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Robert Innes

Obispo anglicano para Europa
 biografía

Europa dove?

Walter Brueggemann, lo studioso dell’Antico Testamento, ha intitolato il suo libro più recente “Reality, Grief, Hope: Three UrgentPropheticTasks” (Realtà, dolore, speranza: tre urgenti sfide profetiche). Il suo messaggio è che la chiesa cristiana deve aiutare le persone a compiere il difficile passo di accettare la dolorosa realtà; che dobbiamo piangere con le vittime di questa realtà; e che, annunciando gli atti della grazia di Dio, dobbiamo essere un faro di speranza per il futuro.
In quanto vescovo della chiesa, in rapporto alle questioni con cui confrontiamo, il mio ruolo non è di suggerire soluzioni politiche, ma il discernimento cristiano.Così, tenendo in mente Brueggemann, voglio riconoscere la realtà che potremmo non voler ammettere; riconoscere il dolore che vi è presente; e indicare la speranza attraverso gli atti della grazia di Dio.

1. Migrazioni e realtà

La prima sfida sono le migrazioni. Non possiamo sottrarci a questo. Occupano i nostri giornali e il dibattito politico. Molte persone in Gran Bretagna pensano che il Regno Unito sia stato particolarmente preso di mira dai migranti. Non è così. Le migrazioni rappresentano un problema da una parte all’altra dell’Europa, più acutamente negli Stati mediterranei. Ma ognuno di noi vede il problema che sta sulla soglia della sua porta.
Dobbiamo confrontarci con la realtà. La realtà è che:

  • In tutta Europa i tassi di natalità sono in declino da molti anni, per cui c’è oggi una diminuzione del numero dei giovani di “origine regionale tradizionale”
  • L’Europa è materialmente ricca. L’Unione Europea è un polo di attrazione da più di 50 anni per via della sua prosperità economica e perché il suo modello economico ha prestato una certa attenzione alla distribuzione dei benefici di quella prosperità
  • Ma al di là delle nostre frontiere, dove i disastri politici, economici ed ecologici sono anche troppo comuni, popolazioni in crescita trovano poca speranza di un futuro positivo per le loro famiglie, nei loro Paesi. Non siamo riusciti ad esportare i nostri successi verso ampie fasce del mondo. Né possiamo rifiutare, quanto meno, una condivisione di responsabilità per i loro problemi, dati i nostri maneggi coloniali e la nostra avidità del loro petrolio e di altre loro risorse.

Davvero, l’emigrazione non sparirà. La realtà dolorosa è che dobbiamo scoprire il modo di imparare a vivere con essa.
“Non è giusto” ha detto un pastore [un ecclesiastico, NdT] etiope intervistato dalla BBC, “entrare illegalmente nel Regno Unito… OK… Ma se questo non è giusto, che cosa ci si aspetta che facciamo?” .
La chiesa cristiana deve aiutare la gente in Europa a comprendere la realtà che non possiamo risolvere i problemi delle migrazioni semplicemente costruendo muri. Per quanto possa essere alto il muro, ci sarà sempre una scala abbastanza lunga per superarlo.
La verità può essere scomoda, ma è un dovere cristiano aiutare la gente in Europa ad accettare la realtà. È facile demonizzare l’”altro”. Ma i migranti non sono l’”altro”. “I migranti non sono uno sciame minaccioso, … ma persone in carne e ossa” .

2. Grecia, vittime e dolore

La scomoda realtà miete vittime. Molte di queste vittime sono persone che condividevano quelle che erano state loro presentate come le manifeste verità su cui è fondata la società. Brueggemann ci sfida a piangere con coloro il cui mondo è crollato, le cui speranze circa il proprio posto nel mondo si sono rivelate fasulle.
Se alcune rappresentazioni della verità [diffuse] nel mondo dell’alta finanza si sono rivelate idolatriche, noi pure dobbiamo essere attenti alle vittime, dirette ed indirette.
I travagli della Grecia nel tentativo di negoziare il suo indebitamento hanno occupato molta dell’attenzione dei vertici dell’Unione Europea.
Quel che dobbiamo riconoscere è la realtà del dolore e della sofferenza che si stanno vivendo. C’è il dolore di coloro che affrontano difficoltà economiche molto concrete. Una riduzione del 30% del PIL come quella conosciuta dalla Grecia non si risolve in una riduzione del 30% per tutti. Per alcuni è molto, molto peggio. Dall’esperienza diretta della nostra parrocchia anglicana di Atene, conosco qualcosa delle difficoltà economiche che sono state vissute. La crisi economica greca comporta un dolore reale.
C’è anche il dolore di coloro che scoprono che gli accordi politici importanti per loro sono stati capovolti. Il dolore di quelli che sentono di aver perso il controllo del proprio destino. Il dolore di coloro che credono di aver preso straordinarie decisioni estreme a fin di bene, ma sono stati demonizzati. Il dolore di coloro che hanno operato per politiche che ritenevano valide ma che si sono rivelate seriamente fallaci.
Questo dolore è reale e la chiesa deve sedere a fianco di coloro che sono nel dolore, dev’essere disposta a condividerlo con loro. Altrimenti la chiesa non riuscirà a parlare né per le vittime, né ad esse.
Condividere il dolore significa dimostrare solidarietà ed esprimere compassione.
Solidarietà e compassione aiutano chi è in difficoltà a trovare il coraggio di farsi carico della propria situazione. Senza di esse, nessuna parola di speranza che possiamo pronunciare verrà ascoltata.
Lo scorso novembre, Papa Francesco ha pronunciato un importante discorso al Parlamento Europeo, nel quale ha parlato dell’essere umano come di una “persona-in-relazione”. Noi non viviamo soli. Le persone-in-relazione non lasciano i loro vicini soffrire soli.
Né declinano le proprie responsabilità personali. È abbastanza facile ignorare i problemi di anonimi rifugiati o di cittadini europei economicamente deprivati – finché non li riconosciamo per quel che sono: non lo sconosciuto, forse minaccioso “altro”, ma esseri umani che provano sofferenza e dolore perché hanno bisogni come i nostri.

