Sono alcuni anni che sono colpito dall’enfasi di Sant’Egidio sull’“amicizia con i poveri”. Personalmente, questo ha anche cambiato la mia vita e il mio ministero di vescovo. Quando mi è stato comunicato il tema di questa conferenza, la mia riflessione si è rivolta immediatamente in due direzioni.
La prima riguarda gli obiettivi del millennio dell’ONU. La povertà economica nel mondo odierno è così vasta e crea così tanta sofferenza che il bisogno di un’azione concreta per ridurre la povertà diventa ogni giorno più urgente.
Parallelamente la mia riflessione è andata alle parole di papa Giovanni XXIII quando lanciò il Concilio Vaticano secondo 50 anni fa: “la Chiesa è di tutti, e particolarmente dei più poveri”. Dietro queste parole c’è una visione della collettività e del vivere insieme che è diversa da quella prevalente nelle nostre società consumiste.
A partire da questi due punti, sarò più specifico, e condividerò con voi alcune esperienze e riflessioni a partire dal mio contesto norvegese e nord-europeo.
I Rom a Oslo
Negli ultimi anni un numero crescente di Rom è giunto a Oslo e nelle altre città norvegesi. Vengono con la speranza di trovare un lavoro improbabile, ma la maggior parte finisce a chiedere l’elemosina per le strade. Le autorità non permettono loro di dormire nei parchi, nelle piazze o nelle strade, e neppure danno loro un posto dove piantare le loro tende e le loro baracche. Quest’estate la loro presenza nelle nostre città è diventata una grande questione mediatica, a cui è seguito un acceso dibattito pubblico. Alcuni politici adesso propongono di vietare l’elemosina, con l’intento di tenere i Rom lontani dal nostro Paese. La Norvegia sembra comportarsi come la maggior parte dei paesi europei, trovando scuse per non agire e lasciando risolvere ai burocrati di Bruxelles il “problema della povertà”.
In questa situazione, comunque, vi sono segni contrastanti. L’Esercito della Salvezza, la nostra Missione cittadina e le chiese hanno assunto iniziative per migliorare la situazione dei Rom che si trovano in Norvegia. Quando ho recentemente visitato un gruppo di Rom alla periferia di Oslo, è emerso un quadro diverso dal “problema” presentato dai media e discusso dai nostri politici.
Un privato aveva dato loro la possibilità di accamparsi in un’area compresa tra un quartiere di ville e la foresta. Quando sono arrivato, una giovane ragazza ha iniziato a suonare la fisarmonica, e hanno cominciato a cantare e ballare. Hanno voluto che assaggiassi il cibo che avevano preparato per la cena, che tutti condividevano. Alcuni hanno chiesto una benedizione, e abbiamo pregato insieme. È stata una serata straordinaria e un’esperienza di fraternità e gioia. Ma devo anche aggiungere che pochi giorni dopo questo evento, sono stati allontanati da quell’area.
La povertà è una realtà dalle molte sfumature. Se io mi concentro sui Rom a Oslo, è perché oggi loro sono espressione di una povertà crescente nelle nostre società – non solo povertà economica, ma una discriminazione sociale e una povertà che travalica i confini nazionali. Come ci interrogano, e qual è la nostra risposta?
Mi vedi?
Nella nostra società del benessere c’è una tendenza e un desiderio implicito di nascondere la povertà che disturba il nostro senso estetico e la nostra mentalità consumista. Non fa piacere che i mendicanti ci ricordino della loro lotta per la sopravvivenza quando si è circondati di negozi e da un ambiente che trabocca ricchezza. Quando a questo aggiungiamo l’atteggiamento negativo verso i Rom e la storica discriminazione nei loro confronti nella società europea, è tremendo che le nostre autorità provino ancora a trovare il modo per rimuoverli dalla nostra vista. Oggi quando incontro i mendicanti per strada, provo a ricordare a me stesso che la loro richiesta di denaro implica una domanda più profonda: mi vedi?
