Sono davvero onorata di prendere la parola nell’Assemblea di apertura dell’Incontro Internazionale per la Pace dinanzi a una platea così altamente qualificata, chiamata a far sentire la sua voce, autorevole e forte, su un tema grandioso e affascinante.
Saluto gli illustri relatori che mi hanno preceduto e rivolgo un sentito ringraziamento alla Comunità di Sant’Egidio, e in particolare al suo Presidente, il Professor Marco Impagliazzo.
Consentitemi di esprimere particolare apprezzamento per il suo paziente lavoro di tessitura che, avvicinando in fraternità contesti e scenari lontani, fa sì che a donne e uomini provenienti dai più disparati angoli del mondo possa essere dato un futuro di dignità e di Pace.
Voglio qui citare la felice esperienza dei corridoi umanitari per i profughi in condizione di vulnerabilità, realizzata grazie alla collaborazione tra la Comunità di Sant’Egidio, le Chiese Evangeliche e i Ministeri dell’Interno e degli Esteri.
È senz’altro questa una delle migliori pratiche a livello mondiale nel vasto campo dell’immigrazione e dell’integrazione.
La Comunità di Sant’Egidio ha nel suo logo i simboli iconici della Pace: la Colomba e l’Arcobaleno.
Entrambi rappresentano un invito perenne a coltivare la speranza e la fiducia nell’uomo, e a perseguirle tenacemente, senza il timore di essere sopraffatti dal Male, anche quando le circostanze della Storia possono apparire avverse e indurci ai più cupi presagi.
La Pace, come insegna il motto evangelico, si costruisce pazientemente, giorno per giorno, non è un frutto che ci viene dato in regalo, né è qualcosa che germoglia e vive senza cura e dedizione.
I costruttori di Pace hanno un compito arduo nel tempo presente. Un tempo nel quale le violenze, le sopraffazioni, le persecuzioni, i conflitti, i discorsi di odio, basati sull’intolleranza e sul disprezzo, esplodono o si rinnovano quasi ovunque.
Anche l’Europa, che pure ha conosciuto e praticato la Pace grazie alla grande Costruzione Comunitaria, è stata percorsa dal sangue negli ultimi, tragici bagliori del Novecento.
Come ebbe a denunciare Papa Francesco, sebbene un nuovo conflitto mondiale ci sia stato risparmiato, la guerra tuttavia non è assente, non l’abbiamo scacciata dalla nostra vita.
Essa prosegue “a pezzetti”, si alimenta, cioè, degli scontri armati che tormentano varie parti della Terra, specie quelle in cui la povertà, l’arretratezza, l’analfabetismo, le malattie, la penuria di cibo, rappresentano piaghe drammaticamente ancora aperte.
La guerra è ingiusta, sempre e ovunque.
Ma lo è in modo atroce per questi popoli, perché, acuendo quei mali da cui sono storicamente afflitti, rappresenta per essi una doppia, insopportabile condanna.
La Pace è affidata innanzitutto alla parola, segno distintivo per eccellenza dell’Umanità.
La parola di Pace è quella che ripudia l’offesa, l’inimicizia, il senso della vendetta, e che mette invece al centro del suo discorso la cultura della comprensione reciproca e le dà anima con la “sapienza del cuore”.
La Pace autentica si affida, lo ha sempre fatto, alla volontà di dialogo.
Anche etimologicamente, il dialogo è ricerca dell’altro, perché è parola che annoda e intreccia altra parola, e insieme giungono al punto d’incontro e di riconciliazione.
Le iniziative che perseguono e mettono in pratica il confronto tra culture, etnie, convinzioni politiche o fedi religiose, appartengono tutte al processo incessante di costruzione della pace.
Un processo che può conoscere pause, momenti di tensione o di scoramento, può talora andare incontro perfino alla sconfitta, ma che non ha e non può avere alternative.
Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e altri Organismi della Comunità internazionale hanno frequentemente tessuto lunghe e complesse strategie di persuasione e confronto come via per la soluzione o la moderazione dei conflitti.
Si è fatto e si fa ricorso, nelle aree più critiche, anche a interventi di interposizione tra le parti in ostilità, con l’obiettivo di proteggere le popolazioni civili e le loro espressioni più indifese.
Donne, dissidenti politici, minoranze etniche o religiose, esponenti delle comunità di genere, sono le vittime sulle quali preferisce accanirsi la violenza quando le regole della democrazia e della convivenza vengono travolte.
Riportare la pace nelle zone del mondo dove i conflitti mettono in crisi, fino a negarli, i diritti fondamentali dell’uomo, è il compito più delicato e difficile, e tuttavia doveroso, che il consorzio mondiale possa assumere su di sé.
Operare per la Pace, essere i suoi pazienti “artigiani”, implica, innanzitutto, il rispetto della dignità e dell’integrità delle genti a cui si va in soccorso.
Diversamente, il progetto di portare ovunque la Pace, di realizzare il sogno della Pace universale, rinunciando alla ricerca e alla fatica del dialogo, del dialogo “a oltranza”, si rivelerebbe effimero e, alla fine, poco fecondo.
È doloroso constatare come tanti laceranti conflitti abbiano la loro radice nell’intolleranza verso altre fedi religiose, nutriti da un disegno di sottomissione.
Il progetto di diffondere la Pace e di preservarne, al contempo, la sua preziosa fragilità, riceve in questo modo un insulto insopportabile .
L’incontro ad Assisi nella comune preghiera per l’invocazione della Pace rappresenta, da molti anni, la forma, insuperata e più alta, di avvicinamento spirituale tra le fedi religiose, nel pieno e reciproco rispetto.
Lo “spirito di Assisi”, come ormai viene chiamato, ha tracciato un nuovo orizzonte, ha indicato il cammino verso un nuovo umanesimo che si rivolge a chiunque voglia percorrerlo con intenzioni di sincera fratellanza.
Vi è spazio per tutti, proprio per tutti, in questo percorso di rigenerazione delle autentiche ragioni della Pace.
Sono a capo di un’Amministrazione di Governo che ha nella coesione sociale, una delle sue fondamentali missioni istituzionali.
È un compito che naturalmente si declina nella laicità dello Stato e che abbraccia ogni espressione in cui l’uomo intenda realizzare e completare la sua personalità.
Per questo, perché nessuno venga a sentirsi escluso, la ricerca della coesione ha significato soprattutto rispetto delle diversità e tutela delle minoranze.
Ne è un esempio la creazione di una fertile rete di relazioni con le altre grandi religioni monoteiste presenti nel nostro Paese.
In tale consolidata realtà si suggellano rapporti di antica amicizia e si concretano i valori di libertà della nostra Costituzione.
Nei riguardi della religione islamica, il rispetto e la necessità di comprensione hanno portato alla istituzione della Consulta per l’Islam, un Organismo nato per ricercare, insieme e con trasparenti intenzioni, le strade di una convivenza pacifica.
La coesione, intesa come concordia tra gruppi sociali e parti della comunità nazionale, è un inestimabile patrimonio, che arricchisce e fortifica le radici della Pace.
Essa rappresenta il presupposto perché il Paese possa crescere in sicurezza e andare avanti sulla via dello sviluppo e del progresso.
Lo è in particolare in questo tempo il cui il mondo ha conosciuto la terribile insidia del virus e ha temuto di esserne travolto.
La pandemia si è rivelata una delle prove più dure e difficili che l’umanità abbia affrontato nella sua storia recente.
L’Italia figura tra i Paesi più colpiti dalla diffusione del Covid, e ora guarda con fiducia all’incoraggiante regressione della curva dei contagi.
La mia preoccupazione - la mia principale preoccupazione - è stata e rimane quella di assicurare che il diffuso malessere portato dalla pandemia all’interno della società non alimenti pericolose spinte disgregative.
