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Serafim

Obispo metropolita ortodoxo, Patriarcado de Rumanía
 biografía

Introduzione 

La presenza delle persone anziane, a volte molto anziane, sia nella società che nella Chiesa, costituisce una vera provocazione morale e spirituale per tutti e in particolare per i cristiani. « Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, e il loro agitarsi è fatica e delusione; ma la dolcezza del Signore ci visita e ci ammaestra» [Sal 89,10] dice il profeta Davide. La vecchiaia non ci riguarda soltanto per la presenza degli anziani in mezzo a noi, essa ci provoca perché essa è la nostra stessa vecchiaia. L’invecchiamento fa parte della condizione umana, così come della condizione animale o vegetale. Le pietre o le costruzioni sembrano risparmiate dal tempo: in realtà i minerali invecchiano come noi, anche gli astri e i pianeti sono soggetti all’usura e, alla fine, alla morte. Solo Dio non invecchia. L’anziano che apparve al profeta Daniele è immagine dell’eterna saggezza di Dio; la giovinezza che non può svanire del Signore si è manifestata teofanicamente nella giovinezza di Cristo Dio che è passato attraverso la morte, ma non ha conosciuto la vecchiaia. E’ paradossale che egli conobbe tutte le sofferenze umane, salvo quella dell’invecchiamento.

Invecchiare è morire. Appena nato, appena concepito, l’essere umano è implicato in questo processo di invecchiamento e di mortalità. In un primo momento l’essere umano, come ogni altra creatura, sembra proprio un “essere-per-la-morte” e i vecchi miti traducono l’orrore della coscienza umana davanti a un Saturno cannibale e una Thanatos sovrana. Ma la coscienza biblica e cristiana risponde a questa provocazione, a questa angoscia e a questo orrore con la parola del salmista: «la dolcezza del Signore ci visita e ci ammaestra» e con la fede nella Resurrezione. Al disgusto provocato dall’invecchiamento, alla sofferenza provocata dalla nostalgia della giovinezza, il cristiano risponde con l’esperienza dei santi, che non è altro che l’esperienza della vita nuova sgorgata dalla Resurrezione del Verbo incarnato.


1. l’invecchiamento è stato e continua ad essere spesso vissuto come una maledizione. La presenza delle persone anziane non è soltanto un problema per la società: è soprattutto una questione legata alla condizione umana: non è un accidente, come d’altronde nemmeno la morte è un accidente. L’una e l’altra, la vecchiaia e la morte, sono conseguenze del peccato di Adamo. La vecchiaia è vista come una maledizione perché essa è generalmente una degradazione delle facoltà fisiche, psichiche e intellettuali di persone che conosciamo e che amiamo; noi costatiamo, troppo presto per il nostro gusto, nella nostra stessa esistenza i segni premonitori di questa degradazione. Con realismo ricordiamo che la vecchiaia, soprattutto nelle nostre società moderne, perché le persone vivono spesso più a lungo di un tempo, dà lo spettacolo di tutta la fragilità della condizione umana: la perdita delle facoltà mentali rende spesso il vecchio un essere che non riconosce più i suoi vicini, e non sa più né dov’è né chi è. Quando terribili malattie si associano alla vecchiaia, il vecchio diventa un essere da sorvegliare, proteggere o da relegare in una istituzione specializzata. Certamente in molti paesi di Europa si incoraggia l’assistenza medica a domicilio, per preservare quel legame a cui essi tengono tanto, con il loro ambiente materiale e le loro abitudini. Anche così il fratello sfigurato e umiliato, «senza bellezza né apparenza», secondo l’espressione del profeta Isaia, è un fratello escluso e marginalizzato. Non più mantenuto in famiglia, l’anziano può divenire preda della durezza, dell’indifferenza o dell’impazienza dei suoi vicini. Nella nostra epoca l’anziano è spesso una persona che si suicida o si lascia morire poco a poco, talmente si sente un peso e inutile; non ha un posto, è di troppo. L’eutanasia è suggerita da alcuni come la soluzione che una persona davanti al proprio invecchiamento e degrado potrebbe chiedere, come effetto di una pretesa libertà. In realtà la pressione psicologica è tale che l’anziano desidera la morte come un sollievo per i suoi cari e per sé. Ma bisogna che sia ancora in grado di provocare o di domandare la propria morte… In ogni caso, molto spesso nel mondo di oggi, i vecchi non danno l’impressione né di essere nella gioia, né di essere in pace, né di avere saggezza.

