Vorrei ringraziare innanzitutto gli amici della Comunità di Sant’Egidio per avermi invitato qui, a Madrid, una città ricca di storia, cultura e arte.
Inoltre ho l’onore di poter parlare in questa tavola rotonda durante l’Incontro per la Pace di quest’anno, che ha come titolo “Pace senza confini”.
Il tema di questa tavola rotonda è “Il disarmo e la non-violenza”.
Sono passati già 20 anni dall’inizio del XXI secolo, venti anni in cui la scienza e la tecnologia hanno fatto dei passi da gigante, mentre la rete delle informazioni condivise è diventata ancor più globale e il livello di globalizzazione è diventato sempre più intenso. Questo fenomeno ha fatto sì che tutti avessero il diritto, in maniera equa, alla ricchezza. Tuttavia, de facto la realtà è tristemente diversa. Sono ancora in atto situazioni di violenze e di odio, attraverso i conflitti armati e la violazione indiscriminata dei diritti umani. Dall’altro canto, vi sono state dichiarazioni di politiche nazionali volte solo all’interesse e alla protezione della propria Nazione, che non solo hanno scosso il mondo, ma hanno iniziato a recidere le reti della reciproca comprensione.
Si dice che “la storia dell’umanità sia la storia delle guerre”. Ossia, si dice che gli anni di tregua siano stati pochi rispetto agli anni in cui vi sono stati guerre e conflitti. Secondo un documento delle Nazioni Unite, nei 50 anni che hanno seguito il termine della Seconda Guerra Mondiale, le vittime di conflitti e guerre siano stati ben oltre 23 milioni, esattamente il doppio delle vittime del XIX secolo e 7 volte il numero delle vittime del XVIII secolo. Man mano che ci avviciniamo ai nostri tempi, il numero delle vittime e dei rifugiati sale. Il progresso tecnologico ha dato vita ad armi di distruzione di massa, che spazzano via la vita di vittime innocenti e di esseri viventi senza nessuna pietà.
La bomba nucleare è una di queste. L’utilizzo di questa diabolica arma ha posto fine alla guerra in Giappone. Ovviamente voi tutti sapete benissimo cosa sia successo: sono passati 74 anni da quando le due bombe atomiche sono state sganciate a Hiroshima e a Nagasaki, rispettivamente il 6 e il 9 agosto 1945. In questi 74 anni abbiamo mantenuta viva la memoria di questo nuovo orrore causato al termine della guerra e le due date sono considerate come date speciali, onde poter continuare a suonare il campanello di allarme come monito e rendere omaggio non solo alle vittime della bomba atomica, ma a tutti i caduti durante la guerra, pregando per la pace e rinunciando a qualsiasi forma di guerra e di violenza. Ecco perché il mese di agosto è chiamato “il mese della preghiera”. Anche quest’anno abbiamo pregato insieme a giapponesi e tanti stranieri accorsi da tutto il mondo.
Il 6 agosto scorso, nella sua Dichiarazione di Pace, il sindaco di Hiroshima, Sig. Kazumi MATSUI, ha espresso la sua preoccupazione in merito alla situazione del mondo e alla stagnazione dei movimenti volti all’abolizione delle armi nucleari, invitando ad ascoltare le testimonianze degli hibakusha, ossia i sopravvissuti alla bomba nucleare. Ha citato le parole di uno hibakusha, all’epoca un giovane diciottenne, che ha vissuto e visto gli orrori immediatamente dopo la deflagrazione della bomba. [cit] “Non riuscivo a distinguere il sesso delle persone, che erano praticamente nude, perché gli abiti erano bruciati. Capelli inesistenti, occhi fuoriusciti dalle orbite, labbra e orecchie strappate, pelle del viso ciondolanti, sangue su tutto il corpo…persone, persone”. Raccontando gli orrori che hanno vissuto, gli hibakusha hanno ricoperto e ricoprono tutt’ora un ruolo fondamentale nel comunicare agli altri quanto sia stupida la bomba nucleare e quanto possa essere preziosa la vita. Quindi il sindaco ha chiesto se il messaggio di questi hibakusha, che continuano ad avere profonde ferite anche nell’anima, sia arrivato a tutti i presenti.
La preziosità della vita quotidiana rubata in un attimo. Solo nel 1945, anno in cui sono state sganciate le bombe, si sono contati rispettivamente 140mila vittime a Hiroshima e 70mila a Nagasaki. 74 anni dopo, l’età media degli hibakusha è di 82 anni e ormai sono in pochi a essere ancora in vita. La realtà è che persone che hanno perso genitori e fratelli, figli e nipoti degli hibakusha soffrono tutt’ora e sono chiamati hibakusha di seconda e terza generazione.
Non possiamo far finta di non vedere che, nonostante sia passato più di mezzo secolo, vi siano ancora gli orrori di questo devastante, indiscriminato e crudele sterminio di massa.
Sua Santità Papa Francesco, che il prossimo novembre viene a visitare le città di Hiroshima e Nagasaki, una volta disse che le armi nucleari non potessero essere il fondamento di una pacifica convivenza del genere umano. Non solo. Ha anche detto che la testimonianza degli hibakusha potessero essere una lezione, come una “voce profetica”. Nel 2017, il Papa, augurandosi che venisse distribuita in tutto il mondo, ha scritto un messaggio, “il frutto della guerra”, su una foto di un ragazzo che, dopo la devastazione della bomba nucleare, fa la fila al forno crematorio per cremare il fratellino morto, ancora sulle spalle. La figura di questo ragazzo, nonostante siano passati più di 70 anni, non solo denuncia al mondo la tragedia che comporta una guerra e auspica la pace, ma allo stesso tempo, sembra presagire un futuro in cui non vi è alcun progresso verso l’abolizione delle armi nucleari.
