Lo spirito di Assisi a Cracovia
Cracovia, 6 settembre 2009
Signor Presidente della Repubblica di Polonia,
Eccellenze,
Eminenze,
Signore e Signori,
contemplando questa assemblea composta da così grandi personalità religiose, spirituali e morali, misuro il privilegio che mi è accordato oggi di esprimermi da questa tribuna.
Ma colgo ancor più pesante la responsabilità che è la mia, ritrovandomi con voi a Cracovia, città di adozione di Giovanni Paolo II e luogo alto della civiltà europea, in queste giornate eccezionali di commemorazione.
In effetti, 70 anni fa, giorno dopo giorno, era proprio il 6 settembre 1939, la città di Cracovia vedeva l’entrata delle truppe di occupazione della Germania nazista.
Le funeste settimane che seguirono la conclusione del patto tedesco-sovietico dell’agosto 1939 fecero scivolare il mondo nell’orrore. Nulla ha potuto fermare questa guerra divenuta improvvisamente ineluttabile. L’invasione della Polonia all’alba del 1° settembre dette l’avvio al più terribile conflitto che abbia mai conosciuto l’umanità. Come il primo conflitto mondiale nel 1914 sembrò essere nato fortuitamente, per un concorso di circostanze imprevisto e tragico, così il destino dell’Europa sembrava questa volta dominato da forze inarrestabili che la conducevano verso l’abisso.
Ideologie totalitarie presero il potere sul continente, ideologie di morte, che hanno sradicato ogni dimensione umana a favore di sistemi collettivi aberranti e materialisti.
Ciò che diventerà la seconda guerra mondiale non si riassume in una lotta senza pietà e senza pari tra potenze economiche e militari, ma sarà soprattutto massacro di popolazioni civili, deportazioni, stermini di innocenti, la Shoah, cioè finalmente la lotta del mondo libero contro la barbarie.
Alla Polonia che ha pagato un tributo insopportabile in questa guerra, con l’esecuzione dei suoi militari, il massacro dei suoi abitanti e lo sterminio di praticamente tutti i polacchi di origine ebraica, vorrei esprimere tutta la mia emozione assieme a quella dei miei concittadini. La cerimonia del sessantesimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz-Birkenau, luogo in cui l’irreparabile è stato commesso da uomini contro il genere umano, mi ha segnato con un marchio indelebile. Vi ho assistito nel gennaio 2005 insieme a molti altri capi di Stato e di governo. Martedì mattina avremo tutti l’occasione di raccoglierci in quel luogo di memoria tragica.
Davanti a tutte queste atrocità, davanti a questa follia eretta a sistema, c’era da perdere la fede nell’umanità. Ma la forza brutale del totalitarismo poneva anche la domanda del posto dell’uomo nella storia.
Privato di ogni libertà e di ogni margine di manovra, ostaggio in qualchemodo di un sistema onnipotente, l’essere umano non era forse alla fine condannato solo a subire gli eventi?
La storia, essenzialmente tragica, non è forse stata scritta in anticipo, prendendosi gioco degli uomini?
A questo interrogativo esistenziale i padri fondatori dell’Europa, nel corso della seconda metà del XX secolo hanno fornito la risposta più chiarificatrice. Il cancelliere tedesco, Konrad Adenauer ha azzardato l’inverso descrivendo "la storia come l’insieme delle cose che si sarebbero potute evitare". Assieme ad altri, come Schuman, Monnet, de Gasperi o Bech, egli ha posto tutte le sue energia per costruire le basi di una pace durevole tra vecchi irriducibili nemici. Era necessario molto coraggio, perseveranza e anche fede – dal momento che la maggior parte dei padri dell’Europa erano impregnati di principi cristiani – per ricostruire materialmente e moralmente sulle distese di rovine del 1945. L'obiettivo era grande: rendere impossibile ciò che ancora ieri sembrava inevitabile.
Ecco ai miei occhi il più bel successo dell’Europa: aver dimostrato non solo che la guerra non è una fatalità, ma che è anche prerogativa dell’uomo superare il proprio orizzonte e cambiare il corso della storia attraverso metodi nuovi. Noi europei possiamo essere molto fieri di questa avventura collettiva che è divenuta emblematica per il mondo.
Quando noi gioiamo nel ritrovarci tutti insieme in Polonia, in questa magnifica città di Cracovia, è un po’ come un altro “miracolo” che noi celebriamo.
Se poco più di venti anni fa qualcuno avesse detto alla popolazione polacca che il continente europeo si sarebbe presto riunificato e che il loro paese sarebbe stato uno degli attori importanti dell’Unione europea, nel migliore dei casi questi sarebbe stato catalogato come un ingenuo sognatore. La realtà tuttavia ha superato il sogno.
La Polonia, come i suoi vicini d’Europa centrale e orientale, si è pienamente ricongiunta con la famiglia europea. Uno dei suoi figli, M. Jerzy Buzek, presiede ora un’istituzione europea determinante. La Polonia è ritornata ad essere pienamente padrona del proprio destino e tutto ciò nel quadro di un progetto che supera le frontiere nazionali.
