Lasciate che prima di tutto ringrazi la Comunità di Sant'Egidio per avermi dato l'onore di far parte di questo solenne Meeting Internazionale per la Pace. Mi sento profondamente modesto in presenza di così grandi teologi e filosofi per parlare su un argomento che richiede molta più competenza di quanta io ne possa vantare. Tutti noi condividiamo e sosteniamo l'idea della coesistenza, ma al tempo stesso ci troviamo in grande difficoltà a tradurre questa idea in realtà. Credo che oggi siamo più che mai nella necessità di esplorare come gettare le basi di una coesistenza pacifica. Molto rispettosamente io ritengo che la nostra ricerca delle basi della coesistenza debba partire dalla rivisitazione delle nostre categorie mentali in questa ricerca.
L'esistenza pacifica, promessa da tutte le religioni, da filosofi, da umanisti e razionalisti è ancora il sogno di un poeta. È perché stiamo ancora pensando in termini di imperi, sicurezza e conflitti. Ancora crediamo nella guerra come metodo di risoluzione dei conflitti. Di conseguenza, l'umanità continua a soffrire gli incubi del terrorismo, dello sciovinismo, e di guerre distruttive. Scienza e tecnologia sono ancora al servizio delle industrie produttrici di armi di distruzione di massa, provocando il degrado ambientale e allargando il divario tra ricchi e poveri. Gli esseri umani ancora discriminano, odiano e si uccidono a vicenda in nome della religione, dello stato e della sicurezza. Pluralità e differenze sono considerate una minaccia, e il multiculturalismo è screditato a favore dell'integrazione. Le minoranze religiose continuano ad essere intimidite. Caricature dei fondatori delle varie religioni sono giustificate come espressione di libertà. Scioperi e intolleranze dovuti alla paura dei Minareti e del Niqab sono attribuiti alla natura univoca e immutabile di sistemi religiosi. E' intimidatorio parlare, in tale contesto, delle basi per la convivenza.
Questa ricerca è complicata anche dal fatto che non possiamo limitare la nostra ricerca alla convivenza religiosa, dobbiamo parlare di convivenza in generale. I recenti dibattiti sulla coesistenza sottolineano il fatto che non è una semplice ricerca nell'ambito della teologia o della politica. Riguarda molteplici fattori, tra cui l'attuale crisi epistemologica e le ultime preoccupazioni sulla comunicazione nella ricerca del consenso. Ecco perché il concetto appare paradossale: La coesistenza è inevitabile, ma allo stesso tempo sfuggente.
È gratificante sapere che negli ultimi anni i rappresentanti di quasi tutte le religioni hanno sottolineato la necessità di una convivenza religiosa dichiarando che le loro rispettive scritture esprimono la pace e la coesistenza pacifica come uno dei temi principali del loro insegnamento1. Anche coloro che biasimano la religione per la violenza credono che la coesistenza pacifica sia inevitabile. Anche se contraddittori, questi dibattiti suggeriscono che la coesistenza pacifica sia terreno comune non solo tra i credenti, ma anche tra questi e i non-credenti. Tutti concordano sul fatto che l'esistenza pacifica non è solo un desiderio, ma un sogno e una necessità. Il corso della storia, l'evoluzione economica, l'accesso immediato a qualsiasi tipo di informazione hanno portato gli esseri umani gli uni vicini agli altri, spesso troppo vicini per stare bene. Siamo uniti più che mai, ma siamo anche restii o lenti nell'abituarci a ciò.
La ricerca delle basi per la coesistenza è quindi anche una ricerca sulle cause della nostra riluttanza alla coesistenza. A mio parere questa riluttanza è causata dalla base teologica e scientifica della verità e dell'esistenza. Ci sentiamo bene con una costruzione familiare delle verità. La coesistenza evoca timori nell'accettare e nel tollerare costruzioni sconosciute della realtà. Tali immagini di convivenza rappresentano una minaccia per l'esistenza stessa della nostra identità ed esistenza. Questa paura ha le sue origini nelle nostre categorie di pensiero a due binari.
Stiamo scoprendo quasi ogni giorno che i fenomeni dell'universo indicano pluralità, diversità e molteplicità e il nostro modo di pensare binario non riesce a metterli semplicemente nelle due categorie del sì e del no, del giusto e dello sbagliato o del bene e del male. Forse, non perché la verità è relativa, ma perché un gran numero di questi fenomeni appartengono alla categoria chiamata 'non so'. L'ironia è che più i nostri progressi nelle conoscenze avanzano e più dobbiamo ammettere quanto poco sappiamo. Non che dovremmo, quindi, smettere di cercare la conoscenza e accontentarci di quello che abbiamo, ma dobbiamo sempre essere consapevoli dei limiti della nostra conoscenza. A mio parere, il riconoscere che abbiamo una conoscenza limitata potrebbe essere una delle basi per la coesistenza.
Significa che la nostra lettura e la nostra comprensione delle Scritture, della teologia, e delle norme religiose sono costruzioni umane, e quindi hanno i loro limiti. Il problema sorge quando si crede che queste costruzioni umane siano verità divine e vengono annunciate come tali. Il credente è perplesso quando lui o lei li trova in contrasto con le informazioni contemporanee. Sia il teologo che lo scienziato possono vivere in pace se ammettono che la conoscenza umana ha un limite. E ' forse più facile per un teologo, perché lui o lei sono pronti a distinguere tra conoscenza divina e umana. Ma nessuno è più consapevole dei limiti della conoscenza dello scienziato o ricercatore moderno. Uniti nella loro consapevolezza del limite della conoscenza entrambi possono lavorare per la pacifica esistenza umana.
Il riconoscimento dei propri limiti può anche aprire la strada per apprezzare e rispettare le differenze, diversità, pluralità e molteplicità nel pensiero umano e nelle culture, che io propongo come secondo pilastro per la coesistenza. Prospettive limitate producono visioni divergenti della realtà. Queste limitazioni sono epistemologiche, ma sono anche alimentate da differenti esperienze locali, sociali, religiose, e psicologiche. Non si possono liquidare queste differenze come falsità. Sono differenze di costruzioni umane. Vivendo insieme e attraverso l'esperienza del dialogo, discutendo e condividendo ciò che abbiamo vissuto impariamo a conoscere altre prospettive. Possiamo non essere d'accordo su una percezione, ma possiamo ammettere i nostri limiti e apprezzando la diversità possiamo trovare motivi di convivenza. La varietà e la diversità sono i segni di Dio nella creazione dell'universo, dei cieli e della terra. Secondo il Corano, quelli che vedono la diversità tra le lingue e i colori degli uomini testimoniano i segni di Dio e sono benedetti con una conoscenza più profonda. Le differenze sono causate da una conoscenza limitata, ma ciò è caratteristico della nostra vita in questo mondo, mondo che si sta rivelando da se stesso. Gli esseri umani devono continuamente lottare per la ricerca della conoscenza e per il bene comune. Nessuno può rivendicare la fine della conoscenza. Gli esseri umani possono coesistere meglio riconoscendo i propri limiti e nel rispetto delle differenze.
Per concludere, lasciatemi recitare un versetto del Corano:
Se Allah avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. [Egli ha voluto diversamente]. Gareggiate in opere buone: tutti ritornerete ad Allah ed Egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi.