September 23 2024 09:30 | Mairie du Vème arrondissement – Salle des fêtes
Intervento di Fridolin Ambongo Besungu
Introduzione
1. Dalla sua etimologia greca, dēmokratía (demos = popolo e krátos = potere), la democrazia generalmente è definita come l’esercizio del potere del popolo, da parte del popolo e per il popolo. Opposta formalmente alla dittatura, suppone un regime politico in cui direttamente o indirettamente, attraverso i propri rappresentanti, tutti i cittadini prendono parte attiva alla vita e alle decisioni pubbliche della polis. Certamente, malgrado la sua diversificazione, la democrazia che promuove la sovranità del popolo vuol essere al tempo stesso un sistema di governance fondato su valori che rendono forti le istituzioni della polis. Ma possiamo affermare che una tale democrazia può coesistere con l’ascesa degli «uomini forti», con l’aumento di un certo autoritarismo? Qual è il futuro della democrazia all’interno delle configurazioni politiche del primo quarto di questo XXI secolo?
2. Partendo dal contesto mondiale e dalla situazione dell’Africa, vorremmo dimostrare che la democrazia è messa a dura prova dall’ascesa dell’autoritarismo a scapito dei sistemi delle Istituzioni forti.
Contesto mondiale e attualità africana
3. Prima di tutto, notiamo che il contesto mondiale attuale presenta una certa crescente instabilità. Essa è caratterizzata dalla tendenza dell’opinione pubblica internazionale a cercare soluzioni semplici e immediate a problemi complessi. Queste soluzioni consistono spesso nella ricerca della figura dell’»uomo forte», cioè nel ricercare un’autorità dai « pieni poteri ». Una simile scelta politica respinge le lentezze e le difficoltà dei meccanismi parlamentari e delle dinamiche elettorali legati alla cultura democratica del XIX e del XX secolo.
4. Questo fenomeno com’è percepito in Africa? Osserviamo che questo contesto mondiale non risparmia i paesi africani che in generale presentano già delle debolezze istituzionali o strutturali. Per convincercene, basta pensare a quei paesi africani coinvolti nelle ondate di autoritarismo politico, in particolare i paesi dell’Africa occidentale che hanno conosciuto i recenti «colpi di Stato». Questo paesaggio che fa a pezzi l’ordine istituzionale instaura un clima di malessere generalizzato che rimette in discussione la democrazia come sistema statale. D’altronde, è proprio contro questa tendenza a servirsi dei colpi di Stato o a modificare le costituzioni per rimanere al potere, che l’ex Presidente degli Stati Uniti, nel suo discorso del 11 luglio 2009 ad Accra, ha chiaramente affermato che «L’Africa non ha bisogno di uomini forti, ma di forti istituzioni».
5. A che punto siamo? In questa svolta storica con i conflitti della «Terza Guerra Mondiale a pezzi», come dice Papa Francesco, mi sembra che si stia perseguendo un programma politico contrario all’ideale democratico : destabilizzare le istituzioni per privilegiare gli « uomini forti ». Ma con che risultato? Notiamo che le situazioni di conflitti e di guerre più o meno aperte sono sempre molto favorevoli ai colpi di autoritarismo. Uno dei problemi da non ignorare in questo contesto consiste nella gestione dell’autorità in politica; poiché meno Democrazia significa istituzioni deboli e meno controlli sulla gestione del bene comune. In altre parole, l’indebolimento dei sistemi democratici lascia la porta aperta alla corruzione che incancrenisce la maggioranza dei paesi africani (e non solo). Questa corruzione che impoverisce interi paesi impedisce spesso alla popolazione di godere sia del reddito del proprio lavoro, che delle risorse finanziarie dello Stato e dei servizi pubblici.
Il caso della RDC
6. In un contesto di regresso dell’immaginario della globalizzazione, la democrazia appare come un mero prodotto della cultura «occidentale», destinato al fallimento. Certo, bisogna riconoscere che certi tentativi di imporla con la forza non hanno affatto aiutato la causa democratica nel mondo. È in questo senso che si sarebbe tentati in Africa di vedere la Democrazia come un prodotto d’importazione occidentale, ovvero l’eredità di un passato coloniale da dimenticare. Tuttavia io vengo da un Paese africano, la Repubblica Democratica del Congo, che dopo il fenomeno della «Zairizzazione» o dell’autenticità africana sotto il regime di Mobutu, ha voluto ritornare all’ideale democratico e custodire gelosamente nella sua denominazione la parola « Democratica ».
7. Perché questa scelta? Da un lato bisogna dire molto semplicemente che anche nella cultura dei nostri antenati c’erano delle venature democratiche. Sempre di più, studi recenti di antropologia dimostrano che nelle società africane, il ruolo delle Assemblee dei villaggi o delle comunità era un esercizio democratico fondamentale per lo sviluppo della vita sociale. Anche se non si può immaginare il futuro di un paese soltanto guardandone il passato, è importante sottolineare che ispirarsi a un passato che produce tutta una cultura, diventa un’indicazione affidabile per costruire il futuro.
