Credo sia una felice coincidenza che mi sia stato dato l'onore di partecipare a questo panel proprio prima dell'inizio del nuovo anno ebraico, Rosh HaShanah. In effetti, l'intero mese che lo precede è di preparazione ai Giorni Santi del calendario ebraico e il tema centrale di questa stagione è racchiuso nella parola ebraica "teshuvah".
Viene comunemente tradotto come "pentimento", ma in realtà deriva dalla radice ebraica "shuv" che significa "ritorno".
Il titolo di questa tavola rotonda a cui ho l'onore di partecipare è naturalmente articolato dagli organizzatori da un punto di vista cristiano, secondo cui l'umanità ha intrinsecamente bisogno di essere "salvata". Credo che la maggior parte dei cristiani intenda ciò nel senso che gli esseri umani non sono in grado di salvarsi da soli. Tuttavia l'ebraismo non ha lo stesso approccio. Afferma che, essendo tutti gli esseri umani creati a "immagine e somiglianza divina", tutte le persone sono create naturalmente buone. Allo stesso tempo, siamo stati creati con la capacità di discernimento e di scelta. La scelta implica inevitabilmente che a volte commettiamo degli errori, per lo più involontari, ma a volte intenzionali. Per lo più sono di piccola entità, ma a volte sono grandi; alcuni commettono questi errori spesso, altri occasionalmente. Questi errori sono ciò che chiamiamo "peccato" e ci allontanano sia da Dio sia dalla bontà e dalla nostra somiglianza con Dio. Diversi fattori possono portarci al peccato, ma per lo più esso è il risultato della debolezza (veniamo facilmente corrotti e distratti) e della pigrizia.
Tuttavia, l'ebraismo insegna che, così come siamo stati creati con una capacità di scelta innata, siamo stati creati anche con una capacità innata di superare il peccato, di emendare noi stessi e di ritornare a Dio, alla bontà ed alla somiglianza con Lui.
La liturgia di questo mese, e in particolare dei giorni di festa che comprendono i dieci giorni di penitenza tra Rosh haShanah e Yom Kippur, il giorno dell'espiazione, è incentrata su questo concetto: riflettere sull'anno passato, sulle nostre mancanze, in opere ed in omissioni, sul nostro sincero pentimento per questi peccati e sul nostro proposito di comportarci meglio e di meritare un altro anno di vita.
Il salario del peccato è la morte, ma la "teshuvah" sincera insieme alla preghiera e alla carità, come viene dichiarato nella liturgia dei giorni di festa, "scongiurano il decreto del male", cioè ci "salvano" e ci offrono il dono divino di un ulteriore anno di vita.
Tuttavia, questa responsabilità non può essere solo personale. Per cominciare, i nostri saggi insegnano che, mentre i nostri sforzi in questo senso possono espiare i nostri peccati nei confronti di Dio, cioè le trasgressioni personali, non possiamo raggiungere la piena "teshuvah" fino a quando non abbiamo chiesto perdono ai nostri simili per qualsiasi peccato che possiamo aver commesso nei loro confronti. Di conseguenza, senza la nostra espiazione sociale, non ci può essere l'espiazione e la liberazione divina, la "salvezza" delle nostre anime. Inoltre, la nostra liturgia in questi giorni è formulata al plurale "abbiamo peccato", ecc. Così viene espresso il concetto che abbiamo una responsabilità collettiva uno nei confronti dell’altro, e nei confronti delle nostre comunità.
Quindi come è facile intendere, l'ebraismo considera Rosh haShanah come il giorno annuale del giudizio divino. Ma viene anche identificato come il momento in cui ebbe luogo la creazione del mondo, e più precisamente la creazione dell'essere umano, ognuno di noi creato a "immagine e somiglianza divina".
Di conseguenza, la nostra liturgia in questi giorni ritrae tutti gli esseri umani come se in questo momento venissero giudicati davanti al tribunale celeste, e come se venisse determinato il valore e il futuro di ognuno.
Questi concetti affermano di per sé l’inestricabile relazione che ci lega gli uni con gli altri, e l’impossibilità di essere veramente purificati e "salvati" dalle conseguenze del peccato senza assumerci tutti la responsabilità gli uni verso gli altri, e in particolare verso i poveri, i bisognosi ed i vulnerabili.
La redenzione ha naturalmente un particolare aspetto nazionale nella tradizione ebraica. Questo perché l'Alleanza divina stipulata con i figli di Israele è specificamente legata alla vita del popolo in quanto tale nella terra dell'Alleanza, la terra della Promessa, la terra di Israele. Pertanto, l'esilio dalla terra è raffigurato nella Bibbia, ed era visto dal popolo, come la punizione divina per il nostro peccato. Tuttavia, i libri del Levitico e del Deuteronomio chiariscono che l'Alleanza divina è eterna e quindi, per quanto lungo possa essere l'esilio, Dio, nella sua illimitata misericordia e compassione, ci riporterà sempre nella Terra dell’Alleanza per darci un'altra possibilità.
Tuttavia, anche in questo caso, la nostra capacità di essere salvati dalle conseguenze del nostro peccato, cioè dall'esilio, dipende dal nostro comportamento collettivo, e in particolare dalla nostra preoccupazione per lo straniero, la vedova, l'orfano ed il povero. Nelle parole del profeta Isaia: "Sion sarà riscattata (solo) attraverso la giustizia, e coloro che ritornano a lei, attraverso la rettitudine".
Questo è un messaggio per tutti noi. Solo il nostro impegno e la nostra cura a far progredire la giustizia per tutti, in particolare perchè essa sia assicurata ai bisognosi e agli stranieri, possono garantire il benessere e la prosperità delle nostre società nel loro insieme.