Nel nome di Dio, clemente e misericordioso,
Egregio pubblico,
la pace sia von voi tutti.
Gentile pubblico, permettemi di esprimere la mia gioia profonda di essere qui in questo incontro benedetto, dico benedetto perché parlerò de ricordi a me molto cari personalmente. E come non potrebbero esserlo dal momento che da essi provengono fatti carichi di dolore e speranza, lezioni e ammonimenti, prove e tribolazioni. Sono i ricordi dei monaci del monastero dell’Atlas, a Tibhirine, a Medea.
A proposito, la parola Tibhirine è una parola berbera-amazigh che significa: giardino. E ora le teste delle vittime giacciono al centro di questi giardini, quanto al luogo in cui furono uccisi esso è “Gial Tamzqidah”, che in berbero significa Montagne di Fuoco.
Avrei voluto parlare dei sette monaci in dettaglio, perché non ce n'è uno solo con cui non abbia un ricordo specifico, ma per mancanza di tempo non mi soffermerò su tutti loro ora, con la speranza che Dio mi aiuti a scriverne nei giorni a venire, se Dio vuole. Io e molti altri amiamo il caro padre Luc, medico, che aveva 82 anni e ha trascorso la maggior parte della sua vita ad aiutare e curare le persone bisognose. Bruno LeMarchand, l'entusiasmo di Michel Fleury, la maestria nel lavoro di Célestin Ringeard, l'amore per la vita e il servizio ai poveri di Christophe Lebreton e la leggerezza di spirito di Paul Favre-Miville.
Dio ha voluto fare di tutti loro un seme benedetto che rappresenta il vero amore per la terra in cui vivevano, così come l'amore puro per l'altro che è diverso nella religione, e ha voluto che questo seme portasse frutto - anche se il sito di questo seme è stato innaffiato con il sangue innocente di questi monaci. Sono sicuro che questi frutti faranno rivivere nelle anime delle generazioni molti elementi di bontà, di perdono, di tolleranza e di amore. Sono stato felice quando ho incontrato ieri un vecchio amico che mi aveva visitato più di trent'anni fa nella mia città di Medea. Insieme avevamo visitato il Monastero di Nostra Signora dell'Atlas a Tibhirine, dove eravamo stati accolti calorosamente da Padre Christian e avevamo discusso diversi temi legati al dialogo e alla convivenza. Quest'anno la visita ha dato i suoi frutti: un caro amico, il signor Larbi Bishri, che attualmente è il decano del Collegio islamico per la formazione degli imam a Chateau Chinon, ha organizzato un pellegrinaggio (come lo chiamano i cristiani nella loro cultura) con un gruppo di studenti.
Hanno visitato il monastero e hanno preso il caffè e il tè nello stesso luogo in cui avevamo preso il tè con padre Christian, e hanno sostato davanti alle tombe dei sette monaci. Immaginate con me il valore di questo viaggio da parte dei futuri imam dell'Islam in Francia, e quale messaggio racchiude questa buona iniziativa nel rasserenare l'atmosfera tra persone di religioni diverse, invece di soffiare sull'allarme contro l'altro, come accade con l'estrema destra qui in Francia e in tutta Europa. Grazie a questo amico e grazie ai suoi studenti per questo benedetto ed esemplare sforzo di aprirsi al diverso e commemorare i sette monaci.
