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“COMITATI MISTI TRA CRISTIANI E MUSULMANI PER DIFENDERE I POVERI E SMONTARE LE ACCUSE FALSE DI BLASFEMIA”
- PAKISTAN
L’odio in Pakistan per le minoranze e le comunità più emarginate, si può superare con un eccesso di amore per i poveri e i più deboli che, per ora, è spesso avvertito da tanti come una minaccia. “Ma è anche verso costoro che bisogni porsi in dialogo”, spiega Paul Bhatti, consigliere politico per le minoranze del Primo ministro del Pakistan, nonché fratello dell’ex ministro Shahbaz, ucciso nel marzo 2010 in un attentato dei fondamentalisti. A Monaco, dove è in corso il meeting della Comunità di Sant’Egidio “Destinati a vivere insieme”, Bhatti sostiene che per affrontare il timore di quanti hanno un potere falso e immediato, bisogna lavorare per convincere “che dove c’è pace e coesistenza è un bene per tutti, anche per loro”. In Pakistan molti non hanno percezione di cosa sia la democrazia e le espressioni fondamentaliste sono prosperate a motivo di una povertà diffusa. “Dopo la morte di Shahbaz abbiamo analizzato le diverse situazioni e le ragioni dell’odio – spiega Bhatti – Due sono la povertà e la mancanza di scolarizzazione, alla quale suppliscono altri tipi di scuola. Per questo abbiamo programmato una serie di misure contro la povertà e promosso comitati di cristiani, musulmani e sikh che intervengono per prevenire e che stanno cominciando a funzionare. Intervengono quando si presentano accuse false di blasfemia”.
Formati anche comitati di supporto legale. “Nessun legale prende le cause degli accusati che così non vengono difesi – racconta Bhatti – Per questo abbiamo cercato e trovato volontari che animano i comitati e al tempo stesso favorito la protezione degli accusati e dei loro familiari”.
Una richiesta all’Occidente: “L’appoggio mediatico, certe forme di aiuto, non sempre ci agevolano perché presentano le comunità in modo netto, stereotipato, conseguendo l’effetto interno di incrementare la distanza tra cristiani e musulmani piuttosto che di ridurla”.
“Per il popolo pakistano l’uccisione di mio fratello Shahbaz ha rappresentato la perdita di una grande credente e per me di un fratello amatissimo”: Paul Bhatti ne traccia il ritratto all’incontro promosso a Monaco dalla Comunità di Sant’Egidio. “Shahbaz iniziò la lotta per i poveri da giovane per liberare i cristiani dalla discriminazione. Ha vissuto sempre con una visione”. Gli fu chiesto anche di abiurare e lui rispose: “Io voglio che mia vita e le mie azioni, tutto, dicano che io sono seguace di Cristo. Per lui voglio vivere e morire. Io non ho paura”. Shabaz Bhatti fu ucciso in un momento in cui “l’estremismo religioso aveva raggiunto l’apice”. Paul, il fratello, viveva in Italia, prima di raccogliere il testimone dal fratello. Ogni volta che lo implorava di essere cauto rispondeva: “Ho messo la mia vita nelle mani di Gesù. Lui mi proteggerà. Io seguo la croce”. “Shahbaz – continua Paul Bhatti – mi ha lasciato l’eredità di continuare la sua missione. Non ho dubbi che lui continui a lavorare con me vicino ai poveri. Possiamo pregare perché Dio ci dia la forza di andare avanti”.