13 Settembre 2011 09:00 | Residenz, Kaisersaal
Da una cultura di paura ad una cultura di fiducia di Munib A. Younan
Il tema di questa tavola rotonda è “Dall’11 settembre 2001 all’11 settembre 2011”. E’ tempo di riflettere sull’atrocità dell’11 settembre, dieci anni dopo.
L’11 settembre fu un evento orrendo. All’epoca ero negli USA e parlavo alle cerimonie di apertura di un’università luterana dell’interno, un momento in cui gli studenti sono pieni di speranza, ottimismo e buona volontà. Nell’arco di una notte, vennero trasformati da queste esperienze. Svanirono la speranza, l’ottimismo e la buona volontà mentre le loro vite venivano plasmate da una cultura della paura. Ho vissuto questa tragedia, ho sentito le grida di dolore, mi sono identificato con i sentimenti di dolore e abbandono. Non riuscivo a figurarmi come il mondo sarebbe stato cambiato dagli eventi dell’11 settembre.
Sebbene non previsto quando questa conferenza è stata organizzata, c’è stato un secondo evento che segna la nostra riflessione ora alla fine di questo decennio: quello che è successo il 22 luglio a Oslo, 50 giorni prima dell’11 settembre 2011. L’estremista cristiano Anders
Breivik fece esplodere una bomba nella città e si recò con furia assassina ad un campo politico di giovani, uccidendone 77.
“Questo è stato l’11 settembre della Norvegia” ha detto qualcuno “e il paese non sarà mai più lo stesso”. Parlando di quest’ultimo decennio, penso sia opportuno guardare a questi due fatti insieme, fatti che sono in un certo senso gli estremi di un decennio di paura. Questi fatti ci aiutano a riflettere su come siamo “destinati a vivere insieme”
Da una cultura di paura ad una cultura di fiducia
Questi due fatti - l’11 settembre a New York City e il 22 luglio ad Oslo - sollevano la questione fondamentale “Come siamo legati tra noi? In particolare “Come la religione ci aiuta a vivere insieme? Come la religione ci crea problemi e ci divide?" Dopo l’11 settembre a New York, abbiamo dovuto affrontare il problema dell’estremismo musulmano. Dopo il 22 luglio ad Oslo, dobbiamo affrontare il problema dell’estremismo cristiano. Gran parte dei fedeli di entrambe le religioni, coloro che seguono il cristianesimo e l’islam nella loro forma storica, hanno preso le distanze dai violenti. Questi sono estremisti che distorcono la religione. Il problema non è la religione ma l’estremismo.
Attraverso gli ultimi due decenni del XX secolo, lo stimato storico luterano Martin Marty della University of Chicago avviò il Fundamentalism Project in 5 volumi, in cui trovò un movimento comune a tutte le religioni del mondo, ossia una opposizione militante alla modernità.
Questo fenomeno è caratterizzato da un forte rifiuto del pluralismo religioso e culturale, il credo che la propria via sia l’unica, la formulazione di un insieme rigido di regole e leggi e la sequela di forti leader singoli o di gruppi di leader che interpretano queste regole per tutti.
Tra coloro che studiano l’estremismo religioso vi è Charles Kimball, un ministro battista americano che già alla fine degli anni ’70 era stato coinvolto nel tentativo di facilitare il dialogo quando gli americani vennero presi in ostaggio in Iran e che aveva ricoperto il ruolo di Direttore del Middle East Office del National Council of Churches degli USA e poi era stato professore universitario. Poco dopo l’11 settembre, Kimball scrisse Quando la religione diventa male: cinque segni ammonitori. Egli sosteneva che il problema non è l’Islam o il Giudaismo, o il Cristianesimo. Il problema è quando alcuni individui, sostenendo di parlare per Dio o di difendere Dio, agiscono in modo contrario all’insegnamento fondamentale che l’amore di Dio si mostra nel rispetto per l’altro. Egli scrive: “Qualsiasi cosa gli uomini di religione possano dire del loro amore di Dio o dei compiti della loro religione, quando il loro comportamento verso gli altri è violento e distruttivo, quando causa sofferenza al prossimo, potete essere sicuri che la religione è stata corrotta e che ha disperato bisogno di essere riformata…. Allo stesso modo, quando la religione resta fedele alle sue fonti autentiche, riesce a sanare veramente queste deviazioni”.