La Bibbia ha le parole per questa situazione, una risposta a questa sfida: “non calpestare il diritto dello straniero, dell’orfano e della vedova, ma sii generoso verso i poveri e i bisognosi” (Deut 27, 19; 15, 11). Questa è la sfida che ci pone la Bibbia, un richiamo a vivere e condividere con i poveri e i bisognosi, inclusi i Rom che sono in mezzo a noi. Perciò dobbiamo stare dalla loro parte e fare pressione sulle nostre autorità perché prevedano spazi per i Rom, così che possano vivere con noi e noi con loro – in dignità. In ciò c’è una sfida ancora più profonda.
La nostra comune umanità
Nel mio incontro con i Rom sono stato travolto – non solamente dalla loro gentilezza e affabilità, ma da una profonda consapevolezza della nostra comune umanità. Nessun politico dovrebbe assumere decisioni che riguardano la loro situazione senza andare a conoscerli, ascoltando le loro storie e condividendo – non solo le loro preoccupazioni, ma anche le loro gioie. Infatti, su questo punto ho scoperto un nuovo tipo di sfida che viene dai Rom. Coloro che li conoscono, presto scoprono uno stare insieme in cui le persone spontaneamente si prendono cura e si assumono la responsabilità gli uni degli altri, uno stare insieme che considera un tesoro la famiglia e le tradizioni familiari – valori che spesso mancano nelle nostre società individualiste.
Ma non bisogna dipingere un quadro romantico dei poveri che cantano e danzano. La povertà non è mai romantica. Certamente, i Rom hanno già sofferto abbastanza, e lottano come noi, anche con l’illegalità che si trova in mezzo a loro. Ma ciò che voglio, è andare oltre l’immagine di “un problema” come è percepito nelle nostre società, per giungere alle vite che ne sono coinvolte. Anche se la cultura e il contesto sono diversi, le loro preoccupazioni sono le nostre preoccupazioni, le loro gioie sono le nostre gioie, e condividiamo le stesse aspirazioni e gli stessi sogni – per i nostri figli, le nostre famiglie e per noi stessi. Anziché agire come società onnipotenti che o si fanno carico delle vite degli individui e dei gruppi oppure chiudono le porte ad essi, siamo chiamati a lavorare insieme e vivere insieme, per affrontare i problemi e il futuro insieme. Dobbiamo iniziare a guardarci gli uni gli altri e vivere insieme, scoprendo nell’altro una sorella o un fratello creato ad immagine di Dio.
Chi sono i poveri?
Questa conferenza riguarda i poveri che ci interrogano. Prima di concludere, vorrei porre un’altra domanda fondamentale: “Chi sono i poveri?”. Sappiamo che Gesù si è identificato con i poveri al punto di chiamare sé stesso povero e straniero, carcerato, malato e affamato. È per questo che i cristiani nel primo secolo usavano il termine “povero” per designare sé stessi. Essi parlavano di sé e guardavano a sé come “poveri”, con le porte aperte ad un tipo diverso di comunità e di stare assieme.
Avendo parlato dei Rom e dei mendicanti di Oslo, devo citare il padre della Riforma Protestante, Martin Lutero. Quando morì nel 1546, trovarono un appunto di fianco al suo letto, il suo ultimo testamento: “siamo tutti mendicanti”. In queste parole, così come in quelle di Gesù, della prima Chiesa e di papa Giovanni XXIII si trova una profonda consapevolezza: di fronte a Dio siamo tutti mendicanti, e ciò che Dio nella sua misericordia dà e provvede per noi, è perché noi lo condividiamo gli uni con gli altri – a sua gloria!
Qui a Sarajevo, in questo contesto balcanico voglio perciò concludere ricordando una piccola donna che più di chiunque altro in tempi recenti ci ha ricordato della sfida dei poveri e del vivere con i poveri: Madre Teresa. Diceva di sé: “Per nascita sono albanese, e per cittadinanza indiana. Per fede, sono una suora Cattolica. Per la mia vocazione, appartengo al mondo. Per il mio cuore, appartengo interamente al cuore di Gesù”. Oggi vedo il suo volto come una luce che risplende e come una sfida che ci provoca, da parte di una seguace di Cristo tra i poveri. E’ una sfida di speranza per il nostro futuro – vivere insieme.