siamo colpiti e imprigionati. Al di là di questo, in termini biblici questo sistema di accumulazione di ricchezza alle spalle dei poveri è considerato come una forma di infedeltà a Dio, responsabile di una sofferenza umana che potrebbe essere evitata ed è chiamato Mammona. Gesù ha detto che non possiamo servire Dio e Mammona (Lc. 16,13)”.§14
Tutti conosciamo la parola del profeta Isaia che, in un tempo difficile e disgraziato, predicava che il frutto della giustizia sarà la pace. Ma è altrettanto vero che pace e giustizia potranno fiorire solo se la terra che accoglie i loro semi è ancora fertile, arata e irrigata. Una terra devastata dalle speculazioni, rapinata delle sue risorse, arsa dal sole o alluvionata, non avrà né pace né giustizia.
E per questo un’attuale confessione di fede cristiana oltre alla trinità teologica di Padre, Figlio e Spirito Santo deve comprendere anche un riferimento alla trinità etica dell’impegno per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato: tre nomi dello shalom, di quella pace che non è solo assenza di guerra ma pienezza di vita e riconciliazione.
UN CAMMINO DI CONVERSIONE
Il problema, anzi la sfida, è trasformare queste idee buone per un sermone, un’omelia o un’enciclica nella testimonianza concreta di cristiani vigili e attivi nella società in cui vivono.
In questo l’enciclica di papa Francesco è un prezioso repertorio di buone pratiche. Il concetto di fondo, però, è che la strada della conversione a un nuovo ordine ecologico passa attraverso l’adozione di nuovi “stili di vita”.
“Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione”. LS §202; quella che Francesco definisce la “conversione ecologica”. § 217
Adottando uno schema tipicamente riformato, il documento di Accra menziona esplicitamente il tema della “confessione di peccato” a cui tutti – anche noi che denunciamo le violenze sul creato – siamo chiamati: e questo per il solo fatto di essere di fatto compartecipi e corresponsabili di questo stato di cose: “Confessiamo il nostro peccato nell’aver abusato della creazione e nell’aver mancato di svolgere il nostro ruolo di intendenti (stewart) e di amici della natura”. § 34
Ma proprio a questo punto del ragionamento, rileviamo un altro, impegnativo punto di contatto tra la riflessione di papa Francesco e quella del mondo riformato sul tema di un’ecologia all’altezza della sfida globale che abbiamo di fronte.
Il testo di Accra si conclude infatti invocando un “patto in obbedienza alla volontà di Dio come un atto di fedeltà in un rapporto di mutua solidarietà e di reciproca responsabilità”. Un patto che “ci lega insieme per lavorare per la giustizia nell’economia e nell’ecologia nel nostro comune ambito globale così come nei nostri contesti regionali e locali” §37.
Per parte sua, l’Enciclica si conclude con l’invocazione di un’alleanza tra l’umanità e l’ambiente, nutrita di informazione, studio, applicazione. E’ questo il grande campo che si apre alle comunità cristiane ma anche alle associazioni, alle agenzie educative, agli organi di informazione.
Sappiamo bene che “patto” e “alleanza” biblicamente sono termini intercambiabili. A me piace vederli come espressioni analoghe e complementari di un concetto fondamentale: la sfida della sostenibilità economica ed ecologia del futuro sta nella coerenza di un impegno che oggi noi – cristiani di diversa tradizione – ci assumiamo solennemente di fronte a Dio, di fronte ai nostri figli ma anche di fronte alla terra da cui ricaviamo le risorse per la nostra esistenza.
E la buona notizia che ci dà fiducia e speranza è che possiamo farlo anche oggi