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Enzo Fortunato

Coordinatore World Children's Day, Santa Sede
 biografia

 "Ogni giorno, infatti, attraverso i giornali, la televisione, la radio, il male viene raccontato, ripetuto, amplificato, abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci, perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula. Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono. Per questo la città ha bisogno di Maria, che con la sua presenza ci parla di Dio, ci ricorda la vittoria della Grazia sul peccato, e ci induce a sperare anche nelle situazioni umanamente più difficili […]. Spesso ci lamentiamo dell’inquinamento dell’aria, che in certi luoghi della città è irrespirabile. E’ vero: ci vuole l’impegno di tutti per rendere più pulita la città. E tuttavia c’è un altro inquinamento, meno percepibile ai sensi, ma altrettanto pericoloso. E’ l’inquinamento dello spirito; è quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia. La città è fatta di volti, ma purtroppo le dinamiche collettive possono farci smarrire la percezione della loro profondità. Vediamo tutto in superficie. Le persone diventano dei corpi, e questi corpi perdono l’anima, diventano cose, oggetti senza volto, scambiabili e consumabili". Le parole di papa Benedetto XVI pronunciate l'8 dicembre del 2009 a Roma, in piazza di Spagna, indicano un pensiero comune per credenti e non credenti, per laici e religiosi da percorrere per far sì che l'informazione non diventi disinformazione e viceversa. Perché quando è disinformazione inquina l'aria che respiriamo. 

 
L'INFORMAZIONE DALLA CHIESA ALLE PIAZZE   
Per capire di più la realtà, ed evitare i falsi e le manipolazioni, la sapienza e la misericordia di Dio possono essere una risorsa, ma la cosa più importante è avere l’umiltà di custodire la realtà che si vuole e si deve raccontare, la più semplice come la più complessa. Dunque anche per i giornalisti può rappresentare una spinta ad uscire dalle redazioni l’appello di Papa Francesco alla Chiesa in uscita, verso le periferie, verso i luoghi del dolore, ma anche della speranza e della rinascita e della riconciliazione.
San Francesco d'Assisi è stato uno dei primi a portare la Chiesa fuori dalla Chiesa o come direbbe papa Francesco oggi a far sì che "La chiesa sia una chiesa in uscita": "Essa non può che avere la forma di una casa accogliente, con le porte aperte, sempre. Le chiese, le parrocchie, le istituzioni, con le porte chiuse non si devono chiamare chiese, si devono chiamare musei . "La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e dirigersi verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali". San Francesco come ha operato questa rivoluzione? Comunicando con l'autorevolezza della sua vita, portando la predicazione dalla Chiesa alle piazze: il Santo desiderava che tutti potessero coesistere allo stesso livello, si era unito ai malati, ai poveri, ai ricchi, trovando il linguaggio per accedere al cuore di tutti e aveva deciso di farlo andando incontro alla gente, passando dalla predicazione nelle chiese alla predicazione nelle piazze. Numerosi viaggi e altrettanti paesi e comunità hanno accolto la parola di Francesco: da Bologna ad Alviano, da Ascoli a Greccio ad Ancona e Alessandria. I frati suoi figli hanno tradotto questo bisogno di informare la sua pace, la sua vita, le sue parole e i suoi gesti nel primo film a colori della basilica Inferiore, affrescato da Giotto e Cimabue.     
 
L'INFORMAZIONE DA ANCELLA DI GUERRA AD ANCELLA DI PACE   
Ora, tornando alla comunicazione,  bisogno primario per tutti gli esseri viventi,e fondamento di ogni vera relazione,  la sfida per tutti e’ vivere la propria libertà di coscienza, la propria autonomia, anche professionale, nella responsabilità in grado di parlare a tutti, che oltrepassa i confini, abbatte i muri, dando la possibilità di interagire a una pluralità di persone: una comunicazione che diventa quindi "comunione" con tutto il creato. Quello odierno deve essere un modello comunicativo concreto, reale, positivo in grado di sostenere la bellezza della divulgazione e della condivisione. Uno schema in cui vengono prese scelte importanti: ricordo la coraggiosa presa di posizione di Monica Maggioni quando, da direttore di RaiNews24, disse "Basta filmati prodotti e diffusi dall'Isis". Una decisione che fece discutere, che divise le coscienze, che oltrepassò i confini, ma che in tanti abbracciarono come giusta. Venne riportata dai principali quotidiani internazionali: dal New York Times al the Guardian, dal Daily Mail all'Osservatore Romano. Credo che la diffusione di sentimenti come la vendetta e la violenza, il linguaggio dell’odio, pur in un contesto di guerra, se da un lato sono necessari per dovere di cronaca, dall'altro hanno un effetto negativo e rischiano di finire  per abituarci alla brutalità e alla ferocia. E' importante quindi non cadere nel circolo vizioso della vendetta e della provocazione. Rick Nelson del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali al The Guardian spiegò che "Pubblicare un video dell’Isis non fa altro che aumentare il potere di questa organizzazione terroristica. Perché "cercano di incutere terrore nei cuori e nelle menti delle persone a livello globale e la diffusione di questi video non fa altro che aumentare il pubblico e gli effetti" (della loro propaganda). "Questi gruppi – continua Nelson – hanno bisogno di una piattaforma" e la pubblicazione dei loro video non fa altro che rifornirli di ciò di cui hanno bisogno". L'informazione moderna non può seguire la strada della violenza, non può essere schiava della prepotenza. Il sogno dei francescani di Assisi è che l'informazione, tutta l'informazione, sia ancella di pace, solo così Francesco oggi le darebbe il più nobile degli appellativi: "Sorella informazione".   
 