Io vedo un secondo problema, accennato da Kimball. Quando i fedeli delle tradizioni cristiane, musulmana, ebraica – soprattutto i loro leaders- restano in silenzio e timidi circa questi valori chiave, si consegnano in ostaggio degli estremisti e contribuiscono al problema. Per questo chiedo ai leader religiosi di essere profetici. I leader religiosi di ogni fede e etnia devono avere il coraggio di alzarsi e dire agli estremisti della loro fede che la violenza nel nome di Dio o della religione è blasfema. Noi come leader religiosi dobbiamo essere più impegnati e parlare con più forza per “smantellare le corruzioni” e dobbiamo dare una visione della vita insieme in tutte le sue diversità in tutto il mondo globalizzato. Invece di dividere il mondo sulla base della religione, la religione deve essere una forza unificante contro i mali del mondo, quando ci concentriamo sui valori comuni che condividiamo.
Sfortunatamente, dopo l’11 settembre, i leader religiosi tradizionali sono stati forse troppo timidi – senza dubbio hanno espresso la loro visione, ma sono stati coperti dagli altri, ad esempio, dal reverendo Franklin Graham, figlio del rispettato pastore evangelico americano Billie Graham, che dichiarò pubblicamente che l’Islam era una “religione cattiva e malvagia”
Questa visione religiosa si è riflessa nella visione politica analizzata da Bernard Lewis e da Samuel P. Huntington, e denominata Scontro di civiltà, che è stata molto influente sulla Casa Bianca di Bush.
Solo pochi giorni dopo l’11 settembre, la pietà Cristiana del Presidente Americano diede la precedenza alla voce del suo vice presidente che dichiarò che gli USA dovevano “creare un lato oscuro” (“work the dark side”) usando “ogni mezzo a loro disposizione” e “senza discussione”. Il mondo venne presto diviso tra l’asse del bene e l’asse del male.
Sono convinto che come leaders religiosi dobbiamo continuamente e senza equivoci parlare con una sola voce a favore di un’etica della non violenza. Prendere la croce di Gesù e seguirlo significa prendere sul serio il suo comandamento di amare i nemici e di porgere l’altra guancia. Significa tenere costantemente accesa una candela di luce anche nelle parti più buie della notte.
Nel mezzo della formazione del movimento dei Diritti Civili, quasi quattro decenni fa, Martin Luther King scrisse:
“Restituire odio per odio moltiplica l’odio, aggiungendo tenebre più profonde ad una notte già vuota di stelle. Le tenebre non possono sconfiggere le tenebre: solo la luce può farlo. L’odio non può sconfiggere l’odio: solo l’amore può farlo. L’odio moltiplica l’odio, la violenza moltiplica la violenza e la brutalità moltiplica la brutalità in una spirale discendente di distruzione”.
Non a caso il titolo del libro di M.L. King è La forza dell’amore.
Creare un lato oscuro va inteso come segno di debolezza. Odiare l’altro mostra solo la nostra inadeguatezza. L’unica risposta è l’amore.
Edward Said, il famoso pedagogo palestinese-americano scrisse poco prima di morire: “Nessuna cultura o civiltà esiste da sola; nessuna è fatta di cose come individualismo o rivelazione che siano sua sola esclusiva; e nessuna esiste senza gli attributi di base di comunità. Amore, valore della vita e di tutti gli altri”.
Qual è l’essenza della religione? Quando un giovane si avvicinò a Gesù e gli chiese quale fosse il più grande dei comandamenti, Gesù rispose: Ama Dio e ama il prossimo tuo come te stesso (MT, 22: 37-40). Questa risposta veniva anche dalla torah ebraica e venne citata da un contemporaneo di Gesù, Rabbi Hillel. L’Islam insegna lo stesso principio. Basandosi su questa etica di amore, Giovanni insegna “Coloro che dicono ‘Io amo Dio’ e odiano i loro fratelli e sorelle, sono bugiardi; coloro che non amano i fratelli che vedono, non possono amare Dio che non vedono” (I Gv. 4:20).
