Condividi su

Daniele Donati

Direzione Emergenza FAO
 biografia

 Negli ultimi trent’anni i conflitti e le catastrofi naturali sono cresciuti d’intensità e frequenza provocando un impatto crescente e diretto sulla sicurezza alimentare dei piccoli produttori – 2.5 miliardi secondo le nostre stime – e indirettamente su tutti quelli che per questa via vedono il loro accesso al cibo variamente minacciato.

 
Le sole catastrofi naturali nel decennio 2003-2013 hanno prodotto un danno globale di 1.500 miliardi di dollari. Il settore agricolo – o se volete la produzione di cibo – sopporta una quota di questo danno globale compresa tra il 22 e il 25%. Questo danno cade in larga parte su quei piccoli produttori che, oltre ad essere fondamentali per l’offerta di cibo sulla quale tutti noi contiamo, dipendono essi stessi dalle loro colture, dalla pesca e dai prodotti forestali oggetto della loro attività principale.
 
Le ragioni all’origine di quest’oscillazione espansiva sono molteplici e non possono essere tutte comodamente trattate in quest’occasione. 
 
Il panel di questa mattina si propone di offrire alcuni spunti di riflessione su un sotto-insieme di queste ragioni, forse il più rilevante. 
 
Le diseguaglianze sociali si sono fatte più profonde e spesso sono percepite come incolmabili, inevitabili, in particolare in quelle smisurate regioni periferiche dell’economia mondiale dei giorni nostri. La percezione di diseguaglianza, di distanza incolmabile tra membri della stessa collettività  e/o tra paesi del centro e della periferia è accelerata oggidì dalla comunicazione istantanea e può contribuire a una rapidissima polarizzazione di fazioni. Esse sono, al tempo stesso, cause ed effetti di crisi e disastri.
 
 
 
Vorrei avere il tempo di precisare meglio questa idea di periferia ma ho solo dieci minuti e spero di aver l’occasione con i vostri interventi di tornare su alcuni concetti più tardi. 
 
Quello che preme rilevare adesso è che indagando gli elementi scatenanti di una catastrofe naturale o provocata dagli uomini, s’incontrano spesso formidabili squilibri nell’accesso alle risorse-chiave: acqua, cibo, terra, energia, educazione, salute e giustizia.  
 
Si va molto oltre una semplice riflessione sulla governance per entrare a piè pari in quella della fragilità sociale estrema, talvolta di pura e semplice dignità umana. Non credo di aver bisogno qui di dilungarmi con esempi.
 
Cerchiamo di essere chiari: moltissimo si fa per rispondere a crisi e disastri. Non abbastanza per prevenire, molto poco per accrescere la resilienza di famiglie, comunità e governi dei paesi più esposti a rischi ricorrenti.
 
Dobbiamo capire ed accettare che i disastri e le crisi non hanno mai soltanto effetti di breve periodo. Essi minano lo stile di vita degli strati sociali più fragili, fanno scivolare interi insospettabili strati della società colpita al disotto della soglia di povertà e distruggono quella crescita economica e sociale che ha spesso richiesto anni di paziente costruzione.
 
La crescita della magnitudo e dell’impatto di crisi e disastri – aggravata dal sovra sfruttamento delle risorse naturali – fa si che un numero crescente di famiglie, comunità e governi di paesi in via di sviluppo siano sempre meno in grado di assorbire l’urto degli eventi negativi, diventando ogni giorno più vulnerabili al loro ripetersi. Questo è un fatto su cui riflettere.
 
A oggi, ci sono quasi 800 milioni di persone malnutrite o affamate nel mondo. Un numero in diminuzione negli ultimi anni, che da un lato ci rende ottimisti per il lavoro fatto, ma che rimane comunque inaccettabile. Infatti, questo significa che un essere umano su nove non ha abbastanza cibo da poter condurre una vita sana e attiva.
 
Vorrei tentare di mettere brevemente in prospettiva i termini del problema della sicurezza alimentare per far capire quanto sia necessario un ripensamento profondo dell’approccio umanitario.
 
Nel 2050 ci saranno più di 9.5 miliardi di bocche da sfamare su questo pianeta, il che significa che la produzione globale di alimenti dovrebbe crescere del 60% per rispondere ai bisogni. Crisi e disastri non sembrano voler rallentare il passo. 
 
