Non si può capire l’Africa subsahariana senza prendere in considerazione le funzioni sociali, politiche, culturali ed etniche delle religioni. Sulla questione religiosa sono stati prodotti tesi, libri, documenti e films-come anche sulla sociologia delle culture religiose- che forse spesso sono trascurate la modernità e l’attualità di queste funzioni sociali delle religioni in Africa. Bisognerebbe specificare, per essere maggiormente precisi, di quale Africa parliamo dal momento che in realtà esistono diverse Afriche.
La religione è un legame e un collegamento; essa è fiducia e permette anche una sorta di socializzazione, attraverso i riti, i linguaggi comuni e i significati che essa riesce a rendere collettivi. Essa fonda un mondo ed un universo di senso. In un mondo in crisi, in storie caotiche, piene di rumori e di furori, dove la miseria e la povertà sono regine, le società fabbricano delle religioni, le ri-inventano, le producono, le distillano per donare del senso a ciò che non può essere tollerato, la fame, l’indigenza, la negazione dei diritti fondamentali. La religione vissuta è una cultura del quotidiano, dei costumi, quando la famiglia o l’istituzione scolastica o etica è mancante. Essa supplisce dunque alle penurie, alle mancanze e alle incompletezze delle società in via di sviluippo. Non si può comprendere la verità, l’efficacia della religione e del religioso se si dimentica innazitutto e prima di ogni cosa questa funzione salvifica, salutare, in senso etimologico, di riscoperta della salute (salus) et delle cure alla persona. Chi cura meglio colui che è nell’afflizione se non la trascendenza, sia egli animista, monoteista, politeista, sciamanista o naturalista? Il sacro permette di sopportare il proprio male e di donare una verità all’uomo afflitto. Come capire la morte di un bambino a causa di una malattia per la quale nei paesi del nord non si muore più? Come possono i popoli colpiti dalla siccità e dai conflitti dei capi della guerra, dovuti alla brama del denaro rapido e facile, vivere e sopravvivere? E come comprendere la povertà e l’ingiustizia nell’era delle banche mondiali, dei programmi mondiali per l’alimentazione, nell’epoca delle coscienze ecologiche, mediche, degli sviluppi mondiali, quando si è in un paese privo di tutto e lasciato in balia di potentati incerti?
Le religioni per quanto riguarda la morale, l’etica, la vita cittadina e la politica non possono essere considerate come delle sprovvedute da alcune forze antisociali e non progressiste. Esse sono di aiuto in società che fanno fatica a strutturare il loro quotidiano; esse sono etiche quando umanizzano le persone e e possono essere dei freni verso gli integrismi della disperazione. Quali sono dunque le funzioni delle religioni e i legami che collegano le società e le religioni in Africa? Quale cultura religiosa agisce nella società africana in generale? E come lottare contro i dogmatismi e le “identità mortali” per riprendere questa espressione di Amin Maalouf?
La funzione sociale e cittadinanza della religione
La religione dell’Africa subsahariana, è musulmana, cristiana, animista, sincretista; essa è dunque eclettica e non etereogenea. Essa è una dato storico fondamentale: struttura gli atti quotidiani dell’esistenza (nascita, matrimonio, decessi, anniversari, etc.) e le popolazioni vivono in una sacralità immanente pressochè incosciente tanto essa è diffusa. L’immaginario occidentale, spesso mal informato, vede nei gris-gris (amuleti voodoo), nei feticcci, ed in altri oggetti sacri delle rassicurazioni, delle cure, dei surrogati di forze occulte e valevoli come dei sostituti di potenze tecniche e tecnologiche simili a quelle dei paesi del nord. In effetti queste cose esistono; ma non è tutto. Senza cadere in una mistica semplicistica simile alla descrizione di una “avventura ambigua”, diciamo che nell’Africa subsahariana, il sacro gioca un ruolo costitutivo nella formazione di sensibilità e di spiriti, che lo accomuna ad un ruolo politico di formazione alla cittadinanza e di cemento sociale. Per un africano e’ impensabile essere senza religione in Africa: non può essere irreligioso, o ateo (anche se puo essere non devoto e non praticante) a causa della sua nascita e della sua appartenenza ad un gruppo, ad una collettività, ad una storia. E questo non è dovuto all’islamizzazione o alle relazioni complesse tra queste e quelle comunità tradizionali- La religione definisce per essenza l’essere stesso di un individuo: essa lo rende soggetto o non di verità e di tradizioni che definiscono, salvagurdano o formano il gruppo al quale egli appartiene prima di divenirer egli stesso un indivuiduo particolare. L’individuo è una invenzione storica propria di un modello di vita economico, sociale, poltico, filosofico specifico dell’occidente; si può datare la sua nascita concettuale al XVII secolo.
