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Martin Junge

Segretario generale della Federazione Luterana Mondiale (LWF)
 biografia

 “L’Olocausto non ha avuto inizio con le camere a gas, ma con le satire oscene, le provocazioni e l’esclusione sociale” Tamás Fabiny, Vescovo Luterano Ungherese.

 
Potrebbe sembrare allettante per i leader religiosi limitare la nostra attenzione solamente al problema del disarmo e alla non violenza come reazione agli eventi che sembrano avere un’escalation fuori controllo. Ci sono state e ci saranno ancora delle prese di posizione significative e ininterrotte a proposito del disarmo nucleare, delle munizioni a grappolo, così come delle armi da tasca e le armi leggere. Continuiamo ad insistere con le misure più opportune, cercando di preoccuparci delle situazioni immediate che non possiamo ignorare.
 
In ogni caso le parole del Vescovo Fabiny citate in apertura di questo intervento sono un richiamo perché noi, come leader religiosi e comunità, dobbiamo intervenire al primo livello quando ci accorgiamo che la violenza già sta aleggiando, quando si pronunciano, soprattutto nello spazio pubblico, messaggi provocatori.
 
Oggi nel mondo selvaggio dei media e dello stile giornalistico basato sulla paura, dove un titolo di prima pagina soltanto “porta lettori se c’è del sangue” e   l’opinione pubblica è indirizzata all’esclusione sociale, questo ha delle catastrofiche conseguenze.  I leader religiosi possono e dovrebbero fare uso dei social e dei più ampi spazi pubblici, per porre fine alle parole di odio e per introdurre discorsi alternativi che possono riconciliare. Essi hanno una responsabilità di parlare ai loro immediati ascoltatori, cioè i credenti, per fermare tale escalation nei toni e intensità di violenza.  Infatti la storia stessa ci dice: dove i discorsi e le narrazioni sono divisive, escludenti e aggressive, una violenza reale è già all’angolo, pronta a scatenarsi contro un popolo e particolarmente una minoranza.   
 
Abbiamo imparato nel passato decennio a superare la violenza contro le donne, che ha inizio da gravi abusi domestici. Prima che esploda la violenza fisica, ci sono segni che indicano la traiettoria pericolosa che colpirà le vittime, come le espressioni verbali e non verbali di intimidazione, la coercizione, l’isolamento e le minacce.  Quindi prima di parlare a proposito del SI al perdono e alla riconciliazione (che è il nucleo di una più duratura trasformazione) dobbiamo prima dire un NO senza compromessi ai discorsi d’odio – e a tutte le forme d’incitamento al disprezzo verso chi è il più vulnerabile tra noi.  Le parole pesano! Le comunità di fede hanno una missione e una responsabilità a contrastare sul nascere queste tendenze, prima che le controversie e i conflitti esplodano in vere e proprie guerre. 
 
Mentre ricordiamo la tragedia dell’olocausto e anche gli eroici sacrifici personali delle donne nel mondo, dobbiamo riconoscere che disarmare cuori e mani è un lavoro da fare insieme, potenziando gli strumenti legali e la volontà politica, come parte di un’agenda più ampia per il disarmo. E’ ancora un lavoro in salita. Come alcuni osservatori, e anche diverse comunità di fedeli molti si sentono impotenti a poter fare qualcosa, specialmente quando non hanno peso politico o competenze legali per affrontare così grandi problemi. D’altro canto essi confidano che solamente la voce di un eroico e iconico leader religioso possa avere effetto.
 
Nonostante ciò noi dobbiamo considerare che, collettivamente, abbiamo risorse spirituali e pratiche all’interno delle nostre comunità che possono fare la differenza. Nulla però sembra più difficile di ciò che sta davanti a noi.
 
Abbiamo bisogno di collaborare non soltanto ecumenicamente tra le nostre tradizioni religiose, dobbiamo metterci in comunicazione e collaborazione attraverso le tradizioni religiose, per mostrare la solidarietà in mezzo alle crescenti tensioni della nostra società.
 
Naturalmente noi sappiamo che questo discorso non sarà mai sufficiente. Indubbiamente le dichiarazioni pubbliche prive di azioni concrete e senza il contorno di protagonisti significativi sul campo, fanno sì che i nostri discorsi appaiano vuoti e superficiali.
 
All’interno della Comunità Luterana, la perseveranza della Chiesa Luterana Evangelica della Colombia (IELC) ha ispirato anche noi della Federazione Mondiale Luterana. Durante i precedenti 50 anni più di 250.000 vite sono state spezzate a causa dei conflitti armati nella regione. 
 
Nel 2016 la Federazione Mondiale Luterana ha fornito un supporto ininterrotto alla Chiesa Luterana Evangelica della Colombia quando il Governo della Colombia aveva sottoscritto un accordo di pace con le FARC.
 
I combattenti delle FARC “hanno promesso di deporre le armi” e abbracciare il metodo politico, come ricompensa per il sostegno alla reintegrazione nella vita civile.
 