L'INFORMAZIONE: DALLO SCONTRO DI CIVILTA' ALL' INCONTRO DI POPOLI E CULTURE. FRANCESCO E IL SULTANO
In questo contesto non possiamo non parlare del percorso tracciato dallo stesso san Francesco, uomo fatto di comunicazione. Non si può non menzionare il suo colloquio con il sultano d’Egitto Malik al Kamil, avvenuto a Damietta, a pochi chilometri di distanza dal Cairo. Un momento estremamente significativo e attuale per le sue conseguenze nel dialogo interreligioso, nella pace, nell'informazione. Si racconta che prima di questo evento vi fosse stata un’altra missione fatta dai suoi fratelli in Marocco: essi non fecero altro che comunicare-annunciare la loro fede cristiana, finendo con l’essere arrestati e torturati. L’incontro a Damietta fu invece un incontro segnato da un profondo significato storico e religioso caratterizzato dalla comunicazione, in anni in cui le differenze tra le due grandi religioni erano fortemente sentite. Era un primo passo per quel Dialogo Interreligioso e Interculturale che si è rinnovato in maniera significativa nel 1986, con l’Incontro Interreligioso voluto da Papa Giovanni Paolo II proprio ad Assisi. Per molto tempo il dialogo di pace tra il Sultano e Francesco è stato considerato come un fallimento. All’epoca l’episodio era stato considerato un momento poco glorioso, e si era preferito tacere sull’accaduto. Ma letto sette secoli dopo, l’incontro di Marrakech in Marocco è l'immagine di un vicolo cieco, mentre Damietta è la strada che suscita un'informazione di pace. Francesco, con la sua visione dell’evangelizzazione e nel suo agire da comunicatore si inserisce in un’altra logica. Il Vangelo si incontrò con il Corano e il Corano con il Vangelo. Francesco non ebbe paura di Maometto e il Sultano non ebbe paura di Cristo. Francesco non ragionava con i criteri ideologici  della cristianità del suo tempo e in quel viaggio per conoscere da vicino i musulmani si è avvicinato cercando di penetrare nella sensibilità religiosa del suo interlocutore. Commentano questo incontro le recenti parole di papa Bergoglio: "Evangelizzare non è fare proselitismo. Cioè né fare la passeggiata, né ridurre il Vangelo a una funzione, né fare proselitismo: questo non è evangelizzare".
 
