11 Settembre 2017 16:30 | Bischoefliches Priesterseminar Borromaeum, Kardinal-von-Galen-Saal
Intervento di Dieudonné Nzapalainga
Eminenze, Excellenze, cari fratelli e sorelle,
La pace di nostro Signore Gesù Cristo sia con tutti noi!
Sono riconoscente ai responsabili di Sant’Egidio che hanno voluto invitarmi a questo incontro e soprattutto per il compito esaltante che mi hanno affidato domandandomi di fare una presentazione sul tema «La guerra è sempre un massacro inutile». A prima vista questa affermazione appare evidente, soprattutto a noi che, seguendo Gesù Cristo, crediamo, preghiamo e testimoniamo la pace. Con convinzione e determinazione diciamo no alla guerra in tutte le sue forme poiché è, quale che sia la sua giustificazione, un attentato alla vita, una violazione del sesto comandamento che, con fermezza e senza alcuna restrizione, vieta di dare la morte al prossimo: Tu non ucciderai !
Il carattere sacro di ogni vita e l’esigenza di rispettare la dignità di ogni persona, poiché ciascuno è immagine di Dio, ci impone di prendere in considerazione questa affermazione di papa Benedetto XV, citata da sua santità papa Francesco “in definitiva ogni guerra è un massacro inutile ”. Ma allora, come comprendere nozioni come quella della guerra giusta che trovano a volte dei difensori in seno alla nostra Chiesa? In situazioni nelle quali sono chiaramente in pericolo la giustizia, i diritti fondamentali, compreso quello della vita, non bisognerebbe incoraggiare il ricorso alla forza e alle armi per restaurare l’ordine?
Tutte queste domande si sono poste a noi di fronte alla situazione evidente del nostro paese, che, dopo Il 2013, stenta a uscire da un ciclo di violenza omicida, dalla rivolta dei Seleka alla quale è seguita la contro offensiva degli anti Balaka. In effetti, di fronte alla barbarie di questi due gruppi, era grande la tentazione di pregare perché si abbattesse su di loro una tempesta di fuoco, perché nascesse un’altra forza che le combattesse. Ma al contrario, insieme a pastori e Imam, abbiamo preso il bastone dei pellegrini per camminare senza fucile e senza macete, e fatto appello alla pace, perché eravamo e restiamo convinti che la guerra semina desolazione e non porta ad alcuna soluzione perseguibile per risolvere i nostri problemi fondamentali. Questa convinzione si fonda su:
- L’illusione delle guerre salvifiche nella storia del nostro popolo
- L’attualità del nostro paese pietrificato in un ciclo di violenze infernale
- La nostra totale adesione al dialogo come vero cammino di pace.
Eminenze, eccellenze, cari fratelli e sorelle, proverò a illustrare questi tre pilastri commentando il messaggio di Papa Francesco che ho appena citato, a partire dall’esperienza del nostro paese.
1. L’illusione delle guerre salvifiche nella storia del nostro paese
Questa illusione è diffusa nel nostro paese a partire dagli anni della sua indipendenza. Vi ricorderete che dal 1960 la Repubblica Centroafricana ha conosciuto una successione di colpi di stato. Ogni gruppo che si rivoltava prendeva come pretesto la miseria del popolo, le ingiustizie e la cattiva gestione delle risorse. Ognuno prometteva il paradiso all’indomani del suo arrivo al potere e ricorreva alla forza per imporsi. Le ragioni della loro rivolta erano ogni volta comprensibili e si poteva riconoscere che la loro guerra era giusta, soprattutto se si faceva riferimento alle loro cause apparenti che sembravano legittime.
Ma c’è sempre sproporzione tra i mezzi e il fine, poiché ogni guerra sacrifica la vita che pretende di salvare. Inoltre, i nuovi vincitori si impegnano per lo più a una caccia alle streghe che coltiva il rancore e nutre il sentimento di vendetta. Nel caso del nostro paese non abbiamo memoria di alcuna trasformazione sociale che andasse nella direzione di migliorare le condizioni dell’esistenza e dei rapporti umani, che sia stata prodotta dai molteplici conflitti armati che hanno segnato la nostra storia. Al contrario, ciascuno di questi conflitti violenti è arrivato con la sua coorte di massacri. Ciascuno ha generato desolazione nella maggior parte delle famiglie. Mentre una infima minoranza traeva profitto dal caos, la stragrande maggioranza della popolazione continuava a ristagnare in una miseria crescente, tanto da far diventare la Repubblica Centrafricana il quarto paese più povero del pianeta a dispetto delle numerose risorse naturali di cui sovrabbondiamo.
