Condividi su

Aleksandra Kania

Sociologa, Polonia
 biografia

Nei dibattiti sulle definizioni di terrorismo, e sul giudizio legale o morale dell’attività terroristica è particolarmente difficile raggiungere un consenso universale e raggiungere delle conclusioni che soddisfino tutti. Metodi e tattiche simili, inclusa l’intenzione di creare paura nella società, o di intimidire una popolazione o un governo con l’uso di minacce, violenza o coercizione possono servire fini e motivazioni politiche, ideologiche e religiose diverse.
Metodi simili sono usati da organizzazioni terroristiche e da movimenti di liberazione o da combattenti per la libertà, dal terrorismo di stato e dalla guerra al terrorismo.
Tuttavia il termine ha acquisito una tale connotazione negativa nel linguaggio quotidiano che viene applicato soltanto alle attività dei nemici, e mai alle proprie azioni.
Razionalizzazioni o giustificazioni di atti terroristici sono stati basati su considerazioni e argomenti diversi di ordine politico, etico, ideologico, nazionale, etnico, razziale, religioso ed altro.
Mi sembra importante discutere in questo incontro sulle seguenti domande:

  1. quali sono gli standard di base che permettono una valutazione morale dell’atto terroristico?
  2. Quali sono le radici principali della rapida crescita del terrorismo globale nel XXI secolo, e come dovremmo rispondere al terrorismo ed affrontare il compito di tagliarne le radici?