Il 2 agosto scorso è decaduto il trattato INF (n.d.r “intermediate-range nuclear force” treaty ; “forza nucleare a raggio intermedio”), che è stato un pilastro durante la guerra fredda, senza che gli Stati Uniti e la Russia arrivassero ad un accordo. Ancor più triste è il fatto che il Giappone, unica nazione al mondo che ha subito l’attacco di due bombe atomiche, non abbia partecipato al Trattato per la proibizione delle armi nucleari e in questo modo le reali intenzioni degli hibakusha non sono in alcun modo trasmesse. Abbiamo il dovere di recepire i sentimenti non solo degli hibakusha, ma anche di tutte le vittime delle guerre.
Nel messaggio del Monte Hiei 2017, anno in cui ricorreva il 30゜anniversario del Summit religioso del Monte Hiei, si proclamava che “[…] dobbiamo promouovere l’abolizione delle armi nucleari ora in maniera ancor più forte, quando vi sono ancora gli ultimi testimoni della bomba nucleare. Gli esseri umani in passato hanno visto gli incidenti causati nelle centrali nucleari e i disastri ambientali che ne sono derivati. Dobbiamo prendere coscienza dei limiti dell’energia nucleare e capire quanto possano gravare sulle generazioni future. Non solo. Vi sono anche problematiche legate ai residui nucleari, ed è per questo che dobbiamo prendere una posizione affinché in futuro non si debba utilizzare l’energia nucleare.”
Vi faccio una domanda: qualcuno di Voi è stato mai in Giappone? In passato molti turisti stranieri andavano a visitare Hiroshima e Nagasaki, ma, negli ultimi anni, il loro numero è cresciuto tantissimo. In particolare, a Hiroshima, le persone visitano il Museo del Memoriale per la Pace, dove possono vedere le cose e gli scritti lasciati dalle vittime: molti di loro rimangono in silenzio a pregare mano nella mano.
Nonostante la differenza di lingua e di fede, dal loro atteggiamento si capisce chiaramente che sono lì ad onorare le vittime e a pregare perché cessino le guerre e regni la pace.
La bomba nucleare e tutti i tipi di armamenti nucleari sono strumenti del demonio, creati dalle mani dell’uomo. Continuerò a sostenere l’abolizione e questa è anche una nostra responsabilità.
Tuttavia, l’“assenza della guerra” non significa automaticamente “pace”.
Il processo verso la pace non è cosa semplice.
Povertà, fame, razzismo. Aggiungiamo il problema ambientale, che inizia a minacciare le nostre vite.
Il sociologo norvegese Johan Galtung ha scritto: “ È certo che vi siano persone vittime di disagi (letteralmente “svantaggi”) anche se non li hanno mai desiderati. Anche questo è un’altra forma di violenza”. Galtung ha chiamato questo tipo di violenza, generatasi a causa della struttura societaria, “violenza strutturale”.
Di questa violenza strutturale non riusciamo a determinare l’artefice, ma esiste la violenza fin tanto che ci sono delle vittime.
Pensiamo che l’”assenza delle guerre” significhi “pace” e che per “violenza” s’intenda la violenza diretta che causa danni a livello fisico, sia esso frutto di percosse o che sia letale.
Quando parliamo di pace, ne dobbiamo parlare partendo dal fatto che tutto sia equo e questa è una tematica sociale comune a livello mondiale.
Dobbiamo così affrontare il tema della pace come un problema inerente ad un diritto fondamentale dell’uomo.
In questo senso, la responsabilità e il ruolo ricoperto dai religiosi, alle prese con i cuori degli esseri umani, è assai grande. Ed è per questo motivo che, in primis, è necessario che siano i religiosi a implementare il dialogo interreligioso.
Durante il 30゜anniversario del Summit Religioso del monte Hiei, Sua Santità, Papa Francesco, ha mostrato l’importanza nel costruire lo spirito del dialogo e dell’amicizia, scrivendo: “[…] Questo Summit religioso dà un contributo significativo per la costruzione dello spirito del dialogo e dell’amicizia, che permette ai credenti di tutte le religioni del mondo di lavorare insieme, aprendo nuove strade per la pace e aiutandoci ad approfondire il rispetto degli uni verso gli altri.”
Per realizzare la vera Pace mondiale, dobbiamo riconoscere i valori nelle diversità e diventare veri amici nella convivenza.
Buddha Shakyamuni così pregava: “Non commettere del male, fai tutto ciò che sia buono”, lavorando diligentemente con tutti in questo mondo per mantenere la non violenza. Inoltre ci insegna che “noi tutti temiamo la violenza e la morte. Mettetevi nei panni degli altri. Non uccidete e non fate che gli altri uccidano.”. Nel mondo continuano a susseguirsi guerre e atti terroristici e vediamo tante vite preziose spezzarsi. Dobbiamo affrontare le guerre “mettendoci nei panni degli altri”: in altre parole, dobbiamo sentire l’agonia e il dolore degli esseri viventi che sono sul punto di essere uccise e prendere delle iniziative in base a quanto immaginiamo.
Sono convinto che, grazie alla Sapienza che le religioni del mondo hanno coltivato, qualsiasi tipo di violenza verrà eliminata.
Noi religiosi, radunati ancora una volta qui a Madrid, dobbiamo rafforzare i nostri legami, confermare che la reciproca comprensione e la solidarietà sono alla base della pace mondiale e della prosperità.
Infine, non sono sicuro se siano presenti in questa sala, ma vorrei ringraziare dal profondo del mio cuore il Prof. Agostino Giovagnoli e Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio, che da anni mi incoraggiano a partecipare a questi incontri. Spero che la nostra profonda amicizia possa continuare nel tempo.
Grazie per la cortese attenzione.