Nel Niger, l’individuo appartiene alla sua lingua, alla sua famiglia, al suo popolo, alla sua religione e una delle funzioni politiche dei governanti è quella di istituire il senso civico e sociale altrui unicamente in uno spazio circoscritto dal potere tradizionale del religioso. Noi non siamo in un paese laico dove la separazione della religione e dell’atto pubblico è pensabile anche se il governo reclama delle competenze prosaiche che lasciano da parte le opinioni, le obbedienze e le alleanze, le credenze, tuttavia gli spazi della trascendenza sono dapertutto e in ogni momento, come gli dei e gli avi nelle religioni asiatiche. E’ ad esempio ciò che ricordano le invocazioni musulame, è l’umiltà e la modestia dell’agire politico, della comunicazione, culturale: l’individuo è “piccolo” in confronto a Allah detto “grande” in ultima istanza la fragilità dell’uomo e delle sue opere non è che il ricordo della sua condizione.
Se egli la dimentica, la natura gli ricorda che non è niente senza questo superamento dell’immediato. C’è dunque un controsenso a voler pensare le gris-gris , la credenza nei sortilegi e nelle potenze divine come un atto intuitivo immanente ed immediato facendo appello alla sensibilità piuttosto che alla ragione o alla comprensione, come se l’uomo africanus fosse un essere impulsivo o un essere di passioni incontrollate ed incapace di proiettarsi nella storia e nell’avvenire. Tutte queste pratiche religiose organizzatte o “libere”, atipiche, esoteriche o teologicamente ritualizzate secondo canoni o norme che definiscono la comunità dei credenti e le buone pratiche religiose, dimostrano esattamente il contrario. In effetti la religione afferma che l’uomo deve pensare, rifletter aldilà di una natura che è siccità, pandemia, carestia, capriccio metereologico e che stabilisce che non bisogna rimettersi alla mektoub (destino) di una ragiona pigra ma convocare gli dei marabutti per evitare che la natura faccia il suo corso senza le intenzioni e le volontà, i desideri e le aspirazioni degli esseri umani. L’invocazione religiosa ha valore di domanda di intervento contro la natura che può essere cattiva distruttrice e annichilitrice per le società sollecitando un intervento divino affinchè la natura non distrugga i cicli di produzione e di coltivazione alimentare. C’è quindi una funzione di prudenza che ricorda la presenza onnipotente ed imprevedibile delle cose della natura che occorre allontanare attraverso la pratica religiosa ritualizzata. C’è inoltre una funzione di regolazione o di intermediazione della religione: funzione che permette di agire tra le società, di sollecitare le divinità, di convocare gli spiriti o il Dio unico, di domandare attraverso la preghiera di intercedere o di ricorrere alla sua benevolenza e alla sua misericordia per evitare il peggio. Quando si prende un taxi, quando si parte in viaggio, quando si mangia, quando si digiuna, quando si tossisce, si sputa o si digerisce , tutti questi fatti devono essere messi in ordine nella grande visione del mondo e dell’essere che non ha nulla a che vedere con un paganesimo diffuso o con un oscurantismo della paura e dell’interesse privato, anche se si assiste ad utilizzazioni pragmatiche del fatto religioso o degli abusi di potere legati alle ingenuità e semplicità popolari per profittare della buona fede spesso incolta.