1.
Le controversie intorno alla valutazione morale dell’uso del terrore – infliggere paura come arma politica – si sono basate su una distinzione tra 2 tipi di terrorismo.
Il primo tipo sorge da una profonda ostilità all’idea di libertà e democrazia: l’odio di tutti i diversi, gli stranieri, gli infedeli, tutti coloro che non appartengono a “noi” e pertanto meritano di essere distrutti.
Il secondo tipo impiega metodi terroristi per cambiare l’opinione pubblica e le politiche di governo portando l’attenzione su questioni di specifiche deprivazioni nazionali, etniche, religiose o socioeconomiche che sono state negate o ignorate dalle istituzioni politiche esistenti.
Nel caso del primo tipo di terrorismo è più facile disapprovarlo come moralmente sbagliato, poiché è in contraddizione con i diritti umani universali. Papa Francesco ha condannato più volte la “piaga del terrorismo”, e ha enfatizzato: “il terrorismo cresce quando non c’è nessuna altra scelta, finché l’economia mondiale ha al centro il dio del denaro e non la persona (The Wall Street Journal, August 1, 2016).
Egli richiama da una parte al “terrorismo fondamentale”, dicendo “dobbiamo riaffermare la nostra categorica condanna di tutte le forme di violenza, rappresaglia e odio che sono perpetrate in nome di Dio” (Los Angeles Times, April 28, 2017).
Zygmunt Bauman, richiamando l’imperativo categorico di Immanuel Kant che ci dice di “agire solo secondo quel massimo che tu puoi e allo stesso tempo vuoi che diventi una legge universale” in contrasto con “formare monopoli e fondare esclusività di diritti… quando il privilegio di avere applicata una legge desiderabile è stato assicurato a coloro che hanno agito in suo nome;… al fine di rendere quel privilegio sicuro, l’applicazione del massimo a misura di sé doveva essere o era visto come se dovesse essere rifiutato da alcuni altri tipi di umanità…” (Bauman 2006: 64-65).
Il secondo tipo di terrorismo dichiara di agire “per assicurare riconoscimento e rispetto a coloro che sono esclusi dalla piena appartenenza alla società democratica” (Schwartzmantel 2011: 15).
Il terrorismo è stato praticato da chi combatteva contro l’oppressione sociale o economica, contro la dominazione coloniale, o l’occupazione straniera.
Dopo il Regno del Terrore durante la rivoluzione francese, e poi il terrore rosso nella rivoluzione russa, il terrorismo fu adottato alla fine del XX secolo dalla guerriglia urbana in sud America, dalle brigate rosse in Italia, dal gruppo Baader-Meinhof in Germania e dall’esercito rosso giapponese.
Il terrorismo è stato usato spesso da ambedue i fronti nei conflitti anticoloniali (ad es. Irlanda e Regno Unito, Algeria e Francia, Vietnam e USA), i conflitti sul possesso di terre contese (Palestina e Israele) e i conflitti nazionalisti e religiosi (Nord Irlanda, Paesi baschi, Chechnia).
Questo tipo di terrorismo potrebbe rappresentare una sfida a politiche democratiche, come tentativo di influenzare le politiche democratiche cambiando l’opinione pubblica grazie alle emozioni di empatia con le vittime e alla paura che gli atti terroristici generano.
“I terroristi si appellano alle coscienze dei cittadini democratici… cercando con azioni drammatiche di portare l’attenzione su ingiustizie perpetrate in nome della democrazia” (Ibidem: 92).
Sebbene il terrorismo possa essere visto come il sintomo di un fallimento del sistema democratico, e gli atti terroristici siano moralmente motivati, questo non significa che dovremmo accettarne la motivazione, e che la violenza terrorista sia moralmente giustificata.
Buone intenzioni, o anche fini nobili, non santificano né giustificano i mezzi che prevedono ferite, sofferenza e morte di altri esseri umani. La valutazione degli atti terroristici dovrebbe prendere in considerazione non solo le intenzioni, ma anche le conseguenze, il costo umano, e se l’effetto desiderato non possa essere raggiunto evitando un’azione violenta.
L’argomentazione che i metodi terroristi siano moralmente sbagliati è comunemente accettata nel caso degli atti terroristici contemporanei  le cui vittime sono spesso civili innocenti scelti a caso, o che semplicemente si sono trovati in una situazione terrorista, o quando una cosiddetta definizione ristretta di terrorismo è adottata: “L’uso deliberato della violenza, o la minaccia del suo uso, contro gente innocente, al fine di intimidire altre persone nel corso di un’azione che altrimenti non avrebbero intrapreso” (Primoratz 2013: 24).
Mentre uccidere o ferire un gruppo casuale di comuni cittadini, inclusi i bambini, è particolarmente odioso, alcuni autori tentano di giustificare il terrorismo che attacca selettivamente soltanto coloro che non possono dirsi innocenti nell’ingiustizia e nell’oppressione, e che possono essere accusati di responsabilità negli errori contro cui i terroristi stanno combattendo.
Per ribattere, si sottolinea che bersagli dell’azione terrorista non sono solo le vittime dirette, ma includono sempre anche la creazione di paura nel più largo pubblico.
Rispondendo alla domanda “perché il terrorismo è sbagliato?” Carl Wellman, (2013: 31) traeva le seguenti conclusioni, che trovo convincenti:
“il terrorismo, il tentativo di forzare un obiettivo indiretto usando o minacciando violenza contro un obiettivo diretto, è sempre sbagliato, almeno prima facie. Questo perché ha 4 caratteristiche che implicano errore: è coercitivo, terrorizza, usa o minaccia violenza, usa le persone solo come mezzo. Il terrorismo è, quantomeno in circostanze normali, immorale… perché, tra le altre cose, l’uso e la minaccia d violenza comporta ferite e viola i diritti morali.
Il fatto che è spesso un attacco a persone innocenti o a non-combattenti è rilevante per una valutazione morale del terrorismo in un altro modo. Esclude una possibile giustificazione del terrorismo, il fatto cioè che esso sia una risposta difensiva alle aggressioni illegittime delle sue vittime.
Se c’è un consenso così largo sulla condanna morale del terrorismo, tanto che persino al termine stesso viene data comunemente una connotazione negativa, denigratoria, ed è applicato solo ai nemici e non a se stessi, allora perché alcuni individui e gruppi ricorrono a metodi terroristi, rifiutando la politica del negoziato e del compromesso, mediata da istituzioni specifiche?