Comunque lo sviluppo dell’accordo di pace del novembre 2016 ha avuto una battuta d’arresto il 29 agosto, quando alcune formazioni di militanti delle FARC hanno diffuso un video “reclamando il ritorno al conflitto armato e denunciando il tradimento del processo di pace da parte del governo”. Immediatamente la Chiesa Luterana Evangelica è intervenuta pubblicamente sollecitando il governo della Colombia “a mantenere un atteggiamento di cooperazione e di dialogo aperto per raggiungere una completa pacificazione”. Allo stesso tempo la Chiesa Luterana ha richiamato con forza la nazione a rigettare “ogni forma di violenza e soprattutto il riarmo dei combattenti delle FARC”. Questo appello ha incluso la richiesta ai combattenti di ritrattare il loro appello alla lotta armata … e nello stesso tempo impegnarsi a realizzare quella pace che Gesu Cristo ha portato nel mondo. 
 
La Chiesa si è impegnata ancora sul fronte del processo di pace anche attraverso la vicinanza/  l’accompagnamento agli ex-combattenti che hanno “fatto l’opzione di rifiutare la violenza per perseguire i loro obiettivi con mezzi pacifici”. La Chiesa è perseverante nel sostegno agli ex combattenti che vogliono reintegrarsi nella vita civile. La storia della Colombia non è ancora finita.  Qui vogliamo sottolineare l’impegno di una comunità religiosa che s’impegna a realizzare interventi significativi per contrastare le spinte disgregatrici che vorrebbero spingere ancora la nazione in una spirale di violenza.
 
Ora, (senza ignorare la spinta del potere nel controllo dell’uso di mezzi violenti) vorrei richiamare alla vostra attenzione la condizione di “paura” che è uno degli elementi utilizzati per escludere gli altri, chi è differente da noi. Questo è particolarmente evidente in contesti religiosi, sia maggioritari che in minoranza, sono in crescita protagonisti irresponsabili o politici opportunisti che utilizzano discorsi d’odio per alimentare fobie (cioè paure irrazionali) contro gli altri concittadini o residenti in una nazione. Come possono le comunità religiose parlare a quelle paure?
 
I leader religiosi sono sfidati nel nostro mondo complesso ad andare oltre discorsi “di facciata” su “pace e armonia” che possono camuffare frustrazioni più profonde e invisibili di comunità artificiose.  Si deve raggiungere un delicato equilibrio tra una reazione alle sfide immediate con delle contro misure e allo stesso tempo non trascurare un impegno di più lungo tempo nello spazio pubblico per il bene comune. 
 
Nel periodo immediatamente successivo agli attacchi della domenica di Pasqua nello Sri Lanka, che hanno preso di mira luoghi di culto dei cristiani e alcuni Alberghi, la Federazione mondiale Luterana attraverso il suo Presidente l’Arcivescovo nigeriano Dr Panti Filibus Musa e il sottoscritto hanno fatto appello ai leader religiosi, anche cristiani per:
 
-  Dichiarare pubblicamente l’opposizione ad un linguaggio di giustificazione di qualsiasi forma di discriminazione, violenza ed estremismo;
 
-  Continuare ad essere presenti nello spazio pubblico con degli obiettivi, ricercando il bene comune e promuovendo egualmente protezione e partecipazione di tutta la popolazione.
 
La dichiarazione della Federazione Mondiale Luterana ricorda ai cristiani che “la Pasqua è un periodo dove la violenza e il disprezzo non devono avere l’ultima parola”. In generale mi piacerebbe anche dire che “violenza e disprezzo” non siano nemmeno la prima parola.  Come leader religiosi impegnati nella non-violenza seguendo l’importante sollecitazione del Vescovo Fabiny, dobbiamo riconoscere e affrontare sul nascere le provocazioni di esclusione sociale, prima che un’altra tragedia sia dietro l’angolo.  Stimolati dai nostri fratelli e sorelle della Colombia nei loro sforzi per il processo di pace, mentre ci impegniamo pubblicamente per il bene comune, perseveriamo con le risorse spirituali insieme e oltre le nostre tradizioni religiose, per affrontare le paure che sono sottese e che non solo infettano la convivenza di differenti etnie, ma anche delle comunità religiose stesse. 
 
La strada che abbiamo davanti per il disarmo è ancora lunga e tortuosa. Il sentiero per far crescere una cultura di non violenza sarà disseminato di ostacoli e di battute d’arresto. Tuttavia come comunità religiose, non dobbiamo essere conosciute come comunità della paura.  La caratteristica definitiva della comunità religiosa è la fede e non la paura e sicuramente non come un popolo che promuove forme di fobie per disumanizzare gli altri, i nostri concittadini o i nostri vicini.  La Federazione Mondiale Luterana è impegnata a supportare e far crescere la collaborazione tra comunità religiose perché siano un esempio di ospitalità e speranza per superare le paure. 
 
Non possiamo fare altrimenti perché è in gioco l’esistenza stessa.