Il cammino verso la libertà che ha conosciuto la Polonia non fu senza ostacoli. Si è tuttavia compiuto praticamente senza scatenare violenza. Uomini d’eccezione l’hanno accompagnato. Non posso ricordarli tutti.
Ma come non salutare sopra a tutti l’azione e l’opera del più illustre dei polacchi contemporanei, cioè Giovanni Paolo II, che fu arcivescovo di Cracovia per tanti anni e la cui fiaccola è stata oggi ripresa fedelmente dal cardinale Dziwisz?
Il coraggio che egli ha infuso nei cuori delle popolazioni dell’Europa orientale e non solo ebbe effetti incalcolabili. La libertà si raggiunge anzitutto nelle idee. Un movimento si metteva in moto in profondità. Il sindacato Solidarnosc, con alla testa Lech Walesa, ne fu la punta di diamante.
Niente potrà più fermare questo movimento, perché l’oppressione può durare soltanto per un tempo determinato. Il filosofo Pascal è ricordato per aver detto che preferiva le cose che si riconciliano. L'Europa occidentale, centrale e orientale, tutte sono oggi riunite. Malgrado le insufficienze croniche e le difficoltà quotidiane che vive il nostro continente, una constatazione piena di speranza è posta all’inizio di questo XXI secolo.
Signori e Signore,
la primavera scorsa ho avuto l’infinito piacere di assistere ad Aachen alla consegna del premio Carlo Magno al professor Andrea Riccardi. Questo premio che è considerato tra i più prestigiosi è attribuito a personalità che si sono distinte in maniera significativa per l’unificazione europea e l’intesa tra i popoli.
Così, per il professor Riccardi, la sua persona e la realtà che egli incarna così bene, la Comunità di Sant'Egidio, sono una cosa sola: l'uno non si immagina senza l’altra. M. Camdessus, che mi ha preceduto con tanto talento da questa tribuna ci ha spiegato nella sua "laudatio" che Andrea Riccardi preferisce di gran lunga che si parli della sua Comunità piuttosto che di lui.
Da dove traggono la loro forza, questa energia che permette loro di sollevare le montagne?
Dalla loro fedeltà al messaggio dei Vangeli anzitutto, ma anche dalla certezza che è possibile e anche necessario cambiare il mondo. Cito Camdessus a questo proposito:
"Andrea Riccardi e la Comunità di Sant’Egidio in realtà hanno preso alla lettera il leitmotiv del Risorto: «La pace sia con voi!». Lo declinano nell’amicizia coi poveri, nel contributo alla risoluzione dei conflitti e nel sostegno al dialogo interreligioso. Su ognuno di questi terreni, questo impegno per la pace compie miracoli, declinando a meraviglia le parole di Annah Arendt per la quale «rientra tra le facoltà dell’uomo il compiere miracoli», infrangendo così i determinismi prestabiliti".
La Granduchessa ha potuto rendersi conto recentemente in Burundi dell’immenso lavoro che compie la Comunità di Sant’Egidio precisamente nelle prigioni in cui sono rinchiusi numerosi bambini e a livello di reinserimento dei bambini soldato nella società. Mia moglie ha un’immensa stima e un affetto tutto particolare per la vostra organizzazione così efficace e tuttavia così discreta, caro professor Riccardi. Non potendo essere presente di persona in queste giornate, lo sarà con il pensiero e nelle preghiere.
Molti lo hanno detto prima di me, gli europei hanno oggi una responsabilità speciale, meglio una missione. La conquista rilevante di sei decenni di pace merita di essere difesa ad ogni costo, ma questo unico obiettivo non è sufficiente. L’Europa odierna deve essere oggi un esempio agli altri e per gli altri.
Un esempio, attingendo al proprio interno i valori morali e spirituali che fondano la civiltà europea e la sua concezione dell’uomo. Un esempio, contribuendo con altri a mostrare il cammino della pace, del progresso e della fraternità.
Resto convinto che queste giornate di dialogo delle religioni e delle culture a Cracovia, nella scia dello spirito di Assisi iniziato da Giovanni Paolo II venti anni fa, costituiscono una tappa essenziale verso un mondo di pace. Ecco perché vorrei ringraziare dal fondo del cuore l’arcivescovo di Cracovia, Cardinal Dziwisz, e i suoi collaboratori per l’immenso lavoro che hanno compiuto. La mia gratitudine va ugualmente alla Comunità di Sant'Egidio che con un fervore senza pari rinnova il tour de force di riunire ogni anno in una città simbolo i rappresentanti delle religioni mondiali. Permettetemi anche di salutare tutti coloro che vengono da altri continenti, perché la loro visione di un obiettivo comune ci interessa tutti immensamente.
Poiché la religione è anzitutto ciò che lega e unisce gli uomini, queste giornate di dialogo e di comprensione tra le religioni sono un appuntamento significativo per ognuno di noi.
Presi individualmente, ne usciamo rafforzati sulla virtù del nostro impegno. Sul piano collettivo, la concordia tra le religioni è un messaggio essenziale indirizzato all’umanità: davanti alle sfide del mondo attuale, la loro ragione d’essere è unire e non dividere.
Vi ringrazio.