Dalla storia tumultuosa del nostro paese, abbiamo il diritto di dire, come Papa Francesco che : “la guerra non è mai un mezzo soddisfacente per riparare le ingiustizie e raggiungere soluzioni equilibrate nel disaccordo politico e sociale”. Fondare la speranza sulla guerra è sempre un’illusione, anche se a volte appare un ricorso legittimo per coloro i cui diritti e la cui dignità sono violati. Nessuno esce vincitore dalla guerra. È sempre un fuoco che brucia e consuma l’umanità sia di chi offende che della vittima, le cui braci restano a lungo ardenti. La crisi fratricida in corso nel nostro paese si radica nella spirale di violenza strutturale e politico-militare che abbiamo vissuto e rafforza in noi la convinzione della vacuità di ogni guerra.
2. L’attualità del nostro paese impigliato in un ciclo infernale di violenza
Permettetemi di introdurre questo argomento con un riconoscimento che può sembrare in contraddizione con la nostra condizione. Insieme ai miei pari della piattaforma delle confessioni religiose in Centrafrica abbiamo contribuito al patrocinio in favore di una forza delle Nazioni Unite per stabilizzare il nostro paese. Questa forza è arrivata e ha contribuito fortemente alla transizione e alla tregua che ha permesso di organizzare elezioni accettabili, aprendo anche opportunità per nuove istituzioni e la speranza di un ritorno alla pace. Solamente, siamo costretti a constatare che a dispetto della loro potenza militare e logistica, la pace non è ancora tornata nel nostro paese.
Sfidando ogni autorità, gruppi armati, che si ramificano di giorno in giorno, continuano a seminare insicurezza su una parte del nostro territorio. Le braci della guerra restano ancora molto ardenti nel nostro paese e infiammano, di tanto in tanto, alcuni luoghi, aumentando il numero dei morti, dei feriti, degli sfollati all’interno e all’estero. Ora, che siano i Saleka o gli Anti-Balaka, coscientemente o incoscientemente, ci hanno mentito, facendoci credere che attraverso la potenza delle loro armi, accompagnati da qualche feticcio, avrebbero ristabilito l’ordine e la giustizia. Hanno invece seminato un seme molto cattivo che diviene difficile da estirpare dal cuore degli uomini e delle donne colpiti dalla violenza della guerra. Così possiamo dire, ancora come Papa Francesco che: “la guerra conduce gli uomini in una spirale di violenza che risulta difficile da controllare in seguito; demolisce quello che generazioni hanno faticato a costruire e prepara la strada a ingiustizie e a conflitti ancora peggiori”.
Eminenze, eccellenze, cari fratelli e sorelle, riconosciamo con lucidità che i conflitti sono permanenti e inerenti all’esistenza. Essi degenerano nella violenza solo quando sono affrontati negativamente. La guerra è il massimo della negatività poiché si attacca all’essenziale dell’essere che è la vita e sfida il creatore attraverso la distruzione della sua creatura, quale noi siamo, quale sono i nostri simili e tutti gli altri esseri della natura. Deve essere evitata per quanto sia possibile e la nostra azione di pastori e di cristiani ci chiama non a preparare la guerra per assicurarci la pace, ma a lavorare per la giustizia che prepara il cammino della pace come ci ha raccomandato sua santità Papa Paolo VI: “se vuoi la pace agisci per la giustizia”. E se a dispetto dei nostri sforzi la stupidità umana cade ugualmente nella violenza, cosa bisogna fare?
