Il titolo di questo panel è sia vasto che profondo. Il concetto di giustizia sociale ha un contenuto diverso per persone diverse. Entrare in questa questione andrebbe oltre l’ambito di questo panel.
Lasciatemi soltanto dire che per alcuni la giustizia sociale significa che ci siano uguali opportunità per tutti e ci siano dei processi equi; in questo senso essa diventa parte intrinseca degli obiettivi di sviluppo. Penso che sono stato invitato qua perché la raison d'être della mia istituzione di appartenenza, la Banca Mondiale, è lo sviluppo economico.
Tornando un po’ indietro nel tempo, al 2006, troviamo che la Banca Mondiale pubblicò un “Rapporto sullo Sviluppo Mondiale” (Word Development Report) intitolato “Uguaglianza e sviluppo” (Equality and Development). L’uguaglianza è definita da due principi fondamentali. Il primo è l’assenza di privazioni nei beni e servizi a cui si può accedere – o, in termini più generici, assenza di povertà. Ciò riguarda in particolare il consumo di beni, ma anche l’accesso all’assistenza sanitaria e all’educazione. Il secondo principio è avere pari opportunità: quanto una persona riesce a realizzare dovrebbe dipendere principalmente dal suo talento e dai suoi sforzi, non da circostanze predeterminate quali razza, sesso, provenienza sociale o familiare. Parlando in termini generici potremmo dire che ciò significa che la crescita economica dovrebbe essere inclusiva.
Nelle mie considerazioni iniziali vorrei accennare a com’è la situazione attuale riguardo a questi due principi, e, proseguendo nella mia analisi vorrei mettere in evidenza alcune delle sfide per la Comunità Internazionale (e per la Banca Mondiale).
PANORAMICA SULLA POVERTA’ E SULLA PROSPERITA’ CONDIVISA
Nel 2013 il Gruppo della Banca Mondiale si è posto due obiettivi complessivi: ridurre la povertà estrema al 3% della popolazione mondiale entro il 2030 e promuovere la prosperità condivisa, aumentando i redditi del 40% più povero della popolazione di ogni paese.
Un motivo importante per cui è stato introdotto il concetto del monitoraggio della prosperità condivisa è stato quello di allargare il nostro modo di pensare riguardo alla riduzione della povertà ed alla crescita economica.
Monitorare la povertà estrema a livello globale non tiene conto di come il progresso è distribuito nel mondo. L’indice di prosperità condivisa è stato concepito per assicurare che il progresso si estenda a tutti i paesi.
Nel corso dell’ultimo quarto di secolo il mondo ha fatto progressi notevoli e senza precedenti nel ridurre la povertà estrema. Nonostante la popolazione mondiale sia cresciuta di più di 2 miliardi di persone, nel 2015 vi è un miliardo di persone in meno rispetto al 1990 che vive in povertà estrema.
Il numero di persone che vive in povertà estrema – cioè il cui consumo (o il cui reddito) si trova sotto la soglia di povertà internazionale (IPL, attualmente fissato al potere di acquisto di 1,90 $ USA del 2011) – nel 2015 era pari a 736 milioni, rispetto ai 1,9 miliardi del 1990. Non solo vi sono ora meno persone povere, ma, in media, i poveri di oggi sono meno poveri. Nel 1990, il divario medio tra quanto consumavano i poveri e l’IPL era del 35%. Questo divario si è ridotto al 31% nel 2015.
Questo progresso impressionante ci ha avvicinati al traguardo della Banca Mondiale, che è di abbattere la povertà estrema entro il 2030: nel 2015 approssimativamente un decimo della popolazione mondiale viveva in povertà estrema, rispetto ad un terzo del 1990.
Tornando al 1990, il 36% della popolazione mondiale viveva in povertà estrema. Nel 2015 questa percentuale è scesa al 10%, mentre nel 2013 era l’11,2%.
Tuttavia, non vi è motivo per essere troppo compiaciuti. Gran parte del progresso dell’ultimo quarto di secolo è stato compiuto nell’Asia dell’est e del sud-est, dove l’ascesa economica della Cina ha fatto uscire milioni di persone dalla povertà estrema. La povertà invece è in ascesa – e, il che è forse più preoccupante, sta diventando più radicata e più difficile da sradicare – in vari paesi dell’Africa Sub-Sahariana, per via dei tassi di crescita più bassi della regione, per problemi causati dai conflitti e da istituzioni deboli, e dalla mancanza di successo nell’incanalare la crescita nella riduzione della povertà.