La nostra società moderna, che ha il culto della giovinezza e della bellezza fisica, si rivela molto crudele. L’anziano, il «vecchio» come si dice con disprezzo, è colui che costa caro alla famiglia e soprattutto alla società civile. È un peso economico. Gli anziani costano cari in medicine, trattamenti, ospedalizzazioni. Ma sono anche coloro che, paradossalmente, hanno del denaro, quel denaro che si vorrebbe prendere loro in una maniera o in un’altra. In famiglia, si vorrebbe ereditare il più presto possibile, la società cerca i modi per far circolare il denaro dei pensionati e di coloro che lo hanno messo da parte. Cinicamente, i vecchi rappresentano un peso per la società, ma sono anche un mercato: cosa si potrebbe vendere loro?

E’ doloroso anche il fatto che le persone anziane nella nostra epoca sono molto spesso delle persone assistite e trattate come fossero dei bambini. In un certo senso la società fa tutto per loro, per il loro benessere e il loro confort. Ma non si chiede loro niente ed essi si lasciano talvolta coccolare, ma rinunciano spesso ad essere attivi e a svolgere un ruolo familiare o sociale. Essi approfittano allora dei vantaggi sociali e sanitari della loro vecchiaia, ma non danno nessun apporto alla società. In effetti la civiltà moderna cerca molto meno la saggezza di quanto cerchi, in modo ossessivo, il possesso e il piacere. Il profitto, il piacere, la distrazione, il divertimento per tutti, il sogno dello svago e delle vacanze prolungate per sempre, sono tutti modi per cercare di dimenticare la morte. Ora, l’anziano ci ricorda la morte, che ci fa orrore, e non ci  può dare altro apporto che non sia la sua esperienza di vita, la sua saggezza e le sue conoscenze, tutte cose di cui non sappiamo che farcene!

2. A questo quadro schematico della vecchiaia senza Dio, in una società che ha degli Idoli, ma non ha il Signore, il cristiano cercherà di rispondere con la fede e con quella conoscenza mistica della condizione umana e del suo avvenire, che la fede gli dona. La morte non è l’unico avvenire dell’essere umano. C’è un avvenire per le persone anziane, cioè per ogni essere umano e d’altronde per ogni creatura. Se è vero che la vecchiaia è una prova, la prova ha il senso e la forma della Croce, cioè della porta per la vita eterna. Tutte le civiltà conoscono il tipo dell’Anziano come tipo della saggezza realizzata. La tradizione biblica e ecclesiale presenta numerosi esempi di persone molto anziane nelle quali risplende la saggezza divina: Noè, Abramo e Sara, i santi progenitori di Dio Gioachino e Anna; una domenica speciale è consacrata, prima della festa di Natale, alla memoria degli anziani, da Adamo a Cristo. Cristo stesso, quando aveva ancora 12 anni, manifestò nella sua santa umanità la saggezza di un anziano. I «grandi anziani» sono celebrati nella santa montagna dell’Athos, come esempi di saggezza e di discernimento divini: sono gli anziani presso i quali si viene a cercare consiglio in vista della salvezza. Spiritualmente la vecchiaia è presa come cammino di realizzazione spirituale, certamente attraverso la croce, ma non c’è realizzazione spirituale senza la Croce. L’apostolo Paolo tante volte insegna il rinnovamento costante dell’essere che vive nel Cristo, cioè secondo l’Uomo nuovo. L’esistenza umana – e forse anche l’esistenza cosmica – è una metamorfosi, nella quale si passa, a condizione di essere uniti a Cristo, da un’esistenza «per la morte» a un’esistenza «per la vita eterna». « se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4,16). All’invecchiamento spettacolare che colpisce l’essere umano, corrisponde presso i santi un ringiovanimento invisibile durante buona parte della vita, ma che diventa spettacolare un giorno, quando il cristiano risplende della grazia dello Spirito Santo. L’esempio più facile da fare qui è quello di Seraphim di Sarov: divenuto molto anziano, invecchiato non soltanto a causa dell’età, ma anche a causa dei cattivi trattamenti ricevuti, tutto incurvato e gobbo com’era, egli risplendeva della grazia dello Spirito Santo, secondo la Parola della Scrittura che dice: «i giusti risplenderanno come il sole». La vecchiaia in un esempio come questo, non è più un tempo in cui ci si volge con amarezza e rimpianto verso questo mondo che passa e le sue gioie, essa è il tempo in cui ci si volge con impazienza verso il mondo che viene; il tempo in cui si può già far rifulgere la luce di quel mondo là attorno a noi. Noi abbiamo degli esempi di questo nelle nostre Chiese: santi sposi che «invecchiano insieme», secondo la parola di Tobia, nella fede e la pietà; dei santi monaci che sono figure di anziani sereni e pacifici. La vecchiaia benedetta e santa è una realtà della Chiesa di tutti i tempi.