3. Gran Bretagna, Europa e parole di speranza


È difficile evitare di dire qualcosa circa il posto del Regno Unito nell’Unione Europea – o fuori di essa.
Avendo vissuto negli ultimi dieci anni in quello che a noi britannici piace chiamare “il continente”, mi sono reso conto di come possano essere gli atteggiamenti insulari britannici verso i nostri partner europei. Spesso sembriamo voler solo un diritto d’accesso: stare dentro, ma non far parte del progetto europeo. Mettere costantemente in discussione il nostro coinvolgimento. Davvero la nostra miglior funzione non può essere altro che criticare da bordo campo? Un problema del criticare da bordo campo è che è difficile convincere chiunque a prendervi sul serio.
Nel suo discorso, Papa Francesco ha richiamato l’affresco di Raffaello rappresentante la Scuola di Atene. Questa famosa opera rappresenta simbolicamente le grandi fonti di ispirazione della cultura europea. Al centro vi sono Platone ed Aristotele, le cui opinioni hanno tanto arricchito la visione cristiana. Platone indica verso l’alto, in un visionario richiamo a ciò che potremmo diventare.  Aristotele, con le mani in avanti, ci invita ad impegnarci nel mondo così com’è.
Forse Aristotele ha insegnato ai Britannici più di Platone, perché noi siamo notoriamente riluttanti a coinvolgerci in una visione, più impegnati ad occuparci pragmaticamente del mondo così com’è. Molti Britannici sono indifferenti, anzi, profondamente scettici nei confronti degli aspetti visionari del progetto europeo, come l’impegno per “un’unione sempre più stretta”.
L’opinione pubblica britannica tende ad interessarsi più degli aspetti pratici del Mercato Comune che dell’unione politica. Eppure, mi è stato assicurato, da persone che se ne dovrebbero intendere, che le successive amministrazioni britanniche hanno lavorato costruttivamente sulla grande maggioranza degli affari dell’Unione Europea ed hanno un tasso di corretta attuazione dei loro obblighi superiore alla media. Quel che mi sembra chiaro è che, dentro o fuori dell’Unione Europea, è improbabile che il Regno Unito abbandoni il proprio pragmatismo in favore di una grandeur visionaria. Ma un saggio pragmatismo non può essere ridotto al perseguimento di interessi egoistici di breve termine. Gestire i problemi che sono sul tappeto richiede realismo, ma anche visione.
In rapporto all’immigrazione, ogni giocatore può avere sostanziose ragioni pragmatiche per non muoversi. Ma gli immigrati non spariscono. Persino lo striminzito accordo su come suddividersi l’onere di ri-collocare i richiedenti asilo a livello dell’Unione Europea, con qualche forma di condivisione volontaria del carico, non ha potuto esser applicato.
Dove sta la visione? Dov’è l’analisi che mostra dove sta portando la nostra inazione? Mentre la Germania pianifica la sistemazione di 800.000 migranti solo per quest’anno, e gli Stati in prima linea fanno i conti con i problemi che vediamo tutti i giorni sui media, dov’è la solidarietà tra vicini e Stati Membri partner nell’Unione Europea?
Della comune eredità europea [proveniente] dall’accademia della Scuola di Atene, fa parte l’importanza attribuita alla virtù, e le etiche basate sulla virtù hanno recentemente conosciuto una certa reviviscenza. Così io domando: virtù come la compassione e la solidarietà sono state necessarie per sempre?
Ho detto prima che gli atteggiamenti britannici verso l’Unione Europea possono apparire insulari. Vi prego di perdonarci per questo! Dopo tutto, siamo il popolo di un’isola. Ma voglio concludere con alcune famose parole di un poeta e religioso britannico di un’altra epoca, che ebbe una notevole influenza sullo sviluppo culturale e civilizzatore della chiesa anglicana che rappresento. Queste costituiscono un salutare sollecito ai miei connazionali ma, con la voce di un popolo insulare, parlano di una virtù che offre speranza a tutti gli Europei per come guardare al loro futuro, ed alla chiesa cristiana nel suo ministero profetico.

Nessun uomo è un'isola, intera per se stessa;
ogni uomo è un pezzo del continente, parte della Terra intera.
E se una sola zolla vien portata via dall'onda del mare, qualcosa all'Europa viene a mancare,
come se un promontorio fosse stato al suo posto,
o la casa di tuoi amici o la tua stessa casa.
Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io son parte vivente del genere umano. E così
non mandare mai a chiedere per chi suona la campana:
essa suona per te .