Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi .
Premesse. Sguardo politico
La prospettiva dell’ecologia integrale proposta da Laudato si’ affonda le proprie radici sul concetto di ecologia umana. Il presente intervento intende sottolineare le declinazioni specificamente politiche dell’ecologia umana senza dimenticare le poliedriche rifrazioni in tanti settori disciplinari come pratici. Dopo una premessa sul tema ecologico-politico in chiave biblica cercherò di mostrare l’emersione del paradigma dell’ecologia umana, per delinearne l’interesse propriamente etico-politico e confrontarlo con la prospettiva di Francesco nella proposta di un’ecologia integrale sintetizzabile in tre parole chiave – dialogo, educazione, pace – che aprono lo scenario per un mondo in cui le religioni siano collante di unità e di pace e non fattore disgregante.
Lo sguardo politico sull’ecologia umana ci porta biblicamente a prendere spunto dalla fine o meglio dal fine della storia. L’Apocalisse rivela una dimensione profetica e per certi aspetti distopica in cui lo sguardo al futuro non sta ad indicare letteralmente le distruzioni e i disastri, ma altresì il risultato dell’incuria dell’uomo se questo non si incarica di indicare la direzione e il senso della custodia della creazione. Soprattutto Apocalisse indica la fine che proviene dagli idoli in quanto morte causata dagli idoli. Lo sguardo sulla fine non allontana dal presente e dalla storia, ma anzi permette di leggere ancora più a fondo le dinamiche quotidiane e contingenti. L’ecologia dell’Apocalisse è un’ecologia umana ma soprattutto un’ecologia politica, perché svela i meccanismi idolatrici che abitano il potere umano, sia quello istituzionalizzato ma anche il potere che ognuno esercita su di sé, sull’altro e sul cosmo, o che invece può decidere di declinare in una prospettiva di governo responsabile, sapiente e umile. La stessa hybris che Adamo sperimenta nell’atto genesico di concentrarsi su quel solo albero lasciando perdere tutti gli altri diviene in Apocalisse potere sovrano sulle nude vite degli uomini, salvate dall’Agnello che spezza la catena della vendetta.
1. Verso un soggetto ecologico del sapere
Questo spunto ecologico-politico ci porta a compiere il primo passo, cioè definire preliminarmente alcuni caratteri dell’ecologia umana. Di fronte all’emergere del paradigma dell’ecologia umana ci si può chiedere così se esista uno specifico apporto filosofico-teologico per indagare possibili ambiti regionali di afferenza e potenziali implicazioni. Le scienze naturali per prime hanno messo in campo la categoria di ecologia umana. Va precisato che i sentieri dell’ecologia umana scientificamente intesa e quelli dell’ecologia umana nella proposta etico-teologica sono differenti e l’utilizzo dello stesso termine non deve trarre in inganno, ma si possono in ogni caso descrivere dei singolari ed interessanti parallelismi ed ispirazioni per le questioni etiche.
Possiamo cogliere nella disciplina definita in ambito scientifico un netto e forte richiamo interdisciplinare se non transdisciplinare, sul piano epistemologico, e la relazione, intesa in maniera diversificata, tra uomo e ambiente circostante, con l’esaltazione talora del sistema o ecosistema di riferimento e la centratura maggiormente antropologica in altri casi. In terzo luogo ci troviamo di fronte all’affermazione dello scopo del raggiungimento della maggiore autonomia possibile per il singolo sistema ma anche dell’interazione dei sistemi in cicli sistemici interconnessi. Il cammino della complessità, detto in altri termini, è un cammino inesorabile, che porta insieme con sé la necessità della semplicità e della sobrietà. Paradossalmente la complessità del contesto spinge sempre più all’essenzialità delle scelte e delle relazioni e mostra la necessità che la complessità non venga gestita solo su un piano valoriale, divenendo richiamo utopico, o solo su un piano procedurale, perdendo così qualsiasi riferimento alla persona.
D’altro canto appare sempre più chiaro che il concetto di ecologia umana non può essere racchiuso solo dentro l’ambito puramente scientifico. La stessa disciplina, fatta da più discipline e transitando attraverso le stesse, indica come i fattori che la contraddistinguono sono l’ambiente naturale, la popolazione umana e la tecnica, invocando per ciò stesso dal proprio interno un contributo di carattere transdisciplinare e trasversale. In particolare il momento etico appare decisivo nella misura in cui il sistema di input e di output con relativi feedback rimane costantemente in una prospettiva intratecnologica o per così dire orizzontale, senza che ci sia possibilità di far valere nel meccanismo sistemico alcun riferimento antropologico e soprattutto facendo dello stesso uomo uno strumento del sistema industriale, economico, informatico, politico, in ultima analisi del sistema tecnologico. La tecnologia semplifica mentre l’essere umano complessifica, ma insieme i diversi sistemi nella loro relazione sono fonte di complessità; d’altro canto il cammino della scienza tende ad arrivare a risultati teorici sempre più semplici e raffinati, che non escludono ma anche aumentano le questioni di impatto sia sull’uomo che sulla natura. Siamo così all’ulteriore paradosso di un’immagine scientifica del mondo che appare fonte di semplicità per l’uomo secolare che si scontra invece, nella sua quotidianità, proprio con la complessificazione derivante dall’impatto dello stesso tecnico-scientifico sul vivere.
