Share On

Thomas Römer

Administrator of the Collège de France, Chair of Biblical Milieus
 biography
Vorrei prendere la Bibbia ebraica come punto di partenza per le mie riflessioni sul male e, con alcune modifiche, l'Antico Testamento delle varie Chiese cristiane; alcune tradizioni bibliche si trovano anche, in forma modificata, nel Corano. Parlerò quindi dei fondamenti dei monoteismi.
Il “male” in una concezione politeista
In una visione politeista, in cui il destino dell'universo dipende dalle azioni di una moltitudine di divinità, l'insorgere del male e della sofferenza può essere attribuito a divinità o demoni malvagi, che l'uomo cerca di placare o da cui si protegge. Il politeismo accetta che gli Dei siano imprevedibili e che le loro azioni contro gli esseri umani possano essere dannose, senza che questi ultimi abbiano necessariamente commesso una colpa contro gli dei. 
La teoria della retribuzione nel libro dei Proverbi
Il libro biblico dei Proverbi riflette una convinzione condivisa da tutti i saggi del Vicino Oriente antico, ossia che l'universo non è il campo di battaglia del caso; al contrario, è opera di un Dio creatore dove regna un ordine cosmico stabilito da Dio. Il saggio è quindi un uomo responsabile, nel senso che il suo comportamento riflette l'ordine dell'universo. Un comportamento responsabile di questo tipo assicura a chi lo opera una vita armoniosa e prospera. Un comportamento insensato e irresponsabile, invece, provoca uno squilibrio in questo ordine e ha conseguenze dannose per il suo autore. 
Ci sono molti detti che contrappongono due tipi di persone e il destino che le attende: i saggi si oppongono agli stolti, i giusti ai malvagi. Dio dà la felicità ai giusti, mentre la disgrazia e la sofferenza sono riservate ai malvagi. 
L'idea della retribuzione sembra rendere comprensibili Dio, il mondo e il male. Questo concetto si ritrova anche nel Nuovo Testamento. I discepoli chiedono a Gesù di un cieco: “Rabbì, chi ha peccato perché nascesse cieco, lui o i suoi genitori? 
Tuttavia, le due spiegazioni del male che abbiamo appena delineato (opera di divinità ostili all'uomo; punizione per un cattivo comportamento) mostrano i loro limiti, soprattutto nel contesto dell'affermazione che il Dio di Israele è il solo e unico Dio, il creatore del cielo e della terra. Può il Dio unico e onnipotente essere la fonte del male? Ma se così fosse, come può essere il Dio che vuole che tutta la sua creazione sia felice e realizzata? Oppure potrebbe essere che Dio non abbia voluto il male, nel qual caso come può essere Dio sovrano e onnipotente?
Alla fine del racconto biblico del diluvio, troviamo una riflessione sul male. Dio fa la seguente osservazione: “Il cuore dell'uomo è malvagio (ra') fin dalla sua giovinezza” (8,21). Questa considerazione solleva chiaramente la questione della responsabilità umana in relazione al male, che viene trattata in molti testi biblici, in particolare nel libro di Giobbe.
L’autonomia del male nel libro di Giobbe 
Il cuore del Libro di Giobbe, scritto in versi, mette il suo protagonista a confronto con la teologia dei suoi amici, che attribuiscono a Dio la responsabilità del male decretando che tutto il male è spiegabile, o come punizione divina o come prova. 
Gli amici di Giobbe sono convinti che la sofferenza di Giobbe sia dovuta alla punizione divina per un peccato nascosto. Esortano quindi Giobbe a riconoscere la sua colpa, ad arrendersi alla bontà di Dio e a pentirsi. Per loro, la responsabilità di Giobbe consiste nell'accettare le sue disgrazie come meritate. 
Convinto di essere innocente e “giusto”, Giobbe ritiene di non aver meritato il suo destino. Come i suoi amici, Giobbe cerca la causa della sua situazione. Ma, a differenza dei suoi amici, è attraverso l'aggressione, attraverso la cattiveria di Dio, che cerca di spiegare la sua sofferenza: “Ti sei trasformato in carnefice per me, e con la tua stretta mi immobilizzi” (30,21). È ribellandosi a Dio che Giobbe si rende conto che non esiste un rapporto divinamente garantito tra causa ed effetto. Non vedendo altro modo per comprendere il male che gli stava accadendo, Giobbe sfida Dio a rispondergli.
Nella prima risposta, Dio insiste sulla sua sovranità, che non deve rendere conto all'uomo. 
