“ Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie” (Col 4,2) queste sono le parole con cui Paolo esorta la comunità nella lettera ai Colossesi. Tempo fa in una rivista americana è stato pubblicato uno studio scientifico sull’efficacia della preghiera. I pazienti per cui altri avevano pregato prima, durante e dopo un’operazione di bypass avevano lo stesso tasso di complicanze di pazienti per cui nessuno aveva pregato. Ancora di più: i pazienti che erano consapevoli che qualcuno aveva pregato Dio per loro, avevano gli esiti peggiori. I medici giudicarono che le preghiere avessero potuto causare un ulteriore stress ai pazienti malati di cuore. Cresce infatti il peso dell’aspettativa, e soprattutto su di loro si ripercuote una autosuggestione negativa: stiamo messi così male che solo la preghiera mi può aiutare? Questo vorrebbe dire che la preghiera cambia il mondo in senso peggiorativo! Allora sarebbe meglio non pregare tanto insistentemente – chissà che non nuociamo a qualcuno, a cui vorremmo fare del bene?
Il teologo di Amburgo Fulbert Steffensky definisce la preghiera come “la più meravigliosa inutilità che la nostra fede conosca”. La preghiera: un tema difficile, e per giunta molto intimo. Che la preghiera non si giustifichi per la sua utilità, lo hanno senz’altro sperimentato già tutti. Vorrei piuttosto parlare di ciò che di sublime c’è nella preghiera. La meravigliosa inutilità: un tesoro unico, perché possiamo aprirci e cadere; possiamo trovare ascolto, possiamo liberarci dalla fretta, dalla pressione e dalla rivendicazione. È preziosa: è un sollievo sapere di non essere soli di fronte a ciò che per noi è un peso e a ciò che ci mette le ali, ma siamo profondamente alleati ed uniti tra di noi e con Dio. Una delizia della fede: si radica nella certezza che Dio è padre di ogni cosa, che sua è la forza e la potenza nei secoli; sia fatta la sua volontà.
La preghiera è l’attitudine della fede – chiedere la benedizione divina nell’umiltà e nell’audace richiesta allo stesso tempo. Una attitudine della fede, che ha fiducia che Dio sia onnipossente, che si affida a lui come una realtà della vita e della storia. La preghiera è una delizia della fede, perché si sottrae ad ogni prevedibilità; perché non funziona in base a regole di input e output; perché si pone di traverso rispetto ai pensieri di prestazione e ricompensa. Chi prega incrocia le braccia, non fa nulla, diventa passivo: trova la calma, cerca il centro, attorno a cui la sua vita può ruotare.
Chi prega non si chiude in se stesso, al contrario, esce da se stesso, si apre: è rivestito di una forza che è superiore ad ogni forza umana. La preghiera non è un mezzo per ottenere qualcosa. È l’uomo che consegna se stesso al mistero della vita. Nella preghiera ho consapevolezza di non essermi fatto da me, e di non potermi giustificare da me.
Se prego, il mio sguardo si allarga oltre a ciò che mi riguarda e che mi interessa. Quando proferisco – piano o ad alta voce – ciò che grava su di me, allora riesco a porre una distanza liberatrice tra me e l’oggetto che mi opprime. Allora sento di essere legato ad una sorgente di forza buona.
Nella preghiera non mi devo nascondere né proteggere. Posso essere me stesso nella maniera più profonda e reale – con tutto ciò che mi appartiene: con i punti di forza e quelli di debolezza; con i successi e gli insuccessi; con la nostalgia e la delusione. L’orante sa: godo già della stima di Dio. Questo è parte della preziosa libertà dei figli di Dio: che si affidano alla potenza di Dio più che a quella umana. E che nella loro preghiera prendono il mondo con le sue potenze, con le sue ingiustizie; che non si accontentano, chiudendo le orecchie, di amore negato e diritto negato, di miseria e distruzione, ma prendono parte ai dolori dell’altro, imparano a guardare questo mondo, a intervenire gli uni per gli altri con preghiere di intercessione e lasciano che la preghiera li rafforzi per operare la giustizia.
Naturalmente conosciamo anche l’altra faccia, l’esperienza niente affatto piacevole, che Dio non ci ascolta come noi ci immaginiamo; l’insicurezza se ci sia qualcuno che ci aiuta e ci rafforza; il timore dell’abbandono e la paura. La Bibbia è piena di preghiere, che non sono solo sublimi rendimenti di grazie. In esse, l’uomo protesta contro Dio: Giobbe combatte, rifiuta Dio, Gesù grida sulla croce: perché mi hai abbandonato? E quante volte gli uomini giungono le mani per chiedere aiuto a Dio nella malattia e nel dolore – e quanto spesso apparentemente pregano inutilmente! Perplessità e disperazione fanno parte della realtà che noi presentiamo a Dio. Può sopportare i nostri dubbi. Sono ben riposti in lui, come anche il desiderio della grazia, della salvezza, della protezione.
