La preghiera dell’uomo moderno
Dalla sua esperienza dell'orazione, Teresa è passata a proclamare il suo messaggio. Pregare è "avere un rapporto di amicizia", intrattenersi spesso, sole e solo, con Chi sappiamo che ci ama (V.8,5). Assieme alle enormi rievocazioni bibliche di questa definizione teresiana e alla rivoluzione che suppone nella storia della spiritualità, si vuole richiamare l'attenzione al fatto, del resto evidente, che la forza della concezione teresiana dell'orazione spinge le persone che vivono una relazione di amicizia le une verso le altre. La definizione teresiana sottolinea che, pregare è attendere alla Persona, a partire dalla propria persona: accoglienza e donazione, ascolto e comunicazione. "Scambio". Pregare è avere un “rapporto di amicizia con Dio”, è intrattenersi con chi di cui sappiamo che ci ama, così insegna Teresa di Gesù di Avila.
La preghiera è dunque essenzialmente una relazione, tra Dio e l’uomo, come lo illustra l’esperienza orante dei grandi santi, come San Paolo apostolo.
Di San Paolo, ancora travolto dalla parola del Signore sulla via di Damasco, gli Atti narrano quanto segue: “Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda. Ora c'era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». E il Signore a lui: «Su, va’ sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco sta pregando» (Atti 9,8-11).
Paolo da tre giorni, non dorme, non mangia, non beve, non parla ma prega. Il Signore gli ha parlato per primo: “perché mi perseguiti?” e lui risponde:”che devo fare?”. Da quel momento, tutta la sua vita diventa preghiera. Cioè ascolto della parola di Dio, ricerca della sua volontà e certamente risposta al Signore. La preghiera si avvera in Paolo una fonte zampillante di lode, di azione di grazie, di abbandono, di zelo, di carità, di pazienza, di coraggio, ma anche di luce, di sapienza, di intelligenza. Lo Spirito Santo lo invade. La sua preghiera, infatti, è la preghiera dello Spirito in Lui. “Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio. Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati” (Rom. 28-30).
In altri termini, la vita di Paolo diventa preghiera e la preghiera sua diventa vita. Paolo non vive più lui ma Cristo vive in lui. La sua povertà diventa ricchezza, la sua debolezza, forza e coraggio.
Ma se la preghiera è la forza nella debolezza, perché preghiamo così poco. Perché i più non pregano. Perché ci deve essere un problema di preghiera per l’uomo moderno? Ma chi è esattamente l’uomo moderno?
Innanzitutto, non c’è una sola e univoca modernità. Mi accontento di segnalare semplicemente che c’è una modernità centrata sulla riscoperta dell’uomo come persona e quindi come alterità. Ce n’è un’altra che intronizza l’uomo come “dio” lui stesso e trasferisce su di lui gli stessi attributi divini. Questa modernità prometea ha certamente un problema di fede, di religione e dunque di preghiera.
Le conquiste moderne tecnologiche e scientifiche rafforzano il sentimento di autonomia e di autosufficienza dell’uomo. I gruppi di pressione antireligiosi propagano con i media, forti del benessere generalizzato, questa opposizione uomo moderno-Dio.
Questo uomo moderno ha bisogno urgente di essere folgorato dalla luce e dalla misericordia divine come Paolo. Ha innanzittutto un bisogno antropologico, viste le consequenze catastrofiche sul mondo, cosmo e umanità, di una certa modernità, di riconciliazione profonda con se stesso.
Infatti il problema nasce dalle rotture antropologiche all’interno dell’essere umano. Quando manca l’interazione armonica tra il corpo, l’anima e lo spirito, l’uomo si scopre diviso. Se dovessi costruire i due “idealtyp” weberiani di questa situazione, li descriverei come segue:
1) Se la ragione, che è la facoltà maggiore dell’anima, non funziona bene, cioè non orienta e regola le forze della vita dell’uomo, le sue forze fisiche e gli istinti relativi, si crea nell’uomo un squilibrio profondo: il corpo, eliminando la mediazione dell’anima, vuol trattare direttamente con lo spirito; lo spirito non capisce i linguaggio del corpo; il corpo allora ha il sopravvento sullo spirito e lo strumentalizza. Ne nasce una mentalità religiosa chiusa e fanatica. E la storia dei fanatismi dove Dio è strumentalizzato a fini ideologici e egoisti.