3. Il dialogo come vero cammino verso la pace
“La guerra non è mai necessaria, né inevitabile. Si può sempre trovare una alternativa: è la via del dialogo, dell’incontro e della ricerca sincera della verità » ci dice ancora sua santità Papa Francesco. È vero e noi lo sperimentiamo nella Repubblica Centrafricana attraverso la Piattaforma delle confessioni religiose. Nel contesto tumultuoso della crisi generata dal conflitto violento del 2013, le relazioni tra cristiani e musulmani si erano profondamente deteriorate. A Bangui, come nella maggior parte delle località del nostro paese, l’odio aveva diviso i quartieri secondo la predominanza degli adepti a questa o quella religione. Era molto pericoloso avventurarsi nella zona nemica. In questo ambiente così rischioso, con il presidente dell’alleanza evangelica Nicolas Guérékoyaméné-Gbangou e il Présidente del consiglio islamico Centrafricano, l'imam Oumar Kobine Layama, abbiamo perso l’iniziativa di creare una piattaforma interreligiosa. Il nostro obiettivo era di mantenere accesa la fiamma dell’amore e la speranza di una coabitazione fraterna attraverso la parola e la testimonianza del dialogo tra le principali comunità di fede.
Senza fucili e senza maceti ci siamo presentati innanzi ai belligeranti denunciando le violenze e gli abusi da qualunque parte venissero e invitandoli e voltare le spalle al male e ad aprirsi alla mutua accettazione. Insieme abbiamo sensibilizzato le nostre comunità alla necessità della coabitazione pacifica e abbiamo iniziato la formazione interreligiosa per la coesione sociale. Ci siamo spinti senza tregua attraverso il paese fino ai villaggi più lontani per sensibilizzare le comunità e promuovere la pace, il rispetto e la fiducia reciproca. Abbiamo trasceso le nostre differenze religiose per cercare di migliorare il nostro ambiente socio politico e culturale chiamando gli attori politico-militari al dialogo , supplicando la comunità internazionale perché ci aiutasse a creare spazi di concertazione tra fratelli e sorelle Centrafricani.
L’eco dei nostri messaggi e della nostra testimonianza ha rinforzato in noi la fede nella forza e nella potenza del dialogo quando viene condotto nella verità. Nel cuore degli scontri violenti e del rapimento di ostaggi siamo riusciti, solo con la parola, a sciogliere i nodi di situazioni rimaste senza soluzione a dispetto di tutte le ingiunzioni e minacce dell’uso della forza. Oggi, quando gettiamo uno sguardo retrospettivo sul processo di pace del nostro paese, ci rendiamo conto che noi non abbiamo avuto tregua se non in occasione delle iniziative favorevoli al dialogo. Pensiamo al forum di Bangui che ha dato la speranza di un domani migliore, alla preparazione partecipata e all’organizzazione concertata delle elezioni, all’apertura alle diverse correnti politiche durante la creazione di nuove istituzioni nel paese. Noi crediamo fermamente che il dialogo, non solo interreligioso, ma anche interculturale e tra le diverse forze vive del nostro paese, comprese quelle che hanno al soldo gruppi armati, possa aiutarci a uscire dalla crisi e ad avviare lo sviluppo più della guerra.
In conclusione
Affermiamo con forza che bisogna fermare la violenza e restaurare la dignità di tutti e di ciascuno senza ricorrere ai metodi dell’oppressore, al primo posto dei quali troviamo la guerra. Questa è una fonte di desolazione che attraverso la cultura dell’odio e il sentimento di vendetta, genera una spirale senza fine di violenza. Questa spirale si ferma solo quando gli uomini decidono di diventare nuovamente umani deponendo le armi e collaborando alla ricerca di soluzioni idonee ai conflitti che, tutto sommato, sono inerenti alla nostra esistenza. Al di là del Centrafrica, l’attualità dei massacri dovuti alle opposizioni violente tra gli estremisti religiosi, politici, e /o culturali testimonia la vacuità della guerra. La volontà di potenza rinforza l’industria militare con il pretesto di assicurare la nostra sicurezza, più le armi della guerra diventano sofisticate, più l’umanita e la vita sono minacciate . Le principali guerre e rivoluzioni che hanno segnato la storia hanno ricevuto una vera tregua solo attraverso la firma di trattati, frutto della concertazione e del dialogo anche quando esprimono soprattutto la volontà del vincitore.