Nel settembre 2007 – in reazione alle risposte negative seguite all’11 settembre, incluse la guerra al terrore, l’elaborazione del profilo di Arabi e Musulmani, le guerre in Iraq e Afghanistan e la continua crescita dell’odio e del sospetto – 138 studiosi musulmani di tutti i paesi e le regioni islamiche del mondo si riunirono per produrre un documento A Common Word Between Us and You, in cui si esprimevano il nucleo fondamentale della dottrina islamica e il terreno principale di intesa tra Islam e Cristianesimo.
Secondo le affermazioni di questi studiosi, i valori fondamentali comuni ad Islam e Cristianesimo e la base con maggior potenziale per un futuro dialogo e reciproca comprensione sono la comune insistenza sull’amore di Dio e sull’amore del prossimo. A Common Word documenta queste priorità condivise citando passi significativi del Corano e della bibbia. Invece di entrare in polemica, gli studiosi hanno adottato quella che considerano la posizione tradizionale e dominante dell’Islam di rispettare i testi sacri Cristiani e di chiedere ai Cristiani di essere non meno, ma più fedeli ad essi.
Un’altra importante iniziativa è la World Interfaith Harmony Week proposta da re Abdullah II di Giordania e adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nell’ottobre 2010 perché sia realizzata nella prima settimana di febbraio di ogni anno. Quando il principe Ghazi di Giordania, Consigliere speciale per gli affari religiosi del re Abdullah, presentò l’iniziativa davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite, egli affermò: “il cattivo uso o l’abuso delle religioni può essere causa di conflitti mondiali, mentre invece le religioni dovrebbero essere una solida base per rendere più facile la pace mondiale. La soluzione al problema può venire solo dal mondo stesso delle religioni”. Invito tutte le chiese a riservare la prima settimana di febbraio alla condivisione dell’osservanza dell’armonia tra religioni.
Per questo dobbiamo ricercare i valori comuni di amore, coabitazione, accettazione dell’altro, pace, perdono, giustizia, riconciliazione che possano cambiare la cultura di paura in una cultura di fiducia. Solo quest’ultima può rendere il mondo un porto sicuro per tutti. Speriamo di aver lasciato alle spalle la mentalità dello scontro di civiltà per concentrarci sulle responsabilità condivise di tutte le religioni nel proclamare l’amore per gli altri quale manifestazione dell’amore per Dio. Così possiamo insieme combattere tutte le forme di anti-semitismo, islamofobia, cristianofobia o xenofobia, in modo che la religione sia la vera fonte di comprensione, perdono e riconciliazione in ogni civiltà e cultura.
Perciò è importante riflettere sugli eventi seguiti al massacro del 22 luglio ad Oslo, per riequilibrare quelli seguiti all’11 settembre.
Nella cerimonia commemorative per le vittime, il primo ministro Jens Stoltenberg ha detto: “i miei più profondi ringraziamenti vanno al popolo norvegese, che si è mostrato responsabile nel momento del bisogno, che ha mantenuto la propria dignità, che ha scelto la democrazia”. Egli ha riaffermato il bisogno di “dialogo e tolleranza” nel paese e ha espresso la speranza che alla ripresa del lavoro politico i leaders “si comportino con la medesima saggezza e rispetto mostrato dal popolo norvegese”. Anche il capo della polizia ha commentato: “ Non vogliamo filo spinato, blocchi stradali e armi come parte della vita quotidiana norvegese”. Questo riflette le parole di Martin Luther King jr., riprese da Desmund Tutu nel pieno dell’apartheid in Sud Africa.
Il bene è più forte del male,
l’amore è più forte dell’odio
La luce è più forte del buio
La vita è più forte della morte
La vittoria è nostra, la vittoria è nostra
Con Dio che ci ama.
Impegniamoci a continuare a lavorare per passare da una cultura di paura a una cultura di fiducia.