Chiesa cattolica e processo democratico nella RD del Congo
8. La Chiesa cattolica nella RDC ha accompagnato le diverse fasi della transizione dal regime del partito unico del governo Mobutu all’avvento delle istituzioni democratiche. Per ricordare, era il 1991 quando il mio Predecessore, il Cardinale Monsengwo Pasinya, di beata memoria, aveva assunto la direzione della Conferenza Nazionale Sovrana. Era il momento in cui tutte le componenti della società civile e politica del Paese avevano riconosciuto alla Chiesa Cattolica un’autorità morale reale per accompagnare questa fase critica di un Paese che usciva da più di trent’anni di potere autocratico. Dopo il dialogo inter-congolese di Sun City nel 2002, la presenza a capo della CENI (Commissione Elettorale Nazionale Indipendente) di un membro rappresentante della Chiesa cattolica era una garanzia di controllo e di verifica della regolarità del processo elettorale del 2006. La diffusione su tutto il territorio nazionale della Commissione «Giustizia e Pace» della CENCO ha permesso un lavoro notevole di educazione e di formazione ai diritti democratici di tutta la popolazione, affermando in tal modo che la vera sfida di ogni struttura veramente democratica consiste nella partecipazione di tutto il popolo.
9. Così, in modo significativo e decisivo, la Chiesa cattolica della RDC si è fatta promotrice di un’evoluzione democratica che, ahimè, è tuttora messa alla prova. In effetti, fino ad oggi, ogni svolta elettorale ha conosciuto opacità d’interpretazione che non hanno permesso di rendere giustizia alla volontà popolare. Tuttavia, anche allora, la Chiesa ha voluto proteggere il bene comune e la garanzia della tenuta delle istituzioni per continuare a guardare al futuro. Era quello lo scopo degli accordi di San Silvestro del 31 dicembre 2016, che hanno consentito ancora una volta una transizione tranquilla e un passaggio pacifico del potere in seno alle istituzioni dello Stato congolese.
Chiesa cattolica e ideale democratico
10. Ci si potrebbe quindi chiedere perché la Chiesa Cattolica, un’istituzione religiosa e non politica si è fatta carico di tutte queste azioni. Io penso che con l’Insegnamento della dottrina sociale della Chiesa Cattolica, possiamo scoprire una certa forma di democrazia nella Chiesa e alcune vere sfide della concezione dell’Autorità. La base di un approccio simile è già posta nell’etimologia stessa della parola «Chiesa» che deriva dal greco «Ekklesia », che significa « assemblea ». La designazione della Comunità dei discepoli di Cristo come Chiesa si è largamente appoggiata sulla realtà e sul funzionamento delle antiche assemblee popolari che esercitavano la democrazia nelle città-stato dell’antica Grecia. E’ anche alla luce di questa accezione che la seconda fase del Sinodo della Chiesa sulla sinodalità approfondirà il tema di una Chiesa «Sinodale ». Un’Assemblea che cammina insieme, attenta ad ascoltare e a dare la parola a tutti.
11. Questa allusione alle origini greche della parola Chiesa mostra che la democrazia non è un’invenzione moderna, né una creazione del progetto della globalizzazione, ma ha radici molto antiche che la Bibbia non ignora. In particolare, la problematica del rapporto tra istituzioni solide e uomini forti non è estranea alle Scritture. Nel Libro del Qoèlet al capitolo 9,13, si può leggere:
«Anche quest’altro esempio di sapienza ho visto sotto il sole e mi parve assai grave: c’era una piccola città con pochi abitanti. Un grande re si mosse contro di essa, l’assediò e costruì contro di essa grandi fortificazioni. Si trovava però in essa un uomo povero ma saggio, il quale con la sua sapienza salvò la città; eppure, nessuno si ricordò di quest’uomo povero. Allora io dico: «È meglio la sapienza che la forza, ma la sapienza del povero è disprezzata e le sue parole non sono ascoltate”. Le parole pacate dei sapienti si ascoltano meglio delle urla di un comandante di folli. Vale più la sapienza che le armi da guerra, ma un solo errore può distruggere un bene immenso.».
Oggi, si preferisce ascoltare e seguire «le urla di un comandante di folli », piuttosto che « le parole pacate dei sapienti ». Ma la sfida della democrazia nel nostro tempo è proprio qui, permettere che la voce dei senza voce, la voce di un uomo povero ma sapiente, possa essere ascoltata e avere un valore. Finché ci sarà questa possibilità, ci sarà una possibilità di salvezza per il mondo intero.