Signor Presidente, Signori e signore, Amici tutti
Mi chiamo Zohra Sarabi, ho 18 anni, e vengo dall’Afghanistan. Sono arrivata in Italia con il Corridoio Umanitario di Sant’Egidio nel mese di luglio del 2022 e da più di un anno vivo a Roma.
Non ero ancora nata quando nel 1996 i talebani hanno conquistato per la prima volta il mio paese. A Kabul, con la presenza delle forze occidentali, la vita era ricominciata. I problemi c’erano ma almeno c’era anche la speranza.
In quegli anni ho avuto la fortuna di poter studiare e soprattutto di poter sognare. Poi il buio è tornato, quel 15 agosto del 2021, e tutto è cambiato. Voglio raccontarvi il mio 15 agosto. Ero a scuola con i miei compagni quando i professori ci hanno detto che i talebani stavano avanzando in città. L’incubo che conoscevamo solo dai racconti diventava realtà anche per noi. Ci hanno detto “andate subito a casa”. In quei giorni tutti volevano fuggire. C’era una grande confusione e tutti cercavano qualcuno in occidente che potesse portarli fuori dal paese. Dopo la bomba all’aeroporto di Kabul la situazione è precipitata. Per me e la mia famiglia – come per tanti altri - la vita era in pericolo perché mio padre, prima dei talebani, lavorava per il ministero della difesa. Era considerato un nemico. Non uscivamo più di casa. Eravamo disperati.
Oggi in Afghanistan le donne non possono più studiare, ma non possono neanche uscire di casa da sole senza uomini: non puoi nemmeno lavorare e mantenere la famiglia e la povertà cresce ogni giorno di più. Le ragazze non possono scegliere chi incontrare o avere amici. Per loro la vita è diventata impossibile perché manca la libertà. E la libertà è tutto.
Per arrivare in Europa, l’unico modo che esiste oggi per gli afgani è andare in un paese vicino. Ma è molto difficile avere il visto.
Sono dovuta partire in fretta, senza mio padre e mia madre: per lui era troppo pericoloso chiedere il passaporto. Lo avrebbero riconosciuto. Ma non mi ha chiesto “vuoi andare?”: mi ha detto “DEVI ANDARE”. Ero molto triste. Anche lui era triste, ma mi ha voluto salvare. Alcuni, in Europa, pensano che noi vogliamo solo un futuro migliore: noi non vogliamo un futuro migliore, vogliamo SOLO UN FUTURO.
Siamo andati in Pakistan. Ci sono milioni di afghani in Pakistan e in Iran, senza soldi, lavoro, scuola. Aspettano. Aspettano che qualcuno li porti via. Si cominciava a parlare di un corridoio umanitario. Tra i rifugiati ogni notizia è un appiglio per guardare al domani. A maggio del 2022 ho sentito che Sant’Egidio era arrivato a Islamabad e ci voleva intervistare. Ho cominciato a stare meglio… A sperare di nuovo. Mi ricordo il giorno in cui la Comunità ci ha invitati in una sala per conoscerci.
Anche se l’attesa mi è sembrata lunga, non ero disperata, perché dentro di me pensavo “qualcuno mi vuole, qualcuno mi sta aspettando”. Il 27 luglio, finalmente partivamo con un aereo, legalmente, per l’Italia! Sembrava una festa. 217 persone, quasi tutti giovani e bambini che caricavano i bagagli e salutavano. Mi ricorderò sempre quel giorno.
Ora posso parlare e fare amicizia con tutti. L’Italia mi piace. Sono andata tante volte anche io ad accogliere a Fiumicino gli afghani che sono arrivati dopo di me con i corridoi umanitari. L’accoglienza fa bene al cuore di chi deve dimenticare la sofferenza ma anche al cuore di chi accoglie, perché insieme stiamo costruendo una società migliore. Tornata da Berlino comincerò l’università. Voglio studiare la mediazione culturale e aiutare gli altri immigrati. Questo mi rende felice.
Alla fine vorrei ringraziare per l’opportunità di fare questa testimonianza sul mio paese davanti a voi tutti che rappresentate le religioni e gli Stati, e vorrei chiedere a tutti di non dimenticare l’Afghanistan, i suoi bambini, le donne, i giovani, tutti coloro che soffrono, grazie.