2) Se la ragione, fiera delle sue capacità, si dichiara autonoma e chiude allo spirito, l’uomo conosce un altro squilibrio: quello comune al mondo moderno razionalizzato ma umanamente e spiritualmente impoverito. L’orgoglio di tale uomo, così sicuro della forza della sua ragione che grida la sua vittoria e si stabilisce nella sua autonomia che vuole assoluta, finisce con il perderlo.
Insomma, finché l’uomo moderno si accontenta delle sue conquiste scientifiche e tecnologiche, l’anima sua si dissecca nel suo orgoglio e il corpo, che è istinto, diventa una macchina non il recettacolo dell’anima e dello spirito e quindi anche della divinità. L’uomo non riconciliato non prega. Il suo profondo narcissismo gli chiude gli occhi e ottura le orecchie. Comunque non è unito né riconciliato.
Ora, è l’uomo in cerca di riconcilazione o già riconciliato che prega. Cioè ascolta Dio che parla per primo. Riceve da Dio quello che nella sua bontà gli dà. L’orante esaudisce il desiderio di Dio prima che Dio esaudisca il suoi desideri. L’orante accoglie Dio che s’incarna nell’uomo, abita nell’uomo, regge questo mondo tramite l’uomo. Pregare è aprirsi alla misericordia di Dio, è riconoscersi povero mentre si confessa Dio come la somma e assoluta ricchezza.
Che cos’è la preghiera, ancora una volta? E un’attenzione a Dio che prega in noi, un consenso alla sua volontà. Essa esprime una gioia interiore o restaura la gioia interiore. Una gioia che Dio infonde perché parla, viene, ascolta, … Perciò la preghiera è essenzialmente lode a Dio: così pregava Cristo: “Padre, ti benedico … ti rendo grazie … Il mondo non ti ha conosciuto ma io ti conosco.”
L’uomo moderno non può pregare se continua nella sua pretesa prometea. Adamo l’ha fatto prima e ha perso tutto. Ossia la preghiera è quindi il primo importante dialogo che l’uomo possa ambire. È un atto di umiltà. In essa, la ragione illuminata dalla fede ascolta, medita le meraviglie di Dio e lo contempla.
E questa preghiera che capovolge le situazioni: fecit mihi magna qui potens est, dice Maria nel suo cantico. Ella lo spiega: ha guardato l’umiltà della sua serva. Ha rovesciato i potenti, ha innalzato gli umili...
La preghiera autentica è quella di un cuore povero e umile. Un cuore che si svuota perché Dio possa riempirlo, che riconosce la sua povertà originale e ontologica perché Dio possa arricchirlo. Un cuore che si apre all’Alterità di Dio perché possa farne un amico.
In questo senso, la preghiera è atto di fede, atto di lode, di riconoscenza. Il Padre nostro ne è una illustrazione perfetta. La preghiera sacerdotale di Gesù un’altra.
Oggi come ieri, la questione religiosa è sollevata. Noi, cristiani, uomini pure moderni, con la nostra ragione (cf. De Lubac, Sur les chemins de Dieu, Aubier 1955), con la nostra esperienza di Dio, (cf. Frossard, Dieu existe, Fayard 1969), con la nostra fede (cf. Guardini, Von Leben des Glaubens, Grünewald 1934; trad. Vie de la Foi, Cerf 1958), con la verità e l’amore, preghiamo e chiamiamo tutti a pregare con noi: il Dio sconosciuto o misconosciuto dell’uomo moderno, lo conosciamo perché la Parola di Vita ce l’ha rivelato. (cf. Zundel, Recherche du Dieu inconnu, Ed. Ouv. 1949; Mouroux, Je crois en Toi, Cerf. 1965; CH. Mœller, L'homme moderne devant le salut, Ed. Ouvr. 1964; Renée Casin, Naufrageurs de la foi, Ed. Lat. 1968). Annunciamolo senza indugio.
L’uomo moderno, che sia credente o ateo, che voglia affermare la sua autonomia anche di fronte a Dio o meno, rimane nostro fratello, rimane soprattutto capax Dei. Se non accetta di pregare con il Dio, nostro Padre, affidiamolo nella nostra preghiera al Padre di misericordia.