Di fronte all’alternativa secca di una natura che determina l’uomo e di un uomo “culturale” che domina la natura, riproponendo dunque in chiave dualista la classica coppia natura-cultura, la ricentratura sull’essere umano responsabile permette di comprendere molto meglio l’impatto umano e tecnologico sull’ambiente, esaltando ma non assolutizzando il ruolo culturale dell’umano, a partire dal riferimento specifico ed in particolare a partire dal radicamento religioso-antropologico della singola cultura, ma preservando insieme la natura comune agli uomini. In particolare i singoli riferimenti della scienza ecologica umana, come l’impatto demografico, l’impatto agrario, l’impatto urbano e l’incidenza di tutti questi fattori sull’elemento biologico, potranno essere formulati con una completezza maggiore e soprattutto mostrando possibili vie d’uscita agli squilibri esistenti nella realtà. Non sfugge il duplice fatto attuale, di una riconduzione sempre più forte alla coppia natura-cultura delle diverse problematiche esistenti – basti pensare al dibattito sul gender – e dall’altro di un’emersione della sottintesa unità degli opposti quando si intende ridurre l’umano, tecnologicamente e quindi culturalmente, alle leggi naturali assunte come dato inoltrepassabile.
a. Ecologia umana, un paradigma relazionale per la teologia?
Se e come il tema ecologico possa rifrangersi e riverberarsi positivamente su una comprensione rinnovata della teologia è sfida centrale per una teologia che, nella fedeltà alla tradizione, possa insieme definirsi come scienza e disciplina contestuale in grado di tessere un senso non irenistico e non riduttivo di pensare dialogico e relazionale. Tale vocazione originaria della teologia sembra essere oggi richiesta anche dalla necessità della situazione globale, in cui urgono chiavi epistemologiche per comprendere il senso delle trasformazioni in atto e orientarle in senso più umano. Concepire ecologicamente il vissuto interno della teologia significa mostrarne l’intrinseca coerenza, che è coerenza dinamica in dialogo con l’oggetto del sapere.
La teologia si dà al massimo grado come soggetto ecologico, in cui le discipline non sono parti rispetto ad un tutto, a volte in dialogo a volte in aperta lotta le une contro le altre, ma in cui ogni disciplina rappresenta un tutto aperto alla relazione e al riconoscimento con le altre discipline, quasi in una dimensione personale. Sul piano epistemologico una disciplina già inter- o transdisciplinare come l’ecologia umana in ambito di scienze naturali può trovare in sede teologica l’approfondimento specifico, nell’habitus tradizionale della teologia che è quello di essere anzitutto in sé stessa scienza delle relazioni e disciplina di discipline. Nello stesso tempo la teologia può con forza rivendicare la propria epistemologia plurale di fronte alla frammentazione dei saperi attuali, non come orgogliosa affermazione di un’unità perduta, ma come indicazione di senso e di dialogo per i saperi che cercano una sintesi non riduttiva di fronte alla dispersione. Insieme le relazioni che il portato ecologico può mostrare al sapere teologico sono relazioni eticamente fondate che legano strettamente il sapere nelle sue modalità ai contenuti della conoscenza, in altri termini il sapere come modo del conoscere al sapore come stile del vivere.
Un importante elemento specifico dell’integrazione ecologica del teologico, è data dall’unità delle questioni etiche. Come evidenziato profeticamente dal Magistero, le questioni socio-economiche o ambientali si legano sempre più alle questioni bioetiche, e viceversa, superando così una reciproca lontananza che ha caratteri schizofrenici, nella rincorsa di valori più o meno fondanti. Nell’ambito etico-morale, pur nelle svariate rifrazioni, che vanno ben oltre una semplice divisione tra elementi bioetici ed elementi socio-economici, l’unità della questione etica è data dall’unità del soggetto etico-ecologico, così come dall’interdipendenza delle questioni che chiedono risposte specifiche ma non estranee le une alle altre. Seguendo queste sollecitazioni si potrà definire lo specifico della proposta etico-teologica come luogo decisivo, anche se non esclusivo, dell’approfondimento dell’ecologia umana, a partire dalle questioni del sé o dell’io fino alle dinamiche interpersonali, amicali e familiari, per giungere alle questioni di carattere comunitario e politico ed approdare alle grandi questioni internazionali, alla salvaguardia del creato, alle migrazioni e al tema della pace.
b. Verso un soggetto ecologico del sapere
La consapevolezza “interna” del teologico e alcuni caratteri di come il senso dell’ecologia umana può intendersi nell’ambito etico-pratico stimolano la riflessione epistemologica dell’interdipendenza ecologica. Se il sapere ecologico si mostra nella sua complessità multiforme, e se stimola il sapere teologico a fare altrettanto, i molteplici frammenti dei saperi scientifici chiedono sempre più analiticità ma sono presi dalla necessità di ricostituire un orizzonte complessivo, non per nostalgia o per volontà neo-metafisiche, ma per evitare che l’analiticità scivoli nella frammentarietà senza direzione e nell’indeterminatezza senza esiti. Tale scollatura tra unità del sapere e frammentarietà appare tanto più pericolosa quando non diviene solo elemento epistemologico di riflessione interna dei saperi ma manifesta altresì diversificate ricadute etico-antropologiche nella vita quotidiana degli uomini e delle donne d’oggi. Questi sono portati dal meccanismo tecnologico-mediatico a chiedere ai saperi scientifici quelle risposte che essi non possono darsi attraverso le grandi narrazioni tradizionali, e nello stesso tempo il meccanismo tecnologico utilizza i saperi stessi nella direzione di un controllo indefinito del reale, rendendo gli stessi saperi accessori strumentali dell’autoposizione del sistema tecnico-tecnologico.