Il secondo discorso divino presenta due bestie, chiamate Behemoth e Leviathan. Il Leviathan, che nella traduzione greca diventa il “drago”, è il mostro primordiale e il rappresentante del male per eccellenza. Il secondo discorso divino mette Giobbe di fronte a un Dio che deve costantemente lottare contro forze caotiche. È vero che Dio ha creato il mondo (è l'affermazione del primo discorso) - ed è onnipotente; ma la vittoria sul caos non è mai definitiva, Dio deve costantemente opporvisi. 
Giobbe è convinto da questo secondo discorso? La sua risposta al secondo intervento divino rimane poco chiara e forse significa che Giobbe ha abbandonato la ricerca di un Dio comprensibile e dell'origine del male.
Ma il libro di Giobbe è complesso; a differenza dei discorsi divini che concedono al male una certa autonomia, la cornice narrativa del libro presenta un'altra soluzione al problema del male e della sofferenza.
Verso una visione dualista
L'autore dei dialoghi inquadra il nucleo del suo libro con un racconto (tradizionale?) in cui Giobbe è presentato come il modello dell'uomo giusto che sopporta le prove del suo Dio, anche se incomprensibili. In un certo senso, quindi, il male fa parte della “pedagogia divina”. Più precisamente, i mali che colpiscono Giobbe si spiegano con una scommessa tra Dio e Satana. Il sostantivo satana può essere tradotto come “aggressore” o “avversario”. All'inizio, il termine può designare un avversario umano; in seguito, però, Satana diventa il titolo dato all'agente provocatore della corte celeste. Nel prologo del libro di Giobbe, le sofferenze di Giobbe sono spiegate come il risultato di una scommessa tra Dio e Satana. Satana, pur dando a Dio l'idea di inviare il male a Giobbe, rimane chiaramente inferiore a Dio, poiché non può fare nulla senza il permesso divino. Tuttavia, Dio non è più la causa diretta della disgrazia di Giobbe.
L'insistenza su Satana come protagonista del male porta comunque a una tendenza al dualismo, dove il male è visto come virtualmente potente quanto Dio, il creatore del bene. Tuttavia, questa visione non esiste nella Bibbia ebraica. D'altra parte, è sempre più comune in alcune correnti del giudaismo nel periodo ellenistico e romano.
Dio è il creatore del male? - L'affermazione di Isaia 45,5-7
Abbiamo visto che alcuni testi biblici concedono una virtuale autonomia al male, senza tuttavia sviluppare un sistema teologico dualista. Tuttavia, tali sistemi esistevano già in epoca persiana, in particolare nel mazdeismo, che sembra essere stata la religione preferita dagli imperatori achemenidi, almeno a partire da Dario. In questa religione, il grande Dio Ahura-Mazda, che è esclusivamente il Dio del bene, si trova in conflitto con Ahura Mainyu, lo spirito del male, che è in un certo senso il patrono dei daeva, i “diavoli”.
Per contrastare queste tendenze dualistiche, l'autore della seconda parte del libro di Isaia, il Deutero-Isaia, difende una tesi che è praticamente unica nella Bibbia. Il Deutero-Isaia è spesso considerato il teologo del “monoteismo” biblico, poiché afferma con forza che il Dio di Israele è l'unico Dio. Questa insistenza sull'assoluta sovranità del Dio di Israele trova eco nel seguente oracolo:
 “Io sono Yhwh, non ce n'è un altro,
Io creo la luce e creo le tenebre,
Creo lo bene e il male (ra'),
Io, Yhwh, faccio tutto questo” (45,5-7).
Questo testo afferma che Dio non ha creato solo il bene, l'ordine armonioso, ma anche il suo opposto, il male o il caos. 
Per il Deutero-Isaia si tratta di insistere sul fatto che tutte le potenze, anche quella persiana, sono al servizio del Dio di Israele. Poiché c'è un solo Dio e non c'è nulla al di fuori di lui (45,5), nulla può sfuggire a questo Dio. Idee simili si ritrovano nel libro di Qoheleth.
Breve conclusione 
La Bibbia ebraica non ha mai sistematizzato il suo discorso sul male: possiamo distinguere a grandi linee tre tendenze principali: la concezione dei dialoghi del libro di Giobbe concede una certa autonomia al male, senza spiegarne l'origine; la concezione dello scrittore della cornice narrativa del libro di Giobbe prepara una visione dualista, anche se nella Bibbia ebraica il “Satana” non diventa mai il nemico alla pari di Yhwh; l'affermazione che Yhwh è all'origine del male, che culmina nell'oracolo del Secondo Isaia secondo cui Yhwh ha creato il male.  D'altra parte, Qohelet afferma che il male proviene dalla divinità senza che l'uomo possa capirne il motivo.
Questi diversi approcci biblici fanno da sfondo a posizioni che, in forme diverse, hanno accompagnato la storia della teologia e della filosofia fino ai giorni nostri.