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Jean-Dominique Durand

Historian, President of the Judeo-Christian Friendship in France
 biography
Ogni anno, in occasione degli incontri interreligiosi per la Pace, la Comunità di Sant’Egidio ci invita a riflettere sull’Europa [intesa] come una famiglia o un mosaico di popoli, ma anche come terra di conflitti e, ancora, come un destino, secondo l’espressione del Cancelliere tedesco Helmut Kohl. 
Sant’Egidio vede nell’Unione europea un modello di riconciliazione e di pace, unico al mondo. Ad Andrea Riccardi piace sottolinearne la diversità di lingue, culture, tradizioni, religioni, «odori e sapori». Secondo lui, essa «realizza la società del convivere», contrassegnata dall’incontro di civiltà e popoli, con la responsabilità di costruire ponti verso il mondo. «Il mondo ha bisogno dell’Europa» diceva Andrea Riccardi nel suo discorso di Aquisgrana, nel ricevere il Premio Carlo Magno, nel 2009, e faceva riferimento all’azione di Sant’Egidio : «Realtà europea, Sant’Egidio sente la passione di vivere e di operare fuori dell’Europa». Con una missione particolare in Africa: «La prima missione dell’Europa si chiama Africa», egli affermava, richiamando il sogno dell’Eurafrica di Léopold Sédar Senghor, il primo Presidente del Senegal indipendente. 
 
L’Europa viene da lontano. L’Europa attuale è una sopravvissuta; [sopravvissuta] a due guerre che la hanno devastata nel XX secolo. Il magnifico film di Roberto Rossellini, Germania, anno zero, ha testimoniato come, nel 1945, [l’Europa] fosse annientata. Il 25 aprile 1945, le truppe americane e l’Armata rossa si congiungevano a Torgau, sull’Elba. L’Europa non esisteva più. Tuttavia, essa non ha solo saputo ricostruirsi, ma anche costruirsi su basi radicalmente nuove: è stata la soluzione comunitaria, avanzata da Robert Schuman e Jean Monnet nella Dichiarazione del 9 maggio 1950. È stata la messa in comune del carbone e dell’acciaio, un’idea rivoluzionaria: 
«Sarà così effettuata, rapidamente e con mezzi semplici, la fusione di interessi necessaria all’instaurazione di una comunità economica e si introdurrà il fermento di una comunità più ampia e più profonda tra paesi lungamente contrapposti da sanguinose divisioni». 
Senza cadere nella nostalgia, facciamo memoria della potenza delle intuizioni dei Padri dell’Europa, in particolare di Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi, statisti che hanno pensato ad un’Europa rigenerata sul duplice fondamento della solidarietà e della generosità concrete, [personalità] che papa Francesco ha recentemente definito «araldi della pace e profeti dell’avvenire».  
Comunità significa messa in comune di prodotti essenziali e loro gestione comune e condivisa. Significa dar vita a un destino comune. La parola comunità proviene dal cristianesimo, esprime la volontà di creare relazioni forti tra i membri [della stessa]. Anche se le Comunità europee hanno scelto (per insistenza britannica!) di abbandonare tale termine a favore del più blando vocabolo “Unione”, ciò non toglie che l’Unione europea sia proprio una comunità; certo, con le sue debolezze e i suoi problemi di funzionamento, ma anche con la sua forza e la sua solidità, perché i legami cui si è data vita sono indissolubili e difficili [anche] da spezzare, come ha dimostrato la saga della Brexit. [Partendo] dal carbone e dall’acciaio, questa prima Europa ha edificato una serie impressionante di regole comuni in tutti i campi, nel mentre si allargava al punto da venir oggi a corrispondere a una gran parte del continente. Ha saputo resistere a numerose crisi, monetaria, sociale, agricola, persino sanitaria. Da tutte le crisi, ha saputo uscire rafforzandosi, rafforzando le proprie regole comuni. Da 75 anni a questa parte, la comunità ha reso possibile la pace in Europa. La comunità è un metodo: delegazioni di sovranità, dialogo organizzato tra gli Stati membri, istituzioni comuni, ricerca del compromesso. Ma è anche valorizzazione di ciò che è condiviso: le eredità giudaico-cristiane e greco-romane; una certa idea dell’uomo [inteso] come persona; i diritti umani; la solidarietà tra nazioni e tra regioni, all’interno dell’Europa ma anche verso il resto del mondo; il rispetto delle culture nazionali. 
Tuttavia, da diversi anni a questa parte, l’Europa vede emergere al proprio interno nuove paure, nuovi ripiegamenti su di sé, populismi e neo-nazionalismi, che tendono ad esasperare l’idea di frontiera. La guerra è nuovamente presente sul suo territorio, in Ucraina e nella stessa Unione, col terrorismo islamista che punta a lacerare le nostre società. Essa si confronta con un’inaudita risorgenza dell’antisemitismo, con una drammatica circolazione del virus dell’odio antisemita, che si riallaccia decisamente alla volontà nazista di eliminare la memoria ebraica dell’Europa. Per l’Europa, basata spiritualmente e intellettualmente sull’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma, lasciar prosperare, e ancor più incoraggiare, tale odio, costituisce un rischio esistenziale. Denis de Rougemont coglieva, nei suoi Écrits sur l’Europe [Scritti sull’Europa], «le tre virtù cardinali dell’Europa: il senso della verità oggettiva, il senso della responsabilità personale e il senso della libertà». L’Europa costituisce l’area del mondo con la maggior densità di incontri tra i popoli e le tradizioni culturali. In questo c’è l’anima [stessa] dell’Europa, ma tale apertura può anche renderla fragile. 
Giovanni Paolo II dichiarava ai Presidenti dei Parlamenti nazionali degli Stati membri dell’Unione europea, il 24 settembre 2000:
 
«l'Unione europea non [deve] dimenticare di essere la culla delle idee di persona e di libertà, e che queste idee le derivano dal suo essere da tempo pervasa dal cristianesimo. (…) Che l'Unione europea possa conoscere un nuovo sussulto d'umanità! Che sappia ottenere il consenso necessario per inscrivere fra i suoi ideali più alti la tutela della vita, il rispetto dell'altro, il servizio reciproco e una fraternità senza esclusioni!».
Innanzi al Parlamento europeo, il 25 novembre 2014, papa Francesco ha messo in guardia contro un’Europa in via di invecchiamento, che ha perduto la sua vitalità, in declino, persino sterile, senza creatività. Secondo lui, la sfida consiste nel rinnovare le tradizioni umaniste dell’Europa: solidarietà, generosità e dialogo tra le culture sono, a suo avviso, le parole chiave per rilanciarla. La preoccupazione del Papa è quella di edificare «una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione». Evidentemente, egli pensa alla questione delle migrazioni. Per tutto questo, l’Europa dovrebbe appoggiarsi alla propria tradizione personalista, rimettere al centro delle proprie politiche quella “persona umana”, cara a Emmanuel Mounier e a Jacques Maritain così come ad Emmanuel Lévinas, che esprime la vocazione “personale” di ogni essere umano. 
 
Per parlare dell’Europa e del suo avvenire in questo nostro mondo pieno di tensioni e di incertezze, abbiamo riunito un panel d’eccezione, che ospita responsabili religiosi e politici e diplomatici.