Le questioni etiche che l’emergenza dell’ecologia umana mostra non sono quindi soltanto questioni da relegare nel campo “applicativo” ma mettono in causa la stessa epistemologia nel suo relazionarsi agli oggetti del sapere. Vestire i panni della neutralità etica risulta difficile quando i saperi sono indirettamente connessi a tutti gli eventi dell’esistente. Proprio come nell’etica ambientale le conseguenze si notano a lungo termine così anche sul piano epistemologico il sapere, pur non potendo controllare tutte le conseguenze della propria posizione, può maturare la coscienza dell’interdipendenza dei saperi e del loro impatto sociale seppur indiretto, ma per certi versi più potente a lungo termine.
Nell’interdipendenza globale dei fenomeni umani, diviene così necessaria un’assunzione cosciente da parte dei saperi nella direzione di un’interdipendenza ecologica, oltre i tentativi classici di predominio prima del versante filosofico-teologico poi di quello scientifico. Il dialogo tra i saperi è richiesto dalla loro stessa natura, dalla natura dell’oggetto globale, ma anche dalla necessità per i saperi di non divenire insignificanti. Nella formazione di una coscienza ecologica del soggetto globale del sapere si giocano, nel breve o nel lungo termine, molte sfide decisive per l’umanità. Se non proviene dal sapere, la reazione di custodia dell’umano di fronte alla prepotenza dell’idolatria massificante non potrà che affievolirsi fino a rendere i saperi stessi meri strumenti iperanalitici del controllo iperpotente delle vite, ridotte a tasselli serializzati di un contesto totalmente sotto il dominio dispotico del sistema tecnologico.
Rinunciare alla pretesa totalizzante della programmazione tecnica può significare offrire una possibilità di nuova generatività al soggetto ecologico globale, in una eterogenesi dei fini questa volta positiva: rinunciare al controllo tecnico e tecnologico per lasciar essere e far generare, deporre il controllo per lasciar andare i valori che vorremmo imporre e lasciar essere il reale nella sua libertà facendone lievitare dall’interno i fermenti di bene.
In tale riflessione diviene davvero sintetica l’immagine del poliedro evocata in Evangelii Gaudium:
Il modello non è la sfera, che non è supe¬riore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso man¬tengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che pos¬sono essere criticate per i loro errori, hanno qual¬cosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti .
Il poliedro dice di una complessità, non omologante ma personale, di una responsabilità delle diverse parti nei confronti del tutto, perché esse sono a loro volta dei tutti e non della parti da risolvere nel tutto – come afferma del resto la tradizione del concetto di bene comune rispetto all’idea di bene totale o di bene collettivo –, totalità singole ma non divise che dialogano e che stanno insieme; ed infine il poliedro ci dice anche di una sostenibilità in evoluzione, rispetto alla sfera a partire dal centro uguale in ogni parte. L’incorporazione che si mette in relazione con l’oggetto, si compromette con lui e non ne rimane distante, diviene fonte di generazione, al contrario di un’asettica posizione analitica che finisce per escludere o per includere solo fagocitando l’altro e non facendolo fiorire nella sua libertà ma al massimo producendolo in un’intrinseca necessità.
2. Aspetti etico-politici dell’ecologia umana: l’unità delle questioni etiche
Se già sul piano metodologico il concetto di ecologia umana offre una visione coerente ed inter-dipendente, anche sul piano dei contenuti possiamo cogliere un legame generativo tra le varie questioni. Da un lato l’ecologia umana permette di non schiacciare la riflessione solo sul momento ambientale, dall’altro integra molteplici rifrazioni a livello personale, familiare, socio-economico-politico, naturale, fino alle questioni internazionali. Come per i principi cardine del bene comune, non è possibile comprendere una sola delle questioni in campo slegata dal contesto.
Questo fattore porta a quella che può considerarsi la grande svolta attuale in campo etico-morale: l’unità delle questioni etiche. Rispetto a decenni in cui le questioni sono state poste con accenti alternati, talora illuminando maggiormente le questioni bioetiche talaltro evidenziando le questioni economico-sociali, dividendo così la riflessione dei teologi, dei filosofi e la prassi dei credenti, la profezia della Chiesa agli albori del terzo Millennio eleva le questioni etiche ad una centralità che ammette distinzioni rispetto ai singoli ambiti ma non ammette differenze di tensione ideale e di valutazione privilegiata. Se spesso la riflessione etica è stata attenta alle questioni bioetiche e dimentica delle questioni ambientali, economiche e sociali, così come si è potuta notare una divisione politica tra il pensiero più votato alla difesa dei valori e quello volto all’inclusione sociale, entrambi con al loro interno uno strabismo fondamentale, la sfida che oggi Francesco incarna, sulla scorta della lezione di Benedetto, è quella di un’unità profonda tra rispetto della persona, nella dimensione individuale, e rispetto dell’ambiente, economico, sociale o naturale che sia.
Nella direzione intrapresa il termine ecologia umana può essere quindi “liberato” da una sua collocazione necessaria ma non sufficiente dentro l’ambito della morale sociale, ma va anche compreso il significato globalmente e integralmente etico dell’ecologia umana. Definire l’ecologia umana un “problema” di carattere puramente sociale, significa darne un’interpretazione ultimamente ridotta che non sfrutta tutte le potenzialità del termine stesso. Questo invoca anzitutto una collocazione dentro la dimensione antropologica dell’umano, tanto nell’accezione filosofica quanto in quella teologica. Interessarsi al contesto in cui si manifesta l’esistenza dell’uomo, significa porre in questione le relazioni che l’uomo intrattiene nell’ambiente, tanto a livello interpersonale, sociale e culturale – su un piano di antropologia filosofica e culturale – quanto a livello dell’essere sé del soggetto umano che è convocato alla relazione con la trascendenza, e quindi in strettissima relazione con il mistero di Cristo inserito nella relazione intratrinitaria. Il soggetto in questione non è definito dal contesto, ma trova nel contesto stesso la definizione di un’espressione compiuta della sua stessa soggettività, che rimane insostituibile sia ad un livello genealogico che nelle sue concrete attuazioni.
