Lo percepiamo tutti: la società sta cambiando. Ma come? Oggi il concetto di comunità è vissuto in modo diverso dal passato. Mentre un tempo la comunità era omogenea, con un codice di valori condiviso e un ordine costituito e spesso gerarchico, oggi essa presenta caratteristiche plurali e individuali. Non considero ciò un decadimento, bensì un’opportunità per superare forme oppressive di vita sociale, un’opportunità per allargare gli orizzonti e riscoprire gli altri. Io credo che le religioni possano fare molto per mitigare i rischi insiti in questo processo di liberalizzazione del concetto di comunità, e allo stesso tempo dargli credito.
Pluralizzazione
Per pluralizzazione bisogna intendere che le Persone oggi vivono in una varietà di comunità diverse tra loro – famiglia, vicinato, gruppi di colleghi, club, amici vecchi e nuovi, e anche le scuole dell’infanzia con tutte le attività ad esse connesse. Questo fenomeno è sicuramente sfidante per le associazioni, e potremmo dire lo stesso anche per le chiese e i partiti, perché le persone oggi hanno sempre meno tempo da allocare a ciascuna delle comunità di cui fanno parte.
Il sociologo statunitense Mark Granovetter distingue tra relazioni ”forti“ e ”deboli“ assegnandovi funzioni diverse. Le Relazioni forti sono quelle che si stabiliscono in gruppi intimi, tradizionalmente e chiaramente riconducibili al termine "comunità". Essenzialmente esse canalizzano percezioni profonde come l’amore e la sicurezza, richiedono che vi si dedichi molto tempo e sono caratterizzate da un alto grado di impegno/coinvolgimento. Le Relazioni deboli sono caratterizzate dal fatto di necessitare di minor tempo e coinvolgimento emozionale. Il loro punto di forza risiede nel fatto di essere collocate sul confine di una rete personale di rapporti, potendo quindi assolvere a una specie di funzione ”ponte“ verso altri contesti comunitari. Attraverso le relazioni deboli, si identificano i punti di ingresso verso altri ambienti sociali.
Granovetter fece un esperimento interessante. Circolò un messaggio alla comunità che diceva: ”Ho bisogno di un lavoro, chi può trovarmi un lavoro?". Il sociologo poi attuò il tracciamento dei percorsi in rete di quel messaggio. Scoprì che era circolato in tutti i tipi di comunità, bianche, nere, proprio tutti i tipi, attraverso il canale delle relazioni deboli. Alla fine, quella persona trovò un impiego attraverso il canale delle relazioni deboli, e non di quelle forti. Cosicché i sociologi affermano che per i ”servizi di sostegno sociale“ nella vita quotidiana oggi sono le relazioni deboli a rivestire una particolare importanza.
Ecco perché io dico che non bisogna essere sospettosi verso le relazioni deboli e non bisogna parlarne sempre male. Le relazioni deboli sono molto importanti, sono dei “ponti” verso altre comunità - e per questo tanto importanti in una società pluralistica come la nostra. Per dirlo in modo più informale: è inutile rigirarsi nel proprio brodo.
Le reti social su internet giocano un accresciuto ruolo in questi fenomeni – con le connesse opportunità e rischi. Le reti possono essere un luogo dove coltivare relazioni forti – per esempio quando un padre e un figlio che vivono in continenti diversi condividono le loro quotidianità attraverso il canale digitale. Allo stesso tempo gli odiatori facenti uso di sistemi di personalizzazione delle ricerche in rete stanno mettendo a repentaglio la nostra coesione sociale. Sarà un compito decisivo quello di introdurre regole in internet per porre dei limiti a difesa della dignità umana, degli argini verso quei meccanismi che, agganciati ad algoritmi commerciali, incoraggiano la diffusione di contenuti estremisti.
Individualizzazione
Il secondo aspetto che vorrei menzionare è quello dell’individualizzazione. In nessun modo l’individualizzazione equivale automaticamente con un individualismo autocentrato, come alle volte si presume. Al contrario, per individualizzazione si intende prima di tutto che oggi le persone hanno la libertà di forgiare le loro vite come vogliono, libere da regole e percorsi prefissati. L’impegno di innumerevoli volontari, in partiti politici, chiese e associazioni, mostra come questa individualizzazione non porti affatto all’egoismo e all’isolamento. Libertà e solidarietà sono imparentate. La “comunità” di oggi non è più basata su gerarchie precostituite o sul controllo sociale, bensì sulla libertà!
"Libertà comunicativa " come forma di individualizzazione
La libertà e l’impegno sociale non si devono autoescludere, ma debbono essere intese come interpretazioni reciproche. Nulla può descrivere meglio il pensiero protestante riguardo alla comprensione della libertà, che le seguenti due frasi, molto spesso citate, tratte dalla prefazione di Martin Lutero al suo scritto “La Libertà del cristiano”:
"Un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa, e non è sottoposto a nessuno.
Un cristiano è un servo volonteroso in ogni cosa, e sottoposto a ognuno."
In un tempo come il nostro in cui la ricerca - che si ripropone molto più che in passato –di ciò che oggi possa alimentare la coesione sociale, queste tesi, vecchie di più di 500 anni, sono straordinariamente attuali.
Un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa, e non è sottoposto a nessuno – in altre parole noi crediamo nell’affermazione delle libertà contemporanee, nell’opportunità di forgiare le nostre vite, a partire dalla fede, e possiamo opporci a ogni scivolamento in una fiducia cieca nell’autorità, nella coercizione gerarchica o nella rigidità delle interpretazioni e dei ruoli - potendo dire “sì” alla nostra individualità. Allo stesso tempo vuole dire che non possiamo sviluppare questa individualità contro gli altri bensì con gli altri. "Un cristiano è un servo volonteroso in ogni cosa, e sottoposto a ognuno" – in altre parole: non c’è modo migliore di realizzarsi e raggiungere, attraverso l’acquisita libertà, una vita piena, di un impegno in favore della comunità.
La Comunità nella vita sociale oggi
La pluralizzazione degli stili di vita e dei progetti personali è un grande potenziale di arricchimento per la società. Dobbiamo ammettere che il senso di forte appartenenza a una specifica comunità si sta riducendo. Ma il fatto che oggi le persone si incontrano attraverso diversificate relazioni di rete – intese come moderne forme di comunità –portando con sé i rispettivi retroterra di esperienza, dovrebbe essere considerato una risorsa per la comunità, e non va sottostimata nella sua dinamica intrinseca. Le comunità Cristiane possono divenire una fonte primaria di coesione sociale nella società odierna quando permettono il superamento della cultura ristretta di un determinato ambiente sociale, quando si presentano in modo trasparente al mondo, quando inibiscono o non favoriscono la