FRANCESCO CHE PARLA AI GIORNALISTI DI OGGI   
Quali sono, allora,  i principi di Francesco per evitare che l'informazione si tramuti in disinformazione, in un momento di terza guerra mondiale "a pezzi"? Dopo l'incontro col sultano il santo dona ai suoi frati tre comunicazioni, tracce che oggi possiamo fare nostre per la ricerca di una giusta e veritiera informazione.    
Quando i frati sono chiamati ad annunciare il Vangelo tra i popoli, Francesco chiede, prima di tutto, di verificare "se sono ispirati da Dio": l'informazione odierna non può essere ideologia, non può rispondere ai bisogni degli interessi più forti, di destra o di sinistra, ma è chiamata all'osservanza dell'etica nel rispetto dei destinatari. All’interno del mondo anglosassone, ma anche adesso in Italia, ad esempio, si sta facendo strada una nuova figura professionale, quella di chi ha il compito di verificare solo la veridicità dei dati, anche solo dei numeri che vengono indicati in una inchiesta.   
La seconda indicazione è di "non litigare e non creare dispute": ecco che la comunicazione può essere ancella di pace, può non mentire, può non generare il conflitto, ma promuovere il confronto tra diversi punti di vista. Non c’è solo la denuncia, che non va mai edulcorata, anche se va sempre considerato il principio della presunzione di innocenza. In altre parole, il rispetto umano delle persone oggetto di un’inchiesta o di un processo deve sempre essere garantito, assicurando la possibilità di replica.     
La terza questione che Francesco pone è di "verificare che le condizioni siano opportune". E noi trasportando questo concetto nell'informazione possiamo domandarci: come si deve coniugare oggi la libertà dell’informazione, che va assolutamente promossa e sempre allargata, con la responsabilità? Nel web come nell’informazione più tradizionale, il limite non può essere visto come una censura, ma come un esercizio che ci impone la stessa libertà: prevenire la violenza, l’offesa,  l’accanimento contro persone che non si possono difendere e che nessuno di noi tratterebbe in modo disumano se fossero nostri familiari, genitori, fratelli, sorelle. Non si tratta di edulcorare la realtà, ma di custodirla, rispettando tutti i soggetti coinvolti e cercando anche di offrire soluzioni ai problemi che vengono esposti.  
La globalizzazione di una società in rapido cambiamento sul piano delle culture e dei linguaggi, inoltre,  radicalizza ancora di più l'esigenza di professionalizzare l'informazione, perché il rapporto con le fonti diventa più labile e va assolutamente recuperato allo scopo di garantire ai messaggi giornalistici, l'indispensabile tasso di verità. Secondo molti studi, c’è da considerare che Il giacimento delle notizie è, per il 95 per cento, nelle mani di pochi, localizzati nel mondo occidentale progredito. Questo pone un problema di svuotamento del ruolo dell'informazione che perde ogni valore nel momento in cui non può verificare la fondatezza delle notizie e la loro attendibilità. Potremo trovarci in un mondo nel quale la rappresentazione non coincide con la realtà, un mondo, quindi, apparente che determina reazioni e scelte, lasciando inalterato il piano della realtà.   
 
FRANCESCO IL COMUNICATORE  
Lo spirito di Assisi , dunque, può incidere fortemente anche nell’informazione e spingerla a non perdere la sua autenticità: il rispetto della realtà, delle relazioni, delle persone, una comunicazione mite, che è anche più convincente della comunicazione  aggressiva perché più precisa e attenta alla ricerca della verità, più umile, più consapevole delle complessità, più accattivante perché sa cogliere anche quello che non ti aspetti, perché non ha una visione precostituita, perché parte dal dialogo e costruisce rapporti, e cerca di non nascondere il bene, anche quando è visibile.    
Francesco il comunicatore usava tutti i mezzi a sua disposizione per poter meglio diffondere la sua idea di cristianesimo che ancora oggi commuove per semplicità e determinazione. Francesco, dice Tommaso da Celano, aveva fatto di tutto il suo corpo una lingua , senza disdegnare “il gesto” come elemento comunicativo. E’ il gesto che spinge chiunque ad aprire rapporti che non si esauriscono nello scambio di notizie, ma che producono frutti, la realizzazione di opere di solidarietà, la soluzione di problemi sociali, la costruzione di percorsi per dare prospettive reali di crescita personale, sociale , spirituale, a famiglie, singoli,  a gruppi, e in particolare a quelli che fanno più fatica, ai poveri di casa nostra e del mondo. E’ l’accoglienza di ogni diversità, è l’abbraccio a tutti quelli che sono in ricerca di una situazione di vita migliore, di speranza, di conquista della pace.  
 
CONCLUSIONE
E voglio concludere con quanto ha riferito durante un intervento su questi temi il cardinale Ravasi:
“Un maestro indù mostrò un giorno ai suoi discepoli un foglio di carta con un punto nero nel mezzo. «Che cosa vedete?», chiese. «Un punto nero!» risposero. «Nessuno di voi è stato capace di vedere il grande spazio bianco!», replicò il maestro. È questa la legge che fa riempire di cronaca nera i giornali e le televisioni: un solo delitto ha più peso di mille atti di generosità e d'amore, secondo i parametri dell'informazione. Anche noi siamo pronti a cogliere la pagliuzza nell'occhio dell'altro e ignoriamo la luminosità sorridente di tanti sguardi. È normale elencare tutte le amarezze dell'esistenza e ignorare la quiete e le gioie che pure accompagnano la maggior parte dei nostri giorni. Il nostro pensiero si fissa con più facilità sui punti neri del cielo della storia che non sulle distese di azzurro e di luce. Certo, non si deve essere così ottimisti o ingenui da ignorare il male che pure costella le vicende umane, ma non è giusto considerare come marginali la meraviglia delle albe e dei tramonti, lo stupore del sorriso dei bambini, il fascino dell'intelligenza, il calore dell'amore”.
 
Questa è l’apertura reale della comunicazione, quella che ci porta a scoprire e custodire la realtà e non a stravolgerla con intolleranze e chiusure. Questo è lo spirito di Assisi, della ricerca della pace anche nell’informazione, che si può sottrarre così alla logica della guerra, che non ha futuro.