September 13 2011 09:00 | Rathaus, Großer Sitzungssaal
Dialogo islamo-cristiano: una nuova stagione di Michel Santier
Come uomo, come cittadino, come cristiano,
- come vescovo, a cui è affidata la chiesa cattolica presente nella Val di Marne dove vivono insieme uomini e donne, giovani e bambini di 86 nazionalià diverse, e credenti di diverse confessioni cristiane, e di differenti religioni,
- come Presidente del Consiglio per le Relazioni Interreligiose della Conferenza episcopale francese,
io do una grande importanza al dialogo interreligioso.
Il dialogo, come esperienza umana fondamentale mi porta all’ascolto dell’altro, di chi è diverso da me, nella cultura e nella fede.
Oggi nella nostra società la differenza fa paura e chiunque noi siamo, andare incontro all’altro richiede di uscire da sè, dai propri principi precostituiti, dalle proprie false idee .
Il dialogo interreligioso non ci conduce a confrontarci con dei sistemi di pensiero come l’Islam o l’Ebraismo, o alcuni dogmi nel Cattolicesimo, ci fa incontrare delle persone umane che come noi cercano di amare e di essere amate, desiderano essere rispettate nella loro dignità di uomini e di donne che aspirano a un lavoro giustamente renumerato, ad un alloggio degno per potere nutrire e ospitare la propria famiglia, i propri figli e a vivere come noi una felicità familiare.
L’amico musulmano, io lo incontro quando vado all’emporio dei grandi magazzini a Creteil. Gli ho comprato un piccolo portamonete. Lui ha visto bene chi fossi, perchè ero vestito come oggi; noi ci siamo scambiati dei sorrrisi e qualche parola amichevole. Questo dialogo noi lo chiamiamo dialogo della vita, il dialogo del quotidiano. E’ la prima tappa del dialogo: l’accoglienza, l’ascolto, il rispetto reciproco.
Il dialogo presuppone la conoscenza dell’altro, della sua maniera di vivere, della sua storia, della sua musica, dei suoi canti, delle sue abitudini alimentari, dei modi diversi di vivere le nascite, i matrimoni, le morti.
E’ quello che chiamiamo il dialogo culturale, che si può vivere in ambito scolastico, nelle associazioni culturali, nei gruppi di dialogo interreligioso, dove i partecipanti hanno degli scambi su come si vivono i matrimoni nella loro cultura, nella loro religione, su come si vive l’ospitalità e i pasti.
Questa conoscenza dell’altro al contriario di quello che si dice non porta alla perdita, al relativismo dei valori, delle abitudini alle quali io tengo, ma a viverle come una ricchezza della società multiculturale; la persona non si costruisce con il ripiegamento su di sè ma con l’incontro con gli altri, con la ricchezza dello scambio.
Più le relazioni amichevoli si approfondiscono, più il dialogo si può stabilire ad un livello spirituale, si possono avere degli scambi sui nostri modi di pregare, sul modo in cui i musulmani leggono il Corano, gli ebrei leggono e vivono la Torah, in cui i cristiani si legano a Gesù e ai Vangeli.
Noi impariamo così a guardare i credenti delle altre religioni con uno sguardo positivo, a riconoscere in essi dei credenti che vivono un’esperienza spirituale profonda.
Insieme, nella società, noi possiamo testimoniare la dimensione spirituale che è parte sostanziale della persona umana, noi che abbiamo la stessa origine e lo stesso destino. Noi ci accorgiamo allora che le difficoltà ad incontrarci vengono più dalle diversità culturali che da quelle religiose.
Il dialogo teologico è più difficile. Alcune esperienze positive hanno avuto luogo in Algeria, con il Ribat (luogo di accoglienza per i poveri) dove i monaci di Tibhirine e alcuni musulmani hanno dialogato per molti anni.
Quando ci fu il Forum cattolico-musulmano in Vaticano, nel novembre 2009, in seguito alla lettera delle personalità musulmane sulla “Parola Comune” alle nostre tre tradizioni, noi abbiamo dialogato sulla nostra concezione diversa dell’amore di Dio e del prossimo.
Il dialogo interreligioso non ci chiede di essere d’accordo. Se Dio è unico, noi non abbiamo la stessa concezione di Dio, ma qualunque sia la nostra tradizione religiosa, lui ci chiede di amare il nostro prossimo, non soltanto quello della nostra famiglia, del nostro paese, del nostro continente o religione, ma ogni uomo.
Noi non dobbiamo scegliere il nostro prossimo ma farci prossimi ad ogni uomo.
