12 Settembre 2011 09:30 | Neues Rathaus, Kleiner Sitzungssaal
Il Giappone dopo il sisma di Eigen Onishi
Mi chiamo Eigen Onishi e vengo dal Tempio di Kiyomizu di Kyoto, in Giappone.
Con immensa gratitudine Vi ringrazio per questa grande opportunità e apprezzo molto il fatto di poter partecipare a questa tavola rotonda.
Innanzitutto vorrei ringraziare veramente per i contributi, gli auguri, la dedizione, le donazioni e le preghiere che il Giappone ha ricevuto da tutto il mondo.
Ci sono state oltre 15.000 vittime, i dispersi sono ancora 4800 e 88.000 gli sfollati. Mentre oltre 250.000 edifici sono stati distrutti.
Vorrei parlarvi principalmente di due cose. La prima riguarda le reazioni dei giapponesi a questa terribile catastrofe mentre la seconda riguarda il ruolo delle religioni, nell’affrontare la situazione seguita alla catastrofe.
In merito alle reazioni dei giapponesi vi sono stati sia quelli che hanno contribuito fortemente a dare un aiuto effettivo, sia quelli che hanno aiutato per un senso di dovere, sia quelli che hanno assistito passivamente o indifferentemente.
Nonostante la tendenza dei giapponesi ad essere poco compassionevoli verso gli altri, dipesa dalla forte pressione cui sono sottoposti sia nel privato che nel lavoro, dal tipo di famiglie poco numerose e dalla diffusione dei crimini - fattori che hanno portato ad avere poca fiducia nel prossimo - è stato invece sorprendente il grande contributo che hanno dato.
Non c’è stato un giorno infatti in cui non si sentissero notizie su varie attività di aiuti, come opere di beneficienza da parte di persone famose, atleti, aziende, gruppi e persone singole. Oltre 3 miliardi di dollari sono stati inviati nelle zone colpite attraverso la Croce Rossa. Ovviamente ci sono anche altre donazioni e aiuti da parte di diversi gruppi.
I ricordi di coloro che non sono stati direttamente colpiti dal terremoto si affievoliranno con il passare del tempo. Tuttavia, la ricostruzione delle aree colpite è un processo talmente lungo che niente verrà dimenticato. Ci sono ancora molti problemi, come quello della centrale nucleare, il supporto psicologico alle persone che difficilmente riescono a vedere una speranza con il conseguente rischio di suicidi.
Dobbiamo continuare nei nostri sforzi e cercare di fare il possibile. In altre parole, è essenziale continuare a dedicarci a loro e contribuire alla ricostruzione.
Per quanto riguarda il ruolo della religione, credo che ci siano 3 tipi di ruoli.
Il primo è quello di pregare per tutte le vittime, cioè per le loro anime, perché tradizionalmente nella cultura giapponese le persone vivono rispettando le anime dei defunti. Normalmente in ogni casa c’è un piccolo altare, si va molto spesso alla tomba dei propri cari e ogni anno si fanno cerimonie ufficiali per “accogliere” le anime dei cari in casa. In questo tipo di cultura, infatti quando le persone muoiono le cerimonie funebri assolvono un ruolo importante. Ed è per questo che in questa catastrofe le religioni hanno un ruolo di primaria importanza.
Il secondo ruolo è l’assistenza materiale e umanitaria chiamata Fuse-gyou. Si basa sul concetti di jihi, che si traduce con i termini “misericordia” e “compassione”, che nel Buddhismo significa alleviare le sofferenze e dare la felicità.
Si può dire che il significato di jihi, si avvicina molto al termine cristiano di “amore”.
Nel Buddhismo, ci dobbiamo considerare tutti come non-sostituibili e di conseguenza anche gli altri sono non-sostituibili e devono essere trattati come tali. Credo sia superfluo dire che nelle zone colpite sono necessari ancora altri aiuti e le religioni possono fare molto.
Il terzo ruolo consiste nel dare aiuto alle persone perché possano avere una visione chiara della vita e della morte.
Purtroppo nella società odierna si passa sempre meno tempo con le persone in fin di vita, perché ci affidiamo molto alle tecniche mediche avanzate, al miglioramento della sanità e perché le famiglie non sono più come quelle di un tempo, che erano allargate. Infatti un tempo la morte stessa era qualcosa di più vicino alle persone.
Dal momento che abbiamo ricevuto la vita, verrà un giorno in cui moriremo. Nel buddhismo è chiamato shogyou mujou, ma finché stiamo bene o non ci capita nulla, il concetto di morte è qualcosa di molto astratto e lontano da noi.
Si discute molto sui problemi sociali, etici e religiosi come l’aborto, la cura dei malati terminali, la morte celebrale, il trapianto di organi e l’eutanasia, ma sono argomenti che non sono trattati in modo personale e considerati come problemi che riguardano noi, singoli individui.
La morte è la fine di qualsiasi tipo di legame sociale, il distacco dai propri cari e da sé stessi, è anche paura, sfiducia e dolore.
Nel Buddhismo la morte e anche la vita, strettamente connessa con la morte, sono considerati come delle grandi sofferenze. Non sappiamo quando ci coglierà la morte. Può essere ancora lontano, come nell’immediato. Ed è proprio per questo che è necessario dare un significato sia alla vita che alla morte e in questo la religione veste un ruolo importante.
Ad esempio, un malato terminale di tumore che rifiuta le cure indicate dal medico e preferisce vivere la vita che gli rimane, è una persona che fa un’azione basata sul proprio modo di concepire la vita e la morte. Accettare la propria morte e vivere con coraggio, speranza e sentendo la salvezza, significa in primis “percepire” il proprio essere. In altri termini credo che significhi sentire pienamente la gratitudine per la vita ricevuta, sulla base della fiducia, del legame, della premura e gratitudine verso tutti coloro che sono vicini.
Coltivare il significato della vita e della morte, significa apprezzarla pienamente. In altre parole, dovremmo considerare la morte come parte integrante della nostra vita senza considerarla come qualcosa di meramente negativo. Anzi, proprio per questa vicinanza della morte, dovremmo diventare più grati della vita, più grati a tutti coloro che ci sono accanto e dovremmo vivere apprezzando ogni singolo istante.
Credo che questo concetto sia universale in tutte le religioni.
Di fronte a questa tragedia, dovremmo porci seriamente di fronte alla vita e alla morte e credo che le religioni possano avere un ruolo e un impegno molto importanti.
Vi ringrazio per il prezioso ascolto.