L’etnocentrismo è stato per molto tempo causa dell’incomprensione del continente nero e questo dura ancora. Si ricercano le cause della miseria nel sottosviluppo mentale, nelle differenze etniche; le culture dell’alterità, un’ etnofilosofia che mal nasconde la paura dell’altro, una angoscia di sè che risveglia e rivela la xenofobia, fino ad una visione razziale e razzista delle culture. La religione in Africa, come è stato in Europa ed altrove, assume forme storiche ma trascende nel suo significato sacro i quadri storici delle sue manifestazioni. Ha dunque una funzione simbolica ed etica molto importante che non bisogna occultare, per non correre il rischio di violentare le coscienze e lo spirito dei popoli.
La funzione etico-sociale della religione.
In effetti, i tabù, le credenze, le superstizioni, le ignoranze, gli oscurantismi possono essere fattori che inibiscono l’accesso all’universale e alla riflessione critica che sono alla base del rispetto dell’altro e della dignità delle persone nel dialogo interculturale ed interreligioso. I diversi integralismi presenti in tutte le religioni di questo mondo, sono spesso il frutto di ripiegamenti identitari e comunitari che traggono origine nell’incomprensione e nella negazione della giustizia o addirittura nello smarrimento che porta alla follia dell’onnipotenza. Mettersi al posto dell’Onnipotente per giudicare gli esseri e dare il senso del valore della vita non solo è un peccato in tutte le religioni ma anche e soprattutto un grave errore di giudizio poichè il mondo religioso non è il mondo politico anche se agisce nella vita civile e sociale. Le società africane subsahariane, diverse, multietniche, nomadi e sedentarie, analfabete ed illetterate, in gran parte, di una cultura di sussistenza e di bisogni primari, sono determinate da una visione del mondo segnata dalla precarietà e dalla ripetitività della vita quotidiana (stagione secca, umida, lavoro dei campi, mercato quotidiano e settimanale). I responsabili sono tenuti al rispetto degli anziani e delle tradizioni anche se le evoluzioni sono più rapide di quello che si dice e si percepisce. E’ chiaro che i compiti dei dirigenti africani sono in gran parte pedagogici: bisogna spiegare, esplicitare, convincere, rassicurare, realizzare politiche economiche, sociali, educative e sanitarie che necessitano di mezzi e di impegno. Non è qui il luogo di insistere sulla crisi mondiale e che relega gli aiuti allo sviluppo ad un piano secondario, se non ultimo, nelle preoccupazioni dei paesi ricchi, e che non aiuta una cooperazione solidale, equa, giusta e condivisa nell’interesse di tutti.
Si possono vedere le religioni come degli aiuti allo sviluppo se esse si fanno mezzi di dialogo tra i fratelli nemici come è stato il caso in Sudafrica. La religione non è una malattia dei poveri; é forse necessario ricordare l’importanza che essa riveste in Italia, negli Stati Uniti o in Germania?
La religione può essere l’alibi di tutte le violenze per impadronirsi dei beni altrui o per giustificare la propria volontà di potenza. La triste commemorazione dell’11 settembre qui a Monaco ha anche una doppia connotazione storica e civilizzatrice:
1) ricordare i valori promossi dalel religioni nei loro fondamenti (che non è un atteggiamento fondamentalista), che sono quelli della giustizia, dell’amore per l’umanità, di un aiuto reciproco solidale, di benevolenza e di umile sollecitudine per i sofferenti e gli svantaggiati. In Africa questi valori hanno permesso al continente, malgrado i grandi mali del passato e del presente, di strutturare società civili attraverso l’aiuto reciproco anche se con rischi di nepotismo e di feudalesimo quando si mantengono strutture poco politicizzate e private di aiuto informale alle popolazioni.
2) Istituire alcuni momenti di ecumenismo, di fraternità universale, di comune appartenenza ad una stessa famiglia umana sottoposta nel tempo ad uno stesso destino (nascita, crescita, malattia, disoccupazione, solitudine e morte) e agli stessi pericoli di determinismo sociale e storico contro i quali occorre talvolta mobilitarsi, per evitare che la società non sia il riflesso della natura irrazionale, terribile ed altamente indifferente ai nostri auspici e ai nostri fini come nel caso delle grandi catastrofi causate dal cambiamento climatico o alla desertificazione tragica del Sahel.