Noi abbiamo quindi un’esigenza comune da vivere nel nostro paese, come cittadini. Quando io rispondo alle domande dei giovani, immancabilmente io sento questa domanda: “Perchè le religioni sono un fattore di guerra?”.
Anche se la maggior parte dei conflitti hanno una causa economica, hanno la loro origine nelle ingiustizie sociali, anche se alcuni governi strumentalizzano la religione per imporre un regime autoritario, degli elementi culturali e religiosi si mischiano.
La doppia parola, comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, che infine è unica e ci è comune, ci obbliga a rifiutare la violenza, la guerra per delle cause religiose, poichè è la negazione stessa della religione e di Dio.
Solo l’amore collegato alla giustizia può disarmare la violenza. Se in una stessa regione, una stessa città, oggi noi diventiamo come cittadini e credenti, segno di intesa, di amicizia, di rispetto reciproco, noi incoraggiamo nei quartieri la convivenza, la pace e il bene comune.
E’ il ruolo degli eletti di incoraggiare il bene comune e di difenderlo rispetto agli interessi particolari con una promozione dell’impiego, dell’alloggio, delle associazioni sportive e culturali.
Noi come credenti e cittadini, dobbiamo partecipare al bene comune a partire dalle nostre differenti tradizioni spirituali, anche promuovendo delle azioni comuni.
Faccio un esempio: l’azione umanitaria o caritativa che sia il “Secours populaire” o il “ Secours catholique” o altri organismi.
Noi proponiamo aiuto a tutti coloro che soffrono qualunque sia la loro appartenenza culturale o religiosa, noi li ascoltiamo, li accompagnamo non perchè ebrei, musulmani, cattolici o di differenti origini, ma perchè essi sono i nostri fratelli e sorelle in umanità. Favoriamo anche il tessuto sociale nella società. Ma poichè l’azione di solidarietà a lungo termine risulta pesante noi traiamo dalla parola comune, l’amore di Dio e del prossimo, la forza di continuare il cammino.
Come cristiano
Nella mia storia, ho vissuto un’esperienza fondante: quella di vivere la vita fraterna in comunità, con dei celibi consacrati, con famiglie, preti, persone di diverse età.
La vita comunitaria è bella e dura, vivere sotto lo sguardo dell’altro non è confortevole, ci aiuta a uscire da noi stessi, perdonarci e accettare di ricevere gli altri. E’ per questo che noi viviamo la stessa fede in Gesù quando un legame fraterno si stabilisce fra di noi. Questa fraternità vissuta ha allargato senza sosta la mia tenda attraverso diverse esperienze: apertura ai fratelli e alle sorelle di altre confessioni cristiane nell’ecumenismo, che cerca l’unità fra tutti i cristiani, apertura ai credenti di altre religioni attraverso il dialogo interreligioso che cerca la convivenza e la pace, e non la creazione di una unica religione come alcuni vorrebbero.
Come vescovo cattolico, io faccio riferimento ai testi del Concilio Vaticano II.
L’essenziale si trova nella Costituzione sulla Chiesa; le altre costituzioni e dichiarazioni come quella sulla libertà religiosa e le altre religioni (Nostra Aetate) ne sono la conseguenza.
Nel preambolo della costituzione sulla Chiesa viene detto che essa è in qualche modo segno e mezzo dell’unione intima con Dio e dell’unità del genere umano. Molti cattolici pensano che la missione della Chiesa consista solamente nella sfera intima o privata a favorire l’unione con Dio , ma noi non siamo solo credenti per conto nostro, ma in un popolo e, la missione della Chiesa tende all’unità del genere umano.
Partecipando al dialogo religioso come responsabile di Chiesa, ho la convinzione che io corrispondo al disegno, al piano di salvezza di Dio sull’umanità, riunire un giorno nel suo Regno, uomini di tutte le lingue, culture, razze e nazioni. E’ la ragione per la quale la Chiesa partecipa a tutti i gruppi istituzionali che favoriscano l’unità, la comunione tra tutti i popoli. Per concludere voi potreste credere che il mio proposito è troppo ottimista ma sappiate che io non sono ingenuo. Al posto delle nostre diverse appartenenze per interpretazione troppo stretta dei testi alcuni credenti vedono il dialogo interreligioso come un pericolo di relativismo, una perdita di identità, “le idee sono tutte uguali”!
La ricerca di identità si radicalizza nei giovani; alcuni rifiutano di incontrare i credenti di altre religioni.
Il cammino sarà lungo e difficile, ma come ha detto Benedetto XVI nel 2005, l’impegno della Chiesa nel dialogo interreligioso è irreversibile.