Tra il 1990 ed il 2015, il profilo regionale della povertà è cambiato significativamente. Nel 2015, più della metà dei poveri del mondo risiedevano nell’Africa Sub-Sahariana e più dell’85% dei poveri risiedevano o nell’Africa Sub-Sahariana o nell’Asia del sud.
Nel 1990 le regioni con la popolazione più povera erano l’Asia dell’Est, del sud-est e l’Asia del Sud, con più dell’80% dei poveri. Con la rapida riduzione della povertà in Cina, la concentrazione della povertà estrema si è spostata, dall’Asia dell’est e del sud-est all’Asia del sud nel 2002, e poi all’Africa Sub-Sahariana nel 2010. È probabile che nel decennio attuale questa tendenza continui.
Sradicare la povertà estrema richiederà di rifocalizzarsi sull’Africa Sub-Sahariana e sugli stati che soffrono di istituzioni deboli e di conflitti.
Stime per il 2015 hanno indicato che l’India, con 176 milioni di persone, continuava ad avere il numero assoluto più alto di persone in povertà, e che da sola totalizzava un quarto dei poveri a livello globale. La percentuale di povertà estrema in India è significativamente più bassa rispetto alla media dell’Africa Sub-Sahariana, ma, a causa della sua popolazione numerosa, il numero complessivo dei poveri in India è comunque molto alto. Tuttavia, previsioni per il 2018 suggeriscono che sta per terminare lo status dell’India come paese dal numero più alto di poveri – la Nigeria lo è già o lo sarà presto. Nell’Asia del sud la percentuale di poveri estremi ed il numero assoluto di poveri sono in costante declino e si prevede che tale tendenza continuerà. Il risultato di ciò è uno spostamento della povertà dall’Asia del sud all’Africa Sub-Sahariana.
Una crescita economica più marcata e sforzi rinnovati per risolvere i conflitti violenti saranno cruciali per accelerare il tasso di riduzione della povertà nell’Africa Sub-Sahariana ed altrove. Continuare come ora non sarà sufficiente.
Per raggiungere l’obiettivo della Banca Mondiale di portare la povertà estrema sotto ai 3% entro il 2030, le stime indicano che i paesi più poveri dovrebbero crescere ad un tasso di gran lunga più elevato di quanto mai realizzato nel corso della loro storia. Ma richiede anche che la crescita sia altamente inclusiva, non soltanto a livello globale ma in ogni singolo paese.
Il traguardo sarebbe raggiunto se tutti i paesi crescessero ad un tasso del 6% annuo con un aumento dell’indice di condivisione della prosperità di 2 punti. Alternativamente, sarebbe raggiunto se tutti i paesi crescessero in media dell’8%. Uno scenario alternativo prevede che ogni paese continui a crescere ad un tasso equivalente alla media degli ultimi 10 anni nella propria regione: in questo caso l’indice di povertà globale sarebbe al di sopra dei 5% nel 2030. Questo scenario “tutto come al solito”(“business as usual”) porterebbe ad un mondo diviso in due, dove più di un quarto della popolazione nell’Africa Sub-Sahariana vive nella povertà estrema, mentre sarebbero meno di 2% nel resto del mondo.
Sfortunatamente, in molti paesi il 40% più povero della popolazione sta rimanendo indietro, mentre in alcuni il livello di vita del 40% più povero si sta di fatto abbassando. Ciò considerato, il progresso compiuto nell’Asia dell’Est, del Sud e nel sud-est asiatico è notevole, perché la crescita economica in questi paesi viene condivisa.
In quasi metà delle 91 economie monitorare, i consumi oppure la quota di reddito del 40% più povero cresce ad un tasso minore della media, il che suggerisce che la distribuzione del reddito in questi paesi è in peggioramento. A livello globale, l’aumento nell’indice di condivisione della prosperità è esiguo: la media aritmetica di tutte le economie porta ad un +0,2%. Le regioni con un miglioramento più elevato di questo indice sono l’Asia dell’est, l’Asia del sud-est, il Medio Oriente ed il Nord Africa, l’America Latina ed i Caraibi. Metà dei paesi in Europa e nell’Africa Centrale e più della metà dei paesi dell’Africa sub-sahariana hanno invece un aumento negativo di tale indice. In aggiunta a tutto ciò, il quadro sulla prosperità condivisa tra le economie più povere come anche di quelle affette da situazioni di fragilità e di conflitti è solo parziale, perché i dati sull’indice di prosperità condivisa sono limitati. Siccome la mancanza di dati affidabili è associata ad una crescita bassa dei consumi (o dei redditi) dei più poveri, la situazione potrebbe essere persino peggiore di quanto rilevato.