Signori,
Dio mi è testimone, Padre Christian non ha mai abbandonato la mia memoria da quando lo abbiamo pianto fino ad oggi, e l'ho menzionato in molti forum, conferenze e riunioni scientifiche, come dimostra la mia relazione a lui dedicata l'anno scorso a Berlino, dove ho detto: "Quando mi è stato chiesto di preparare questo discorso, sono stato trasportato indietro a 40 anni fa, quando ero un giovane che studiava alla Mecca ed ero in costante contatto per posta con mio fratello, un martire del patriottismo, dell'amicizia e della fratellanza, padre Christian de Chergé, un eroe che ha dato la sua vita per la possibilità di convivenza tra popoli diversi. Ricordo di averlo incontrato per l'ultima volta a Lovanio, in Belgio, all'inizio degli anni '90, dopo il colpo di Stato contro la democrazia in Algeria, e di avergli chiesto di lasciare l'Algeria fino a quando la situazione della sicurezza non si fosse stabilizzata. Mi rispose: "Come posso lasciare un oceano che mi ha amato e che io ho amato? Tibhirine e Medea con il loro cielo, la loro aria e la loro gente sono la mia vita, respiro il loro respiro e sono pronto a sacrificarmi per loro”. Come era nell'ordine inevitabile e nel destino scritto, così la mano del tradimento lo seguì ed egli morì tra coloro che amava e che lo amavano, e scrisse con la sua testimonianza il più meraviglioso esempio di sacrificio e di lealtà.
Oggi, signori del pubblico, la memoria mi riporta al passato remoto per raccontare la storia della mia conoscenza con Padre Christian de Chergé.
La prima volta che lo vidi fu nella nostra casa di Medea, dove mio padre era solito organizzare pranzi in onore dei notabili della città, tra cui intellettuali ed ecclesiastici. Forse il primo incontro che ricordo fu alle soglie dell'ingresso al primo anno di scuola secondaria, nel 1974.
Pochi mesi prima erano venuti a mancare due grandi intellettuali e letterati: Taha Hussein, il decano della letteratura araba, e Malik Ibn Nabi, il pensatore islamico. Questi studiosi erano l’oggetto dell'incontro. Tutto ciò che ricordo è che si parlò molto della negazione della poesia della Jahiliyya da parte di Taha Hussein e della discussione sulla questione del colonialismo da parte di Malik Ibn Nabi, ricordo che alcuni erano d’accordo con queste posizioni e altri visi opponevano duramente, e c'era chi ascoltava con calma e sobrietà, compreso padre Christian, con uno dei professori seduti accanto a lui che traduceva in francese.
Questo giovane o anziano uomo ha attirato la mia attenzione, con la sua alta statura, la sua apparente magrezza, i suoi occhiali spessi e il suo caratteristico abito da sacerdote trappista, parlò molto poco, intervenendo forse una sola volta durante la sessione.
Nel prendere la parola, ci ha raccontato la sua storia con l'amico Mohamed, un algerino musulmano, che ha pagato con la vita la loro amicizia quando sono stati attaccati da alcuni aggressori nel 1959. Disse: "Il sangue del mio amico che mi ha riscattato mi ha permesso di capire che ero chiamato a vivere la mia missione in questo stesso Paese, dove ho scoperto l'amore supremo, che si è donato per me". Questa storia è stata molto commovente per il pubblico. In seguito, ho saputo che egli era un cristiano cattolico, amante dei musulmani, e che era appena tornato dagli studi di arabo e scienze islamiche effettuati presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica Roma.
Ci sono state molte occasioni di incontro, sia a casa nostra che al Monastero di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine. Sì, ero giovane, ma abbastanza grande da rendermi conto delle dimensioni di alcuni concetti ed espressioni della religione, della filosofia, della cultura e della letteratura, e sentivo parlare, oltre alle sottigliezze della teologia, anche di politica e delle sue tragedie. Non avrei mai immaginato o pensato, all'epoca, che questi consigli sarebbero diventati il lievito che ha plasmato la mia coscienza e la coscienza di molti nella mia città e persino nella mia generazione. In questi incontri, si sono incrociate idee e prospettive, si è sviluppato il rapporto tra noi e il diverso, per etnia, religione e cultura. Credo che questo sviluppo sia stato uno sviluppo sano, radicalmente diverso dal rapporto malsano che esisteva prima dell'indipendenza dell'Algeria nel 1962.