La preparazione alla vecchiaia e alla morte richiede una catechesi fondamentale, che ricorda i grandi impegni del battesimo: la lotta contro la morte spirituale e per la vita eterna; la rottura ascetica con le passioni, con le quali l’uomo si aggrappa al mondo e ai suoi piaceri; l’abitudine, coltivata sin dall’infanzia, di domandare perdono al Signore per i propri peccati e a lui rendere grazie per tutto quello che si sa e per tutto quello che non si sa; la cultura dell’amore del prossimo e soprattutto dei nemici; la frequentazione, attraverso la lettura, delle vite dei santi, e, attraverso incontri personali, di anziani e di anziane che rappresentano la saggezza e la pace di Dio nella Chiesa; il ricordo della morte; la riconciliazione quotidiana con gli altri; la venerazione della croce santa e vivificante… Una catechesi ecclesiale, indirizzata principalmente alle famiglie, è necessaria per quel che riguarda le età della vita, età della vita del corpo e età della vita spirituale. Noi abbiamo dei movimenti di giovani e di adulti: facciamo in modo che i più anziani tra noi partecipino secondo le loro forze a questi movimenti; sollecitiamoli; la catechesi è rivolta a loro, ma è anche necessario stimolarli affinché il tempo che è loro donato sia un tempo per la preghiera per noi e per il mondo; domandiamo loro consiglio.

Resta la condizione molto diffusa delle persone anziane malate, ridotte a funzioni estremamente limitate e incapaci di comunicare con i loro cari. Se il ruolo della comunità ecclesiale è quello di stimolare il senso di responsabilità presso gli anziani validi, il suo ruolo è quello di manifestare agli anziani invalidi la sollecitudine e la compassione divine e di far loro gustare la pace. «Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore, invece, si rinnova di giorno in giorno», dice l’Apostolo. Noi invecchiamo e moriamo, ma il Cristo vive in noi e cresce. Cosa vuole dire che “il Cristo cresce in noi”? Vuol dire che l’amore cresce in noi. La vecchiaia, come la malattia, la sofferenza e la morte ci sono date dal Signore come opportunità benedette per manifestare l’amore. Solo le nostre passioni ci impediscono di amare: né la vecchiaia, né la malattia, né l’handicap fisico o mentale, né la morte ci impediscono di amare, cioè impediscono che sia manifestata la presenza del Cristo risorto e vivente per sempre nella sua Chiesa e, attraverso di essa, nel suo mondo. Il servizio dei padri, delle madri, dei fratelli indeboliti dalla malattia e dall’età; la preghiera per loro; lo sforzo di comunicare con loro, se non con le parole, talvolta con una semplice stretta di mano, una carezza sul volto – tutto questo può essere sacramento della pace del Signore. L’accompagnamento dei vecchi handicappati è dunque non un dovere, ma un carisma dell’amore fraterno e del sacramento del fratello.