Ripensiamo all’enorme impatto delle sole catastrofi naturali: siccità e inondazioni, non solo cancellano anni di risparmi e investimenti, ma allontanano per molto tempo il raggiungimento della sicurezza alimentare e l’eradicazione della fame. 
 
Questo nuovo ritardo di crescita e l’acuirsi della competizione di una popolazione crescente su risorse decrescenti e sovra sfruttate può riaccendere conflitti sociali sopiti o innescarne di nuovi. 
 
Un ulteriore elemento di criticità che oggigiorno cattura gran parte dell’attenzione mondiale nei suoi aspetti più evidenti e dolorosi, è il fenomeno migratorio. Fenomeno che potrebbe essere rallentato e alleviato affrontando e risolvendo alcune tra le cause più profonde, vale a dire la fame, la povertà, e naturalmente le diseguaglianze economiche e sociali.
 
Il raggiungimento del nostro obiettivo di eradicare la fame e nutrire una popolazione crescente entro il 2030 dipende strettamente dal supporto che riusciremo a dare a quei 2.5 miliardi di piccoli produttori in tutto il mondo, col duplice scopo di migliorare le loro tecniche produttive e far fronte a tutte le crisi e disastri che potrebbero limitarne l’azione.
 
Per raggiungere questi obiettivi, non è più sufficiente affidarsi unicamente agli sforzi della comunità dei donatori: tenere il passo con la crescita esponenziale dei bisogni non è realistico. Oggidì, infatti, le crisi sono molteplici e costose, mentre la comunità internazionale conosce una crisi finanziaria che si farà ricordare molto a lungo. 
 
La FAO ritiene che la resilienza delle c.d. livelihoods agricole è cruciale per realizzare uno sviluppo sostenibile assicurando che agricoltura e sistema alimentare siano in grado di nutrire in modo appropriato le generazioni presenti e future. Il processo di sviluppo deve essere accompagnato da misure capaci di garantire che i suoi progressi non vengano spazzati via da crisi e catastrofi improvvise. 
 
Lasciatemi soffermare un momento su questo fattore. In particolare, l’approccio alla resilienza del mondo rurale promosso dalla FAO si articola su tre gruppi di crisi: gli eventi naturali, inclusi quelli legati al cambiamento climatico; le crisi della catena alimentare, e le crisi protratte che includono conflitti e violenze. In ognuna di queste categorie l’elemento di disuguaglianza è presente e riconoscibile.
 
Come si risponde a questa varietà di differenti crisi e catastrofi? Le aree di intervento operativo per crisi e disastri sono sostanzialmente: la governance istituzionale ; il monitoraggio e l’allerta rapida; e – last but not least – preparedness e risposta alle crisi e catastrofi.
 
La governance istituzionale è una precondizione indispensabile se si vuole proteggere la capacità di produrre cibo dai colpi erratici di crisi e disastri. Politiche appropriate, strutture istituzionali competenti, capacità umane e finanziarie sono tutti elementi fondamentali a livello locale, regionale, nazionale e globale per assicurare la sicurezza alimentare.
 
Monitoraggio e allerta rapida devono attivare una tempestiva presa di decisioni a livello istituzionale e locale al fine di impedire o rallentare l’impatto negativo ed eventualmente preparare i meccanismi di risposta. 
 
E questo mi porta all’ultima area di intervento. Quando i disastri, i conflitti o le epidemie colpiscono, si deve rispondere con efficacia e rapidità per salvare vite e ridurre l’impatto sulle condizioni e stili di vita delle popolazioni colpite. Si vuole in sostanza impedire che una situazione negativa diventi irreversibile e provochi dipendenza permanente dall’aiuto esterno. 
 
Il supporto umanitario in agricoltura mira a ristabilire al più presto la capacità delle famiglie e delle comunità a sovvenire ai loro propri bisogni e recuperare al più presto il loro stile di vita, senza perdita di dignità.
 
In conclusione, e per riassumere, vorrei sottolineare come l’insieme di questi fattori (crescita della produttività agricola, crescita economica inclusiva, espansione della protezione sociale e crescita della resilienza del mondo rurale) costituiscono un potente strumento per raggiungere il più fondamentale degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG): non lasciare indietro nessuno.