a. Custodire la comunità: società civile
Potrebbe sembrare ragionevole parlare di politica o di economia per parlare delle relazioni “lunghe” dell’intersoggettività allargata. In realtà ci sembra più consono ragionare della società civile come corpo e luogo intermedio in grado di connettere le istanze politiche ed economiche. Senza società civile lo Stato prende il sopravvento sui singoli ed insieme senza società civile l’economico, che ha ormai incorporato in sé i meccanismi del politico, fagocita ogni elemento. Dunque la società civile e le relazioni comunitarie sono forme di coltivazione della città che in realtà la custodiscono perché ne rendono continuamente vive le radici dello stare insieme, vigilando sulla frammentazione della singolarità – ecco la rete sociale e comunitaria che ci salva nelle situazioni critiche – ma anche sulla forza distruttiva del collettivo – che impatta in maniera devastante sul singolo –. Dunque la società civile è luogo ecologico per eccellenza di equilibrio tra i sistemi umani, ed insieme è il luogo capace di essere creativo, in ambito locale come globale, per offrire al mondo risposte non omogenee ma generative.
Solo a partire dall’ecologia del vivere civile la politica e l’economia potranno superare la loro crisi di sistema che tocca per un verso procedure democratiche divenute obsolete in tutto l’Occidente per altro verso un meccanismo onnicomprensivo che materializza, e “monetizza”, ogni elemento dell’umano. Politica ed economia possono recuperare il senso di una responsabilità proprio nel porsi come elementi a servizio dell’umano e non totalizzanti. A ben vedere sia le radici novecentesche in campo politico – i totalitarismi di destra e sinistra – come in campo economico – il liberismo e il marxismo – hanno offerto immagini del politico e dell’economico come schiaccianti. Il liberalismo politico, per un verso, come la componente democratica, dall’altro, con la mediazione del pensiero sociale cristiano schierato talora in campo moderato-liberale talora nel campo social-democratico, offrono invece un’immagine non totalizzante dell’economia e del politico, ma chiedono un rinnovamento profondo al loro interno, che può passare solo attraverso un indebolimento della morsa economicistica e una nuova fioritura della società civile. L’ecologia che l’uomo promuove attraverso quanto definito può giovarsi di una comprensione relazionale, contestuale e interagente di alcune sfere decisive per il vivere sociale. L’elemento politico può trovare una sua ridefinizione in rapporto alle generazioni, utilizzando il principio del conseguimento indiretto questa volta dal punto di vista del rapporto tra generazioni e non del rapporto tra natura e uomo: promuovendo il bene di una generazione è possibile trovare un rapporto equilibrato con tutte le componenti della società. Dal punto di vista economico non mancano le conseguenze propriamente ecologiche nel senso del rispetto dell’ambiente, ma una visione di ecologia umana richiama soprattutto all’equilibrio dell’ecosistema economico: di fronte alla tirannia dei mercati internazionali che hanno rotto l’equilibrio tra uomo e lavoro, economia reale ed economia virtuale, uomo e beni a sua disposizione, recuperare la scienza del contesto significa definire una convenienza economica in grado di rendere sostenibile quanto viviamo a livello economico; non sarà forse tale bene dell’economia anche il suo riferimento più proprio e più genuino, superando la visione riduttiva dell’economico inteso in senso solamente utilitaristico?
b. Per un’ecologia dei popoli
A livello internazionale si giocano le sfide più decisive, che si rifrangono sulle stesse esperienze familiari, personali e comunitarie-locali. Il quadro è profondamente sbilanciato tra Nord e Sud del mondo, ma anche tra singole zone, come per esempio nell’Europa. Quale strada intraprendere tra l’omologazione massificante dei mercati, lo sfruttamento neo-colonialista delle zone più povere e la disintegrazione delle relazioni internazionali? Per un’ecologia dei popoli certamente è fondamentale mettere in campo non solo le questioni politiche e militari, ma anche le emergenze climatiche e sociali. Se gli scontri appaiono spesso sotto la forma di conflitti, questi sono causati da squilibri economici, sociali e ambientali che sono alla base delle ondate migratorie.
L’ecologia dei popoli sarà dunque una possibilità di dare autonomia e autogoverno a molti popoli, nella località delle relazioni e non dell’egoismo ma insieme superando i centralismi che opprimono le periferie. Paradossalmente per andare in questa direzione saranno necessarie istituzioni molto più continentali, con alcune competenze addirittura di carattere globale – per esempio sul piano finanziario – ma insieme ciò consentirà una maggiore autonomia dei popoli. Questo ambito, che si connette necessariamente alle riflessioni ambientali, economiche e sociali, vede emergere le grandi sfide delle migrazioni, ma anche le sfide derivanti da un ragionamento demografico che non sia votato alla diminuzione degli esseri umani sul pianeta quanto alla sostenibilità integrale della vita dell’uomo sulla terra. Si può intuire come un’ecologia dei popoli apra il discorso sulla pace non come mera cessazione dei conflitti né come semi-utopistico richiamo ad un’originaria situazione di bene, ma come lavoro paziente ed ecosistemico di coltivazione quotidiana delle relazioni.