La funzione etica della religione consiste nel far sì che i popoli non si abbandonino a sentimenti di paura, di vendetta, di risentimento e di tristezza e che non dimentichino che i comandamenti religiosi sono prima di tutto dei progressi dello spirito umano che fuggono le tenebre della nostra condizione di fragilità: Al di sopra dell’immediato ci sono alcuni fini ai quali dobbiamo rispondere con degli impegni in quanto esseri non sottomessi totalmenti al determinismo naturale. In quanto liberi noi abbiamo il dovere di migliorare le condizioni di vita quando esse sono disumane o impossibili in base ai valori ed agli ideali delle religioni e delle civiltà che ci hanno nutrito da secoli. Non bisogna mai dimenticare che l’uomo deve essere umanizzato e che egli diviene umano riconoscendo delle Idee che lo fanno crescere e che lo innalzano nel doppio significato della parola innalzare: allo stesso tempo educare e trascendere.
La trascendenza non si esaurisce nel momento storico della sua comparsa. Non bisogna confondere il religioso con la religione nè cancellare le dimensioni filosofiche e politiche universale che si sono espresse in modo parziale nel fatto religioso e nell’atto della fede in se stesso. Altresì non bisogna confondere la teologia, neppure la meno dogmatica, con la saggezza ottenuta attraverso la meditazione spirituale e la fede nel valore sacro della vita. Per questo non si può pretendere da una religione che riprenda il corso della storia laddove essa non esista più. Questo anacronismo sfocia spesso nel fanatismo. Inoltre il religioso deve assolvere i suoi doveri nel mondo. Bisogna dare a Cesare ciò che è di Csare, nè di più nè di meno. L’essere umano non è riducibile a ciò che possiede e non è una mercanzia; Ugualmente l’essere dell’uomo non può essere umanizzato senza la cura e la soddisfazione dei bisogni fondamentali per non essere sub-umanizzato e divenire un essere disumano che vive una vita nuda senza scopo nè senso. La vita, la libertà, l’intelligenza vera non sono oggetti di consumo o beni deperibili. Bisogna ritrovare questa umanità della culture e dei valori condivisi in un dialogo in cui le differenze sono elementi di comprensione e di intelleggibilità dell’altro piuttosto che blocchi e rotture di comunicazione senza senso.
Per questo noi abbiamo il dovere di amare l’umanità cioè imparare a viver le differenze prima che divengano contraddizioni mortali e mortifere. Attraverso una istruzione idonea, gli scambi culturali, i dialoghi assiologici, gli incontri intercultuali, noi possiamo educare alla comprensione reciproca ed al lavoro di sè e su di sè, con il rispetto dell’altro e per renderci degni dell’umanità deposta in noi e che ci conduce all’essenziale.
Quale è questo essenziale che ci raduna nelle nostre differenze? Qual è questo Bene comune attraverso il quale noi siamo restituiti alla nostra uguaglianza ontologica e antropologica?
Questo essenziale è semplice ed è affermato in tutte le religioni del mondo ed in tutte le saggezze (culture), anche se corrotte da opinioni trasformate in rivendicazioni identitarie:le vite, le conoscenze, le libertà, non sono valori monetizzabili o di scambio, non sono oggetti di consumo, o beni deperibili. E’ urgente chiamare ad una pace culturale e religiosa mondiale ed universale per evitare gli attentati ciechi e i massacri degli Innocenti . Il Bene comune mondiale è la volontà di una vita buona, giusta, degna, decente, desiderata da ciascuno tra coloro che si rivolgono alla fragilità umana in sè e fuori, quando si concentra e non si disperde più nei divertimenti e nelle passioni oscure che determinano troppo spesso le azioni più criminose.
Come imparare il rispetto per l’altro, l’attenzione ai legami sociali, il rispetto dei diritti delle persone umane, ciò che inizia il dialogo interreligioso ed interculturale, se non attraverso una politica etica che scommetta sulla pace delle anime e dei corpi in nome di una umanità riconciliata con se stessa e non più divisa sull’essenziale?