2.
Il secondo gruppo di domande riguarda le cause del drammatico aumento del terrorismo nel 21esimo secolo, le sue caratteristiche peculiari e la ricerca delle strade per tagliarne le radici.
Ci sono due motivi basilari per l’attività terroristica, legati ai due tipi di terrorismo che prima abbiamo delineato. Il primo è causato da differenze ideologiche fondamentali, che esprimono una contraddizione inconciliabile di interessi e un impulso al potere e alla dominazione tramite l’uso della violenza (ad es. le cause delle due guerre mondiali, rivoluzioni e guerre interne dal 18esimo al 20esimo secolo e, nel 21esimo secolo, le attività terroristiche organizzate o ispirate da fondamentalisti radicali di organizzazioni religiose - jihadisti, al Qaeda, lo Stato islamico).
Considerando coloro che ricorrono a questo tipo di terrorismo, le possibilità di una soluzione per deviare o reindirizzare le loro attività nei canali politici pacifici appaiono improbabili.
I cittadini si aspettano che il loro Stato userà la sua forza militare e la polizia per difenderli ed assicurarne la sicurezza, con il compito di anticipare e prevenire attacchi terroristici (ma limitando la violenza di Stato a quanto è necessario per affrontare una minaccia reale).
Tuttavia, ascoltare e prestare attenzione agli argomenti usati per giustificare l’azione terroristica è condizione essenziale per annullarne e neutralizzarne l’impatto, per spiegare che la loro attività è moralmente sbagliata e che la loro interpretazione della dottrina religiosa è falsa.
Il secondo tipo è causato da varie forme di esclusione, senso di discriminazione, di dominazione straniera, di oppressione etno-nazionalista o religiosa, di deprivazione socioeconomica e umiliazione che hanno creato le condizioni per diversi movimenti che usano metodi terroristici.
Alcuni esempi sono stati citati nella prima parte del mio intervento, e alcuni di essi (Irlanda, Paesi baschi) forniscono la prova che addomesticare o sconfiggere il terrorismo con un negoziato pacifico e con compromessi è possibile in una democrazia liberale.
Le nuove caratteristiche del terrorismo nel 21esimo secolo sono legate al processo della globalizzazione, che ha portato a “un livello mai raggiunto prima di extraterritorialità di capitali, commercio, informazione, crimine e terrorismo” (Bauman 2006:127), e ha trasformato “il terrorismo nazionalista del 20esimo secolo nel terrorismo globale e mediatico del 21esimo secolo” (Bobbitt 2008:527).
Sebbene il terrorismo interno (senza coinvolgimento dall’estero) superi il terrorismo transnazionale di 8 a 1, l’attività transnazionale è la più efficace nel diffondere terrore e trovarsi al centro dell’opinione pubblica. I canali televisivi mondiali portano qualunque atto terroristico, anche minore e insignificante, in milioni di case, moltiplicando il suo potenziale di paura e esponendo gli spettatori alle pretese o ai fini politici dei terroristi. Inoltre tra i suoi effetti ci sono l’imitazione e la diffusione di metodi di utilizzo di armi meno costose e facilmente disponibili, per esempio automezzi che si abbattono sulle persone nelle strade, o l’accoltellamento di pedoni.
Le strutture di terrorismo transnazionale sono diverse dalle organizzazioni ricordate dal 20esimo secolo, centralizzate, coesive, strettamente legate e gerarchizzate; sono diventate per lo più reti inafferrabili collegate in maniera approssimativa, con pochi legami con una leadership centrale ma fondamentalmente mediate da Internet.
Tuttavia, possono assoldare un numero crescente di persone scontente, e il terreno per la formazione al terrorismo globale si sta espandendo. È necessaria una ricerca sociale che riveli le cause del terrorismo per ricavarne alcune implicazioni e orientamenti sul piano politico.
In una visione d’insieme frutto di studi empirici sui fattori che determinano il terrorismo transnazionale, Tim Krieger e Daniel Meierrieks (2011) presentano e discutono i risultati.