Un accenno particolare merita il Continente europeo, vista la faticosa costruzione dell’integrazione. La cessione di sovranità è avvertita come un pericolo da soggetti nazionali che si intendono ancora come assoluti, tanto quanto c’è il rischio di nuovi centralismi e nuove burocrazie. La strada dell’ecologia umana indica una trasversalità delle armonie e una creatività delle differenze, dentro uno spazio di unità che diviene spazio di costruzione e integrazione continua .
c. Ecologia del creato – Ecologia urbana
Solo a partire da un’ecologia concettuale con gli altri fattori, sarà possibile entrare strettamente parlando nel discorso ecologico-ambientale: attraverso il bene dell’uomo sarà possibile definire un bene del contesto di riferimento, aprendo la strada ad una rinnovata relazione tra uomo e ambiente. Il creato offre in questo senso sia il metodo per l’ecologia umana ma anche il banco di prova contenutistico per eccellenza. In fondo, se parliamo di ecologia umana è perché un sintomo fondamentale è cresciuto fino a divenire patologia rilevante ed evidente per tutti. Al di là delle risposte specifiche, più o meno efficaci, il riconoscimento del problema ecologico è trasversale ed universale, e definisce l’emergenza di fronte a cui si pongono tutte le prospettive dell’umano.
Un elemento particolare di cui tenere sempre più conto dal punto di vista dell’ecologia, in rapporto a quanto detto a proposito della custodia della città, è anche il riferimento all’ecologia urbana, come frontiera fondamentale che si affianca all’elemento puramente ambientale-naturale. La città, nelle forme che si alternano alla campagna o nella megalopoli post-moderna, rappresenta un habitat fondamentale per l’uomo d’oggi, chiamato a rendere anche le città luoghi dell’accoglienza ed insieme luoghi della bellezza. Come si nota da questo appunto le questioni nella loro rilevanza pratica tendono a contaminarsi ed esistono diversi ambiti di confine tra i vari settori dell’ecologia umana.
Un ulteriore campo rilevante è rappresentato dalle questioni energetiche, oggetto di ripetuti appelli della S. Sede. Come è facile intuire la direzione non è solo quella di un calcolo di sostenibilità energetica, ma il collocare lo sfruttamento delle risorse nella comprensione di un impatto che è quotidiano e non riguarda solo le grandi questioni geopolitiche ma anzitutto gli stili di vita personali. In tale direzione l’apertura delle questioni dell’ecologia umana riguardano tanto la questione agraria quanto le biotecnologie, evidenziando così un altro fattore di sovrapposizione tra i problemi in campo.
3. La sfida di Francesco: dialogo, educazione, pace
La proposta di un’ecologia umana che porta ad un’unità delle questioni etiche trova riscontri specialmente nella recente Enciclica nel capitolo dedicato alla radice umana della crisi ecologica e nel successivo incentrato sulla proposta di un’ecologia integrale.
a. Nessuna ecologia senza antropologia, nessuna antropologia senza etica
La distruzione del cosmo, frutto di un antropocentrismo divenuto tecnocentrismo, potrebbe causare e ha effettivamente causato, con un movimento di reazione, l’assunzione di un biocentrismo esasperato (n. 118). Queste tendenze opposte ma convergenti passano tutte dal misconoscimento del fatto che tutto è connesso: sul piano etico ciò vuol dire che, «quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità – per fare solo alcuni esempi -, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa» . L’umanità è una, da essa non si può prescindere. Dunque, pur superando un antropocentrismo esasperato, non si dà alcuna ecologia senza antropologia (n. 118), ma non si dà neppure alcuna antropologia senza etica:
Se la crisi ecologica è un emergere o una manifestazio¬ne esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità, non possiamo illuderci di risa¬nare la nostra relazione con la natura e l’ambien¬te senza risanare tutte le relazioni umane fonda¬mentali.[…] L’apertura ad un “tu” in grado di conoscere, amare e dialogare continua ad essere la grande nobiltà della persona umana. Perciò, in ordine ad un’adeguata relazione con il creato, non c’è bisogno di sminuire la dimen¬sione sociale dell’essere umano e neppure la sua dimensione trascendente, la sua apertura al “Tu” divino. Infatti, non si può proporre una relazio¬ne con l’ambiente a prescindere da quella con le altre persone e con Dio .
L’ecologia integrale si situa proprio all’interno dell’intima interconnessione tra elementi antropologici ed etici, che si rifrangono sugli aspetti ambientali, economici e sociali. L’approccio integrale (n. 139), evita di leggere la crisi ambientale in maniera settoriale, ma ne riscopre i caratteri di crisi propriamente antropologica. Così anche le soluzioni dovranno essere integrali.
Proprio all’interno dello strettissimo legame tra l’ecologia umana a quella integrale, trovano spazio le molteplici forme di ecologia quotidiana, dall’ecologia urbana a quella del paesaggio, dalla necessaria dimensione ecologica della casa, non solo intesa in se stessa ma come porzione di un universo urbano ecologico (n. 152), senza dimenticare la questione dei trasporti e le difficili condizioni che si riscontrano sia nelle città che in molte aree rurali. A partire da uno sguardo ecologico l’attenzione di Francesco si posa su tutte le porzioni del pianeta ed insieme mantiene sempre fisso lo sguardo specie sui più poveri, tra gli esseri umani come tra le specie animali e vegetali. Non vanno poi dimenticate tutte le dimensioni di ecologia istituzionale e politica che trovano spazio specialmente nel quinto capitolo dedicato a possibili azioni di dialogo.
L’aspetto ambientale, sociale ed economico transita sempre in ogni caso da un’ecologia del sé e da un’abitare il proprio corpo e la propria persona in modo autentico; in linea con la lezione di Benedetto XVI, Francesco afferma:
L’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscrit¬ta nella sua propria natura, relazione indispensa¬bile per poter creare un ambiente più dignitoso. […] In questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una re¬lazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accet¬tare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul pro¬prio corpo si trasforma in una logica a volte sotti¬le di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia uma¬na. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro di¬verso da sé .