Non è mai mancata la comprensione per gli operatori economici, specie per quelli dalle dimensioni più modeste, esasperati dalla insufficienza improvvisa di reddito e angosciati, quando la propagazione del virus era al suo apice, per l’assenza di prospettive di ripresa .
Vi è stata subito una risposta del Governo nazionale con provvedimenti di sostegno e di solidarietà, e ora si ripongono grandi aspettative nell’impiego delle risorse europee del PNRR.
Il Presidente della Repubblica, appena due giorni fa, ha riconosciuto nell’impegno dell’Unione Europea la spina dorsale di una più solida ed equa integrazione, capace di rafforzare i legami già esistenti tra i popoli e gli Stati dell’Unione.
Dobbiamo scongiurare che la pandemia produca guasti strutturali nell’economia e nella distribuzione della ricchezza, aumentando il solco tra le classi sociali e il divario tra il Nord e il Sud del mondo.
Del resto, sappiamo che la pace suona come una parola vuota se si resta indifferenti nei confronti del bisogno materiale e della povertà, e se la domanda di giustizia rimane inascoltata.
L’estesa campagna vaccinale rappresenta molto più che una risposta globale all’emergenza sanitaria.
Anche se il virus resta un nemico temibile capace di mietere ancora vittime, il mondo ha compreso che, grazie anche all’apporto dei farmaci immunizzanti, si può finalmente guardare con speranza e fiducia al futuro. Nessuno dovrà essere trascurato in questa nuova opera di salvezza che ci attende.
L’Europa ha immediatamente colto la complessità della sfida indicando la necessità e l’urgenza che le dosi vaccinali vengano largamente messe a disposizione e somministrate alle popolazioni dei Paesi dell’Africa e dell’Asia, gravemente funestate dal Covid.
La portata globale del virus ci ha fatto toccare con mano la nostra vulnerabilità. Una vulnerabilità che ha riguardato tutta la Terra, le sue zone opulente come quelle povere e arretrate.
In questo senso, la pandemia ha impartito all’umanità, e alla sua pretesa di dominio del Pianeta, affidata allo sviluppo della Tecnica, una grande lezione di umiltà.
Ha ricordato a tutti che non ci si può salvare da soli, e che, per usare le parole che Papa Francesco pronunciò nel silenzioso deserto di Piazza San Pietro, siamo “tutti sulla stessa barca”.
Guarire il mondo dalla pandemia potrà farci riassaporare il piacere di avvicinarci fisicamente, di annullare la distanza impostaci dalle misure sanitarie e, finalmente, di stringerci la mano.
La parola per comprendere come dovremo costruire il domani, la parola chiave - ce lo rammenta il titolo di questo Incontro - è “insieme”.
Una parola che non esprime solo un invito alla condivisione, ma che rimanda all’alleanza con le generazioni future, cui dovremo consegnare il testimone e, con esso, la responsabilità di proseguire nel comune cammino.
Ciascun individuo è chiamato a portare la sua pietra all’edificazione del futuro di una comunità pacifica e giusta, e dovrà farlo con una più chiara consapevolezza dell’unità di tutti e dell’interdipendenza con l’altro.
Come scrisse profeticamente Carl Gustav Jung all’epilogo della sua vita, l’individuo sa che è lui “l’ago della bilancia”.
È lui che deve liberarsi dalle sue ombre e maturare l’assoluta coscienza che la centralità che gli spetta non equivale a renderlo “padrone in casa propria”.
La sua centralità è poliedrica, non è che il riflesso di un prisma che rifrange la sua luce in ogni essere umano.
Le vostre parole, in questa Assise, potranno ricordare, dunque, che non possiamo fare a meno degli altri se vogliamo contribuire alla creazione di un tempo migliore, coltivando una reale comunanza di destino.
Insieme possiamo farcela.
Vi ringrazio per avermi dato ascolto.