Molti studiosi cercano le radici del terrorismo nella deprivazione economica, nella povertà e nell’inuguaglianza, e trovano evidenze del legame tra questi fattori ed il terrorismo. “la deprivazione relativa” – una discrepanza tra ciò che gli individui pensano di meritare e quanto essi ricevono effettivamente – crea frustrazione e rende alcune persone più sensibili agli appelli del terrorismo; uno sviluppo economico riuscito riduce la genesi del terrorismo. Un allargamento dell’istruzione scoraggia l’attività terroristica. Prendendo in considerazione lo sviluppo delle istituzioni economiche e politiche, diversi studi hanno constatato che Paesi più liberali e democratici hanno una propensione significativamente minore a produrre terrorismo transnazionale.
Le politiche di welfare riducono l’attività terroristica, e le spese di governo sono in qualche modo legate alla riduzione del terrorismo. Alcuni riscontri indicano che l’integrazione politica pacifica e la cooperazione internazionale possono scoraggiare l’attività terroristica, mentre scontri e crisi incoraggiano gli attacchi terroristici transnazionali.
Tuttavia, nelle loro sintesi gli autori scrivono: “forse un risultato primario dell’evidenza esistente sul terrorismo transnazionale è che il fenomeno è troppo complesso per poter essere ridotto ad una sola causa di fondo e ad una panacea. I discorsi pubblici e politici pertanto dovrebbero evitare di cadere vittima di tali idee” (Ibidem: 24).
Un’idea altrettanto infelice, che ha portato a troppe vittime, è stato il concetto di “guerra al terrorismo” dichiarata dagli USA e dai suoi alleati NATO come reazione agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Ha mostrato l’inefficacia, o addirittura è stato controproducente, di campagne militari contro le forme “liquide” del terrorismo contemporaneo.
L’effetto più evidente delle campagne anti-terrorismo è stato il numero persino maggiore di “vittime collaterali”, che ha provocato un crescendo di risentimento e odio accumulati, ha moltiplicato il numero di potenziali arruolati in attività terroristiche, ha proseguito il ciclo di violenza e terrore invece di fermarlo.
Come ha appropriatamente sottolineato Papa Francesco: “Che rimarrà sulla scia di questa guerra nel mezzo della quale ci troviamo? Che resterà? Rovine, migliaia di bambini senza istruzione, così tante vittime innocenti e molto denaro nelle tasche dei trafficanti d’armi”.
Il suggerimento di un rimedio presentato da Zygmunt Bauman (2006: 109-110) è complementare a questa diagnosi: “la guerra reale – e vincibile – contro il terrorismo non si conduce quando le città e i villaggi di Iraq e Afghanistan, già distrutti, vengono ulteriormente devastati, ma quando il debito dei paesi poveri è cancellato, quando i nostri ricchi mercati si aprono ai loro prodotti principali, quando viene finanziata l’istruzione per 115 milioni di bambini che attualmente sono privati dell’accesso alla scuola, e quando misure simili sono portate avanti, decise – e implementate”.
Vorrei integrare queste citazioni con la breve conclusione che è moralmente sbagliato e inefficace combattere contro il terrorismo usando metodi terroristici. Affrontare il compito di tagliare le radici del terrorismo richiede la speranza che il terrore possa essere sconfitto risolvendo i problemi sociali che portano alla paura.


Bibliografia

  • Bauman, Zygmunt, 2006, Liquid Fear, Cambridge: Polity.
  • Bobbitt, Philip, 2008, Terror and Consent: The Wars for the Twenty-first Century, London: Allen Lane.
  • Krieger, Tim and Daniel Meierrieks, 2011, “What causes terrorism?” Public Choice, 147: 3-27.
  • Pope Francis Says Ills of Global Economy, Not Islam, Inspire Terrorism, Wall Street Journal, August 1, 2016.
  • Pope Francis delivers antiterrorism message … Los Angeles Times, April 28, 2017.
  • Primoratz, Igor, 2013, Terrorism: A Philosophical Investigation, Cambridge: Polity Press.
  • Schwarzmantel, John, 2011, Democracy and Political Violence, Edinburgh University Press.
  • Wellman, Carl, 2013, Terrorism and Counterterrorism, SpringerBriefs in Law.