Il proprio corpo non è tramite strumentale della relazione al mondo, agli altri, a Dio, ma è dimensione fondante in cui abitare una nuova ecologia, connettendo dunque immediatamente l’ecologia del sé, quella della prossimità e quella contestuale dell’ambiente sociale, economico e politico. Nello sguardo rivolto all’altro trova senso anche il destino di ogni uomo, che, lontano dalle relazioni, finirebbe per vivere come un dramma la propria autonomia sciolta dai legami (n. 160). Proprio in questa direzione la prospettiva ecologica, nella differenza uomo-donna e nell’apertura alla vita, trova un momento peculiare nella dimensione familiare, che diviene crocevia ecologico in grado di animare nuovi stili di vita e di educazione, ma anche attore fondamentale della prospettiva economica, sociale e politica.
b. Umanità ecologica, umanità dialogica
La posizione di un’ecologia integrale, che anche Francesco d’Assisi indica nel suo linguaggio poetico (nn. 11-13), prende sul serio il legame espresso dall’ecologia umana tra degrado ambientale e degrado umano ed etico (n. 56). L’essere umano, creato lui solo ad immagine di Dio, non deve rivendicare tale figliolanza come una strada verso il dispotismo (n. 82), poiché solo Dio sarà la pienezza della creazione (n. 83), ma all’interno della comunità della creazione può far risplendere tutta la ricchezza della propria aperta identità dialogica, derivante dal riflesso dialogico della struttura trinitaria (n. 238):
L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pie-namente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità qualitativa implica¬ta dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universo materiale presuppone un’azione di¬retta di Dio, una peculiare chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu .
Riaffermare dunque l’ecologia umana dentro l’ecologia integrale non rischierà di ricadere nell’antropocentrismo causa di così tanti mali, ma porrà l’esigenza di un’umiltà cosmica in cui riscoprirsi fratelli nel creato e del creato.
La comprensione di un’ecologia integrale che transita attraverso una comunità interdipendente dei viventi pone l’accento sulla dimensione di un soggetto comunitario ecologico sia in risposta alla pervasività della tecnica che in riferimento alle sfide di un oggetto dell’azione etica sempre più connesso . Questa duplice dimensione porta ad un rinnovamento dello sguardo epistemologico che la prospettiva dell’ecologia umana apre significativamente non solo per le scienze ma anche per filosofia e teologia.
c. Sapere ecologico
Il contesto del tutto inedito per la storia dell’umanità si denota anzitutto per l’accelerazione dei cambiamenti ma anche per i legami oggettivi esistenti tra le varie parti del pianeta (nn. 17-18). La strada dell’unidimensionalità e della riduzione non solo della realtà ma dello stesso uomo a una dimensione si rivela sterile e foriera di distruzione, nel micro- come nel macro-cosmo. Ciò ha portato ad una notevole specializzazione dei saperi, con effetti positivi, ma anche con una crescente frammentazione:
La specializzazione propria della tecnolo¬gia implica una notevole difficoltà ad avere uno sguardo d’insieme. La frammentazione del sape¬re assolve la propria funzione nel momento di ottenere applicazioni concrete, ma spesso con¬duce a perdere il senso della totalità, delle rela¬zioni che esistono tra le cose, dell’orizzonte am¬pio, senso che diventa irrilevante. Questo stesso fatto impedisce di individuare vie adeguate per risolvere i problemi più complessi del mondo at¬tuale, soprattutto quelli dell’ambiente e dei pove¬ri, che non si possono affrontare a partire da un solo punto di vista o da un solo tipo di interes¬si. Una scienza che pretenda di offrire soluzioni alle grandi questioni, dovrebbe necessariamente tener conto di tutto ciò che la conoscenza ha prodotto nelle altre aree del sapere, comprese la filosofia e l’etica sociale. Ma questo è un modo di agire difficile da portare avanti oggi. Perciò non si possono nemmeno riconoscere dei veri orizzonti etici di riferimento. La vita diventa un abbando¬narsi alle circostanze condizionate dalla tecnica, intesa come la principale risorsa per interpretare l’esistenza .
La specializzazione tecnologica chiude lo sguardo ed è incapace di cogliere l’unità della dimensione umana così come l’unità delle questioni etiche. Questioni ecologiche e questioni bioetiche vanno assieme (n. 117; 136), come già indicato da Caritas in Veritate, ma ancora si attende «lo sviluppo di una nuova sintesi che superi le false dialettiche degli ultimi secoli» .
d. Sistemi e istituzioni ecologiche
L’ambiente non ci fornisce solo un’indicazione sull’unità del sapere, ma ci indica anche l’interdipendenza originaria da cui proveniamo:
Come ogni organismo è buono e mirabile in sé stesso per il fatto di essere una creatura di Dio, lo stes¬so accade con l’insieme armonico di organismi in uno spazio determinato, che funziona come un sistema. Anche se non ne abbiamo coscienza, dipendiamo da tale insieme per la nostra stessa esistenza. […] Quando si rendono conto di questo, molte persone prendono nuovamente coscienza del fatto che viviamo e agiamo a partire da una realtà che ci è stata previamente donata, che è anteriore alle nostre capacità e alla nostra esistenza .
La creazione, a partire dall’interpretazione teologica di Tommaso d’Aquino, emerge in tutta la sua pluriforme interdipendenza, in cui la varietà ma anche la verità delle cose viene colta solo nelle molteplici relazioni più che nell’autonomia statica (n. 86). La biodiversità (nn. 32-42) fornisce l’immagine di un cosmo non omologato ma creativo (n. 129), di cui bisogna prendersi adeguatamente cura come in una famiglia (n. 42):
essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti es¬seri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile .
Questo sguardo non è sterile per la comprensione sociale, economica e politica dell’umano. Come gli ecosistemi possono corrompersi, così anche le istituzioni hanno una salute, che si ripercuote sull’ambiente umano che è la cittadinanza (n. 142). Siamo di fronte ad una vera e propria ecologia dei popoli sia nella direzione di un necessario rinnovamento istituzionale, quanto nel riconoscimento della necessaria attenzione locale delle politiche (n. 176) attraverso istanze che partano dal basso e che rinneghino la violenza (n. 179). I diritti dei popoli, come i diritti di singole porzioni di una società, non potranno dunque essere rivendicati in modo unilaterale, ma andranno sempre calati nell’assemblea dei popoli e della comunità internazionale; non può che confermare tale prospettiva anche l’attenzione alle comunità aborigene, minacciate direttamente e indirettamente di estinzione attraverso l’impatto economico, sociale e ambientale delle diverse colonizzazioni (nn. 144-146). Tali diritti e doveri, se trovano riscontro soprattutto nelle rivendicazioni dei Paesi che hanno un vero e proprio debito ecologico (nn. 51-52) e che richiamano alla pressante urgenza di un’etica delle relazioni internazionali , sono attualissimi anche per il mondo occidentale e specialmente per la stanca e confusa Europa, alla ricerca di un equilibrio politico che eviti la sindrome balcanica ma che superi soprattutto il centralismo tecnocratico e finanziario.
La debolezza delle relazioni internazionali è particolarmente evidente proprio a partire dallo stallo delle conferenze sul clima (nn. 164-175), ma anche in riferimento alla legislazione degli oceani, paradossalmente “terra di nessuno” e quindi oggetto di un massiccio inquinamento. Essi rivelano l’inconscio di un sistema che legifera solo per il possesso e quindi, laddove non si tratta di sfruttare e di lucrare a breve termine – come accade nel caso dell’acqua (n. 29) –, i beni comuni ambientali non esistono, nonostante la sopravvivenza dell’uomo nell’ecosistema dipenda a breve, medio e lungo termine proprio dall’esistenza di luoghi inabitati ma forieri di vita.
Se dunque i sistemi naturali ma anche i sistemi economici e politici sono sempre più interconnessi, la visione ecologica che Francesco propone sulla scia dei pontefici precedenti ha importanti conseguenze per l’agire etico dell’uomo: in un universo «composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, possiamo scoprire innumerevoli forme di relazione e partecipazione» .
e. Un’etica “poliedrica” per un sistema aperto
Il libro della natura e del mondo, sulla scia dell’insegnamento di Benedetto XVI, sono riconosciuti come unitari (n. 6). Tale unità, testimoniata dall’evoluzione di un sapere sempre più interdipendente e di istituzioni che devono porsi al servizio di tale interdipendenza, richiede uno sguardo unitario anche sul versante etico. Ciò non significa negare la specializzazione delle etiche, in cui l’etica della pratica clinica non potrà essere omologata all’etica sociale, solo per fare degli esempi; tuttavia l’immagine ormai celebre del poliedro descritta da Francesco in Evangelii Gaudium (n. 236) consente di disegnare i sentieri dell’etica non come fiumi sempre più distanti gli uni dagli altri che discendono dalle fonti dell’etica generale o fondamentale, ma come sfaccettature di uno stesso poliedro, particolari dello stesso panorama, dettagli dello stesso volto umano in cui si riflettono, come nella creazione cosmica, i tratti del creatore.
Tale poliedro inoltre non è chiuso in se stesso, ma differentemente dalle monadi senza porte né finestre, è dotato di un’apertura che ne fa un sistema da integrare, in evoluzione, con un centro definito ma con sfumature e dettagli sempre da scoprire. In termini etici questo significa superare sia il relativismo pratico e la liquidità dei valori che inseguono il flusso tecnocratico e mediaticamente pervasivo, così come il rimando alla deduzione di norme da principi astratti e lontani dall’esistenza.
Tra le sfumature e gli sguardi con cui il documento approccia tali tematiche etiche possiamo riscontrare per un verso la centratura trinitaria e cristologica che innesta l’uomo nella vita divina (nn. 238-240), attraverso i riflessi trinitari ma anche attraverso lo sguardo di Cristo sul mondo e sulla creazione. In termini “orizzontali” possiamo anche cogliere uno sguardo che passa sempre dagli occhi, dalle mani e dal grido dei più poveri. Il povero, non come categoria sociologica o politica ma come realtà concreta, è l’immagine etica per eccellenza, perché nella sua indigenza e nell’irruzione della sua richiesta fa emergere i caratteri di un’etica dialogica. Non sorprende che il più celebre pensatore del dialogo, Emmanuel Lévinas, abbia scelto – nella fase più matura del suo pensiero e a partire dal testo biblico – i poveri e gli indigenti come lo straniero, l’orfano e la vedova, quali icone per eccellenza dell’indigenza etica.
Infine l’etica che si sviluppa è un’etica che, a partire dalla lezione novecentesca alle prese con l’emergenza ecologica, comprende ogni azione come dotata di un significato non solo nel qui e ora, ma con una dilatazione temporale e geografica senza precedenti. In termini teologici tale sguardo intende sottolineare la curvatura escatologica dell’azione dell’uomo che non può realizzare uno stato di perfezione ma può camminare e avvicinare il compimento, nell’eterno permanere in cui «ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati» .
f. Dialogo, educazione e pace: religioni e mondo
La centralità etica dell’ecologia integrale e la dimensione etica della conversione ecologica sono arricchite da una serie notevole e diversificata di implicazioni pratiche, che danno sostanza all’indicazione dialogica presente in Laudato si’. Per questo oltre al dialogo diviene fondamentale approfondire alcuni assi portanti come l’educazione e la pace.
Dialogo di parole e gesti
Va notato che il dialogo, architrave di tutto il quarto capitolo, è in realtà assai presente in tutto il documento e molto presente nelle parole e nei gesti del pontefice argentino. Ciò che colpisce nella prospettiva dialogica di Laudato si’ è che essa è senza dubbio non una strategia per tendere ad un risultato ma una modalità costante di relazionarsi e di agire. Così anche nell’analisi delle relazioni tra Paesi e nelle grandi istituzioni internazionali il dialogo non viene invocato come una strategia strumentale, ma come la modalità essenziale con cui pervenire ad alcuni risultati e soprattutto con cui rinsaldare legami e prospettive sempre più chiare. Si passa in questo senso dall’idea di un dialogo emergenziale per paura di catastrofi e di scelte irreparabili al dialogo come percorso per costruire il futuro (n. 163). A ben vedere in questa direzione si pone anche il dialogo tra le confessioni cristiane, come testimoniano i ricorrenti riferimenti alla prospettiva del patriarca Bartolomeo (nn. 7-9), e il dialogo tra le religioni e di queste ultime con le scienze (nn. 199-201). Il dialogo così prende forma come una reciproca conoscenza dei partecipanti al dialogo stesso, in cui si fa posto all’altro non tanto per relativizzare le proprie posizioni, quanto per non assolutizzarle, nella comprensione di un arricchimento e di un’apertura sempre possibile.
Educazione integrale
Le implicazioni di questo dialogo non vengono svolte soltanto ai massimi livelli ma nella concretezza di un’ecologia quotidiana che è anzitutto conversione ecologica (nn. 216-217). Il soggetto nel far propri stili di vita rinnovati si educa nel lavoro (n. 127), nel superare le sirene del consumismo (n. 203), nel far propria una proposta di ascesi dal potere e dai poteri della tecnica, con la proposta di Bartolomeo che si lega a quella di Romano Guardini (n. 9), nell’invocazione di una strategia del riposo sabbatico (n. 69; 71; 237) come indicazione di un riposo della terra e degli uomini in vista di una condivisione terrena ed escatologica con il povero. Il riposo apre anche alla fruizione della bellezza del creato, che riporta l’uomo ad un equilibrio con i suoi simili e in rapporto a Dio. Gli stili di vita nella loro costanza attuano feconde abitudini (n. 208; 210), mentre non vanno dimenticati i fallimenti dell’autoeducazione come nei mancati insegnamenti della crisi, passata quasi inosservata nelle sue matrici etico-antropologiche. Proprio la prospettiva dell’habitus da acquisire rimanda non tanto all’idea di strategie ecologiche di emergenza per evitare di consumare il creato, quanto all’originario richiamo etico a modalità differenti di relazionarsi al reale. Gli stili quotidiani non sono tanto gesti banali superati dalla grandezza del sistema tecnocratico ma semi gettati per un futuro diverso. Su questo versante Francesco richiama i diversi ambiti dell’educazione su cui spicca la centralità della famiglia «luogo della formazione integrale» , ma anche il ruolo insostituibile della scuola e l’urgenza che la formazione negli ambiti cristiani, dalle parrocchie ai seminari, non si limiti ad un’astratta predicazione spesso contraddetta dall’insostenibilità di strutture e pratiche superate. La ricentratura umanistica dell’educazione, in dialogo con le scienze ma al di là di ogni riduzionismo economico-finanziario, è al centro delle urgenze della chiesa come confermato anche dall’Intervento al Forum Unesco del Cardinale Pietro Parolin (3 giugno 2015), incentrato sulla prospettiva del dialogo, dell’apertura educativa di contro al riduzionismo tecnico e digitale, della cooperazione costruttiva di contro ad un’educazione delle competenze spinta verso la concorrenza e l’efficientismo tecnocratico:
Nel rafforzamento della fiducia reciproca e nel mutuo riconoscimento, l’educazione diviene la piattaforma ideale per abbattere i muri dell’incomprensione e dell’orgoglio. Un’educazione integrale e inclusiva è capace di ascolto paziente e di dialogo costruttivo .
Pienezza di pace
Infine la prospettiva concreta del dialogo permea la speranza della pace. Come per il dialogo essa non è tanto intesa come assenza di guerra, sebbene questo elemento sia il bene più prezioso in presenza di conflitti, ma come pace integrale e piena. Va notato che il mancato rispetto dell’ambiente è una delle cause presenti e future delle guerre, per esempio per quanto riguarda la scarsità delle risorse idriche (n. 31) o il numero esponenziale di migranti in fuga da catastrofi ecologiche.
La pace ha, nella sua dimensione integrale, una presenza pervasiva in termini di pace sociale, in stretta connessione con il benessere e la fioritura di un bene comune (n. 157), così come a livello di pace dell’interiorità e del sé:
Nessuna persona può matu¬rare in una felice sobrietà se non è in pace con sé stessa. E parte di un’adeguata comprensione della spiritualità consiste nell’allargare la nostra comprensione della pace, che è molto più dell’as¬senza di guerra. La pace interiore delle persone è molto legata alla cura dell’ecologia e al bene co¬mune, perché, autenticamente vissuta, si riflette in uno stile di vita equilibrato unito a una capacità di stupore che conduce alla profondità della vita .
In tale direzione la pace realizza una gratuità che si fa fraternità, non come rimedi ad un atteggiamento egoistico e distruttivo ma come modalità strutturate di relazione con sé, con gli altri e con il prossimo. L’educazione e la pace, sorrette dalla prospettiva dialogica, divengono ultimamente anche le basi per una spiritualità ecologica senza barriere, verso una radicata cultura della custodia e della cura.