Bisogna scommettere che tutte le religioni e le culture desiderino il Bene comune di cui noi parliamo e che non sia mai l’espressione di un colpo di forza sciagurato dell’uno o dell’altro, ma molto più, la scelta concertata, di comune accordo, nell’armonia e nel dialogo, di una politica dei valori valida per ciascuno e per tutti. Questo passa attraverso una attenzione ed un aiuto ai più indigenti e una riqualificazione della storia del mondo che non si riduce a una opposizione diabolica ed immaginaria tra “civilizzati” e “non civilizzati”, o, tra “culture buone o cattive|”, ancora meno una visione doppia dell’umanità divisa tra i “popoli razionali contro i popoli intuitivi”. E’ necessario un ritorno al reale della nostra storia comune per non cadere in una virtualizzazione sommaria del mondo. Per questo, i dialoghi intercultuarali ed interreligiosi , come gli incontri a livello planetario sono piu’ che pertinenti.
Il ruolo del Niger fra i popoli e le societa’.
Noi siamo destinati a vivere assieme. Questo vivere-con e’ un vivere-per. Il dialogo interreligioso istituisce la trascendenza come comune ascesa dell’umanita’ verso se stessa, come punto di arrivo, e come ideale promosso da tutte le religioni, attraverso la beneficenza e l’amore tra gli esseri umani. Le difficolta’ materiali delle popolazioni africane, reali, troppo spesso ingiuste, non devono far dimenticare che esse non sono delle societa’ materialistiche, nel senso piu’ volgare del termine. Non perche’ le cose della vita quotidiana siano trascurate o da trascurare, ma nel senso che cio’ che struttura la vita nella societa’ e’ la collettivita’, l’insieme di esseri umani sottoposti alle stesse tribolazioni e allo stesso tempo agli stessi vincoli metafisici. Le distinzioni di classe, di sesso, di cultura, sono delle realta’ ed esse sono spesso cio’ che motivano le esazioni e le piu’ condannabili violenze. E sappiamo che, come dice il proverbio “La pancia affamata non ha orecchie” ma non bisogna neppure dimenticare che il ventre sazio troppo spesso non ha cuore. Da questo emerge la necessita’ di digiuno, di ascesi, per ricondurre lo spirito a se stesso e farlo concentrare sull’essenziale di questa vita, nella dimenticanza di se’.
Nel Niger ci sono molte comunita’, religioni, enie, lingue, costumi. Il paese e’ conosciuto per alcuni dissensi come molti altri paesi nella regione; ma in Africa subsahariana, la poverta’ destabilizza le societa’ civile dal momeneto che gli stati sono poveri e senza strutture. La poverta’ endemica e’ dunque un flagello portatore di crisi tragiche.
L’uomo africanus non e’ bellicista per natura. La guerra e’ la politica continuata attraverso altri mezzi. Bisogna dunque fare un’altro tipo di politica, non quella dei regolamenti dei conflitti attraverso la forza militare. Le culture degli armati e delle armi devono essere messe al servizio della pace e non della debolezza di opinioni e di dogmi totalitari aggressivi e brutali che si affermano contro i popoli. E’ dunque piu’ che necessario che le culture dialoghino tra loro, per loro anche, e specialmente, se esse hanno delle valenze apparentemente opposte. Poiche’ i dialoghi dei valori non sono mai combattimenti mortali ma delle opportunita’ per l’umanita’ e la pace nel mondo. E una pace acquistata attaverso la guerra non e’ una vera Concordia ma la promessa di una guerra futura. Per la risoluzione pacifica dei conflitti e per il ritorno ad una vita civica, sociale, politica, costituzionale, normale, il Niger deve dare prova di una saggezza e non rifiutare tutte quelle buone volonta’, quelle religioni, quelle culture che vanno verso la solidarieta’ e il miglioramento dell’umanita’ in ciascuno dei suoi cittadini. Oltre al caso esemplare del nostro paese, questo dialogo interculturale ed interreligioso riguarda ciascuno di noi in questa vita circondata dal mistero della sua fine e quello della sua origine. E’ per questo che il dialogo delle religioni e delle culture e’ portatore di avvenire e che la responsabilita’ etica della sua permanente disposizione al servizio della pace nel mondo ci responsabilizza e ci impegna in una maniera imprescrittibile.