Quel rapporto malsano era un prodotto del colonialismo di insediamento di cui abbiamo sofferto per 130 anni, che a sua volta ha generato un modello di pensiero tra i francesi in generale, intellettuali, ecclesiastici e gente comune, che credono che i popoli della regione siano barbari selvaggi ed eretici arretrati, ed è abbastanza naturale per loro pensare in questo modo. D'altra parte, tutti gli algerini consideravano tutti i francesi e gli europei come cristiani infedeli che avevano invaso le terre dell'Islam e che dovevano essere boicottati e contrastati ogni volta che le circostanze lo permettevano, con eccezioni da entrambe le parti che non possono essere menzionate in questo breve discorso.
Vi dico che, da quella data in poi, tra me e lui si è sviluppata una forte amicizia, nonostante la differenza di età e di religione. Lo andavo a trovare nel monastero dell'Atlante con mio padre diverse volte all'anno e, dopo aver conseguito il diploma di maturità, iniziai a visitare lui e i suoi compagni da solo, partecipando a molti dei loro seminari culturali. Dio volle che partissi per la Mecca per studiare, ma la nostra corrispondenza epistolare non si interruppe e la fratellanza trans-religiosa globale rimase saldamente radicata, e la distanza non fece che rafforzarla sempre di più. Non dimentico come mi chiedesse di pregare per lui sul luogo del Maqam Ibrahim [la Sosta di Abramo] della Santa Kaaba affinché Dio confermasse i suoi principi e il suo servizio ai poveri.
Se dovessi raccontare i miei ricordi di un quarto di secolo con Padre Christian, ne avrei molti, ma posso solo citare alcuni estratti di ciò che è custodito nella mia coscienza:
Mio padre mi ha raccontato che Padre Christian è andato a trovarlo a casa sua al ritorno dall'incontro dell'opposizione algerina a Roma, ospitato dalla Comunità di Sant’Egidio, e gli ha espresso la sua grande gioia per i risultati dell'incontro, rappresentati nel documento del Patto Nazionale. Gli disse che il Monastero di Nostra Signora dell'Atlante si stava preparando a ricevere gli ospiti per riprendere il processo di fratellanza umana, di convivenza e di comprensione, ma purtroppo questa coraggiosa iniziativa è stata abortita, come sapete, e gli eradicatori rifiutati dal popolo hanno scelto di continuare ad abortire l'esperimento democratico e a privare il popolo della sua libertà.
Testimonio che padre Christian e i suoi compagni erano di un solo cuore nella loro determinazione a rimanere nel monastero di Nostra Signora dell'Atlante, e che nella loro determinazione sono stati dei leoni d'amore per il Paese e per il popolo algerino rispetto ad alcuni nostri compatrioti che hanno scelto di negare la volontà del popolo, di aggrapparsi al potere e alla ricchezza e di far precipitare il Paese in un tunnel buio e solitario di cui ancora oggi subiamo gli effetti.
Credo che la semplice insistenza nel rimanere nel monastero con la gente, nonostante l'atmosfera di uccisioni e sangue in modo spaventoso e disgustoso, sia stata espressione di una lotta rispettabile da parte dei monaci, della loro solidarietà autentica con il popolo nel momento della sofferenza, come ha fatto il cardinale Duval prima di loro, rifiutando di andarsene con tutti quei pericoli, nonostante le pressioni e le minacce che stavano ricevendo dall'interno e dall'esterno, cosa che mi è stata confermata da padre Christian in Belgio, nonostante tutto questo, sono rimasti fermi e non sono venuti meno o addolorati.
Signori del pubblico,
diffidiamo tutti dall'esecrabile fanatismo, dall'estremismo insensato e dall'egocentrismo, e opponiamoci a tutte le manifestazioni di cecità politica e di disinformazione culturale praticate da mani malvagie in Occidente come in Oriente. Sono fermamente convinto che Padre Christian, se Dio gli avesse permesso di vivere, avrebbe preferito la solidarietà con suo fratello Mohammed a Gaza, anche se questa solidarietà gli fosse costata la vita.
La pace sia con voi.