Le immagini delle due torri del World Trade Center si sono impresse profondamente nella memoria dell’umanità. Sono immagini di orrore, di violenza, di terrore, di paura. Tutti ricordiamo quella giornata, ricordiamo cosa abbiamo fatto in quel giorno, cosa ci ha commosso. Possiamo ricordare lo shock e il turbamento che aumentava con il passare delle ore.
Anche dieci anni dopo questa ferita non è facilmente rimarginabile e ciò che è successo forse non è stato rielaborato perché le conseguenze di questo atto di disprezzo verso l’umanità si sentono ancora oggi. La violenza si perpetua nei conflitti, in ogni nuova reazione di violenza e di contrapposizione. È una catena la cui fine ancora non si riesce a vedere. Quindi questa ricorrenza ci chiede di nuovo di riflettere. Si tratta di una memoria in senso ampio, di un ricordo che diventa impegno.
Ci ricordiamo delle vittime dell’11 settembre, delle guerre, della violenza e del terrorismo negli ultimi dieci anni.
Rammentiamo l’enorme disponibilità ad aiutare di cui molti hanno dato prova l’11 settembre 2001.
Pensiamo anche ai soldati, sia uomini che donne.
Ci ricordiamo pure di quelli che si impegnano in ambiti diversi per far sì che la violenza e il terrore cessino.
E riflettiamo nuovamente come poter superare la logica della violenza e della paura, la diffusione dell’odio e delle barriere.
Gli spregevoli atti dell’11 settembre 2001 avevano un duplice scopo: da una parte la maggior distruzione possibile, l’annientamento di vite umane, la messa in scena di una rappresentazione di orrore e di paura. Dall’altra quello di costringere il mondo e in particolare le nazioni della civiltà occidentale nella logica della violenza e del terrore. Si trattava e si tratta di dettare ed imporre l’agenda della vita politica e sociale attraverso il terrore.
Davvero bisogna difendersi da quelli che con violenza e una inimmaginabile fantasia del male agiscono contro persone innocenti e desiderano solo la distruzione totale. Ma la nostra risposta deve essere più grande, più larga e più profonda. Gli Stati Uniti e tutta la civiltà occidentale, l’intera comunità mondiale, cioè quelli che furono l’obiettivo dell’attacco, non devono solo proteggersi dalla violenza, ma devono trovare nuove risposte di pace e di convivenza in un mondo globale. Un mondo in cui le diverse culture, religioni e idee devono e possono avere un posto.
Ogni tanto mi sembra come se il decennio passato sia stato dissipato senza cercare queste risposte più alte. Probabilmente ci siamo abituati troppo agli scenari di guerra e alla retorica della contrapposizione. Dobbiamo imparare di nuovo che il nostro mondo saprà costruire un futuro solo stabilendo un ordine di giustizia e solidarietà, con forze di riconciliazione, di pace e di convivenza.
L’incontro internazionale di pace che si tiene qui a Monaco vuole incoraggiare e orientare in questa direzione. Poiché il nostro mondo può essere volto al bene soltanto passo dopo passo. Da questo non dobbiamo lasciarci distogliere.
Quindi dieci anni dopo il 9/11 significa ancora un impegno e una missione: non sottostare alla logica della vendetta, della violenza e dell’inimicizia. Non facciamoci dominare da essa ma impegnamoci con audacia e un lungo respiro per la pace, la giustizia, l’incontro e la riconciliazione. Quale sarebbe altrimenti l’alternativa?
I rappresentanti qui presenti delle religioni vogliono inserirsi in questo movimento. Vogliamo contrapporci con decisione all’abuso del nome di Dio, a ogni tipo di violenza, di sfruttamento e di oppressione nel nome della religione. Appellarsi a Dio uccidendo persone innocenti è blasfemia.
Attraverso il nostro stare insieme a Monaco vogliamo manifestare che le religioni vogliono e possono essere sorgente di pace, del dialogo vero e della riconciliazione.