Il ruolo dell’istruzione: destinati a vivere insieme
In un sondaggio Gallup del 2006, veniva chiesto agli intervistati “cosa potrebbero fare le società occidentale per migliorare le relazioni con il mondo musulmano”. Le prime 3 risposte erano:
Migliorare la comprensione del credo dell’altro 18%
Migliorare l’istruzione 14%
Lavorare insieme 9%
Queste 3 risposte dicono l’importanza dell’istruzione nel migliorare le relazioni. La risposta “Controllare o fermare gli estremisti e i terroristi” è finita al quarto posto con solo il 6% di consensi. Al tempo stesso il 56% degli intervistati ha ammesso di sapere “poco” o “nulla” delle opinioni e convinzioni dei popoli che vivono in paesi islamici. Un’indagine dello stesso periodo svolta dal Council of American-Islamic Relations ha rivelato che solo 1 americano su 5 saprebbe dire il nome di un musulmano che conosce abbastanza bene. Coloro cha hanno amici musulmani hanno una miglior opinione dei musulmani di coloro che non ne hanno.
L’istruzione è la chiave. Quando incontrai il Segretario di Stato USA Condoleezza Rice qualche anno fa, le dissi: “Non potete combattere l’estremismo con le armi. Potete sconfiggerlo solo con l’istruzione ed il dialogo interreligioso”
L’istruzione è l’unico potere in grado di trasformare e costruire fiducia tra i popoli. E’ quello che osserviamo nel risveglio arabo: il potere dell’istruzione può trasformare l’intero Medio Oriente in una società civile moderna che rispetti i diritti umani, inclusi quelli delle donne, la libertà di religione, di espressione e altri principi democratici. Prendete, per esempio, le nostre chiese a Gerusalemme, incluso il nostro ELCJHL, dove l’istruzione è considerata la nostra prima missione e la nostra forza. Tra i compiti stabiliti vi sono:
1. Far crescere studenti completi, creativi e innovativi con un approccio integrato all’istruzione che affronti i loro bisogni e sviluppi i loro talenti, le competenze, le inclinazioni e abilità in un mondo che muta in continuazione.
2. Integrare pace, istruzione e cultura, rafforzare la democrazia e incoraggiare tolleranza, coabitazione, amore e rispetto degli altri.
Solo quando studenti di diverse religioni studiano insieme, giocano insieme, partecipano ad attività extra-scolastiche insieme durante i loro anni di scuola, avranno la capacità di lavorare insieme e di contribuire insieme alla società come buoni cittadini quando saranno adulti.
Le stesse idee devono valere per Israeliani e Palestinesi. Si sta svolgendo un’attenta analisi di 700 libri di testo israeliani e palestinesi per verificare come “l’altro” viene rappresentato nei materiali educativi di ogni gruppo. Questo è un passo fondamentale per porre le fondamenta della riconciliazione alle radici delle nostre società – nei e per i nostri figli. Questo è un progetto commissionato dal Council of Religious Institutions in the Holy Land (CRIHL) , un consiglio composto dai leaders delle tre grandi religioni della Terra Santa: il Rabbinato Capo di Israele (che include rabbini capi sia ashkenaziti sia sefarditi), i capi delle chiese locali della Terra Santa, il ministro del Waqf (istituzione pia) islamico presso l’autorità Palestinese e i tribunali islamici dell’Autorità Palestinese.
In questo modo noi capi religiosi abbiamo preso una posizione che crediamo possa influenzare la nostra società nel profondo, che può portare miglior comprensione tra popoli e religioni e può suscitare giustizia, riconciliazione e pace tra vicini. Con questo il consiglio adempie alla propria missione ufficiale, fondata sui valori essenziali dell’amore di Dio e del prossimo.
“Come capi religiosi di diverse fedi, che condividono la fede nell’unico Creatore, Signore dell’Universo, crediamo che l’essenza della religione sia onorare Dio e rispettare la vita e dignità di tutti gli essere umani, senza distinzione di religione, nazionalità e sesso … Quindi ci impegniamo a usare la nostra posizione e buoni uffici, per promuovere questi valori sacri, per impedire che la religione sia usata come fonte di conflitto e per promuovere il rispetto reciproco, una pace giusta e globale e la riconciliazione tra i popoli di tutte le fede nella Terra Santa e in tutto il mondo”.
In conclusione, se mi chiedete cosa porterà da una cultura di paura ad una cultura di fiducia, vi dico l’educazione, l’educazione, l’educazione.
Dio vi benedica.