“Perseverate nella preghiera!” – Dio risponde già nel momento in cui noi preghiamo, lo invochiamo, lo cerchiamo. Parla già prima della nostra preghiera. Dio non si lascia incatenare. Ma ascolterà quanto abbiamo da dire e ascolterà quanto noi presentiamo a lui nel silenzio. E ci aprirà la porta alla sua parola, che ci rafforza, che raddrizza ciò che è piegato e che ridà fuoco a ciò che sta per spegnersi: una delizia della fede – niente affatto inutile.
Può esservi sembrato forse troppo timido il mio discorso, e non dare forza al tema del nostro panel: la preghiera cambia il mondo. Ma io credo che proprio in questo doppio movimento impotente risieda veramente la forza della preghiera che trasforma il mondo. Proprio se la preghiera è una deliziosa inutilità, proprio quando nella preghiera sperimentiamo la nostra impotenza, proprio quando nella preghiera possiamo essere senza alcun velo fino in fondo noi stessi, proprio quando nella preghiera ci lasciamo andare completamente e ne siamo rinnovati, proprio quando nella preghiera affidiamo tutto non a noi stessi, ma a Dio, proprio quando nella preghiera mi apro e prego per gli altri, è proprio in questi momenti che la preghiera libera energie insperate. “Sia fatta la tua volontà”, recitiamo nel Padre nostro, “Venga il tuo regno”, “Tua è la forza e la potenza”: la preghiera, ed in particolare questa preghiera sposta gli ambiti di forza – allontana dalla padronanza di se stessi verso colui che che ha fatto e custodisce ogni vita, contro l’oblio di Dio di questo mondo.
„You can’t always get what you want“, dice una delle grandi canzoni dei Rolling Stones del 1969. E questo è quasi in contraddizione con la tradizione biblica: “Bussa e ti sarà aperto”, dice Gesù e :”chiedete, e vi sarà dato… perché chi chiede, riceve; e chi cerca, trova…” non è forse un contro-programma? Noi siamo pieni di rimorsi, di insoddisfazioni: ci dovrà essere più di tutto? Abbiamo i nostri sogni e le nostre visioni di una vita riuscita ed appagata. Viviamo di immagini di amore, pace, giustizia. Vogliamo essere amati. Vogliamo essere compresi. Accolti, protetti. La canzone però non si accontenta di questa constatazione frustrante. È famosa proprio per l’inattesa svolta in positivo. La realtà del mondo ha pronta anche un’altra variante, non solo disillusione pessimista, ma visione ottimista. Non sei esposto senza protezione alla realtà, e neanche alle potenze di questo mondo: se cerchi di seguire le tue passioni e di comprenderle, se veramente cerchi, allora può essere che ad un certo punto tu trovi ciò di cui hai veramente bisogno!
E in questo modo torniamo a quello che ci dice la Bibbia: bussa, e ti sarà aperto, chiedi e ti sarà dato: solo Dio sa di cosa hai bisogno per la tua vita, cosa è necessario. If you try: se non ti tiri indietro, puoi scoprire che c’è di più della tua volontà del momento, che al tuo desiderio è stato dato uno scopo, inatteso e a lungo sconosciuto.
But if you try: per i cristiani il movimento è la preghiera. Immergermi nella mia volontà, desiderio, dolore e rabbia. Portare davanti a Dio. Nella preghiera puoi riposare, abbandonare le tue mani nelle mani di colui che ha creato ogni vita. Dio ci dà ciò di cui abbiamo bisogno. Chi prega, chi si rivolge a Dio, chi bussa alla sua porta, trova ciò che è necessario nell’amore, nel dolore, nella speranza, e nella delusione.
Questa è la speranza viva, trasformatrice, commovente che il nostro mondo non finisca in quello che vediamo, comprendiamo, facciamo o non facciamo. E la speranza non ci rende appagati, ma inquieti, ci fa alzare in piedi: la preghiera e l’azione del giusto vanno insieme, dice Dietrich Bonhoeffer.
La preghiera sprigionerà forze che possono cambiare il mondo. La forza della fede per più diritto e giustizia, la forza della fede per più condivisione tra Chiese e religioni, la forza della fede per maggiore partecipazione agli altri, la forza della fede per più amore del prossimo in questo mondo. Per questo: “ Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie”.