La povertà comprende non solo redditi e consumi bassi, ma anche risultati scarsi nel campo dell’educazione e della sanità, livelli nutrizionali bassi, e mancanza di accesso a servizi essenziali come l’elettricità, l’acqua, i servizi igienici. La mancanza di accesso a tali beni e servizi è un ostacolo alla pari opportunità.
Siccome molti di tali beni non possono essere acquistati sul mercato, di norma non sono inclusi nella misurazione della povertà estrema. Se tali aspetti del benessere vengono presi in considerazione, la percentuale di poveri tende a crescere. A livello globale, la quota di poveri calcolata utilizzando una definizione multidimensionale che include il consumo di beni, l’educazione e l’accesso ad infrastrutture basilari aumenta circa del 50% rispetto a quando viene misurata unicamente la povertà monetaria. Nell’Africa Sub-Sahariana più che in ogni altra regione, valori bassi in una dimensione vanno a pari passo con altri valori scarsi.
Famiglie povere sono prevalentemente situate in aree rurali, ed hanno molti figli. Spesso sono esposte a cataclismi naturali ed altre fonti di insicurezza.
Per tracciare un quadro veritiero della povertà, come essa viene vissuta dagli individui, abbiamo anche bisogno di andare oltre la rilevazione di dati a livello familiare, per considerare come le risorse vengano condivise tra famiglie. Donne e bambini tendono ad avere accesso in maniera proporzionalmente molto più bassa alle risorse ed ai servizi essenziali, specialmente nei paesi più poveri.
IMPLICAZIONI E PRIORITÀ PER IL WBG (Gruppo della Banca Mondiale)
1. Vi è la necessità di rifocalizzarsi sull’Africa Sub-Sahariana ed sulle aree afflitte da conflitti. Sarà nell’Africa Sub-Sahariana ed in aree dalle strutture fragili e afflitte da conflitti che la battaglia contro la povertà estrema sarà vinta o persa.
Come ho argomentato, la povertà estrema globale sta diventando sempre più un fenomeno sub-sahariano, e la quota di poveri nelle situazioni fragili ed afflitte da conflitti sta aumentando. Di tutte le regioni, l’Africa Sub-Sahariana sta avendo i valori più bassi nell’indicatore di prosperità condivisa, ed i poveri in questa regione più che in altre parti del mondo soffrono da privazioni su fronti diversi. Raggiungere l’obiettivo del 3% entro il 2030 richiederà più di continuare come finora s’è fatto (“business as usual”): la regione avrà bisogno di una crescita forte e sostenuta, miglioramenti significativi nei livelli di vita del 40% più povero della popolazione a livelli mai visti finora, e un sostanziale investimento nelle persone.
2. Nuovi tipi di misurazione della povertà possono migliorare la discussione su quali provvedimenti prendere. Ciò è particolarmente vero in pasi dal reddito medio, dove la povertà estrema è meno prevalente, ma soglie di povertà più elevate e nuove misurazioni della povertà in base ad un modello multidimensionale rivelano che vi è ancora molto lavoro da fare.
3. Vi è una forte correlazione tra i due obiettivi gemelli: la maggior parte delle economie che stanno facendo progressi nella riduzione della povertà hanno anche buoni risultati nell’aumentare la prosperità condivisa. E vale lo stesso principio per le economie con risultati non buoni.
4. La scarsa disponibilità di dati nelle situazioni più povere e più fragili continua ad essere un problema, e quindi la copertura della misurazione della disuguaglianza in questi paesi è limitata. Ciò significa che la dove avremmo bisogno di maggiore chiarezza, ne abbiamo di meno! Perciò progettare i provvedimenti più appropriati diventa ancora più difficile.
5. Deficit di capitale umano rappresentano barriere significative da superare. L’anno scorso la Banca Mondiale ha introdotto l’Indice di Capitale Umano, per attivare l’attenzione, a livello globale, sulla necessità economica di investire maggiormente sulle persone. Seppure ragione per preoccuparsi ce l’ha la maggior parte dei paesi, in quelli più poveri i bambini nati oggi, da adulti realizzeranno meno del 50% della loro produttività potenziale, calcolata in base a quanto potrebbero produrre avendo alle spalle un’istruzione completa e trovandosi in buona salute.
6. La famiglia è l’ambito principale e l’istituzione più importante per lo sviluppo del capitale umano. I governi, con il sostegno dei loro partner, hanno un ruolo fondamentale nel rafforzare un ambiente che dia la possibilità alle famiglie di costruire del capitale umano, incluse risorse per i più poveri. Per ottenere risultati migliori, i provvedimenti e programmi governativi dovrebbero agire sia sugli aspetti che riguardano la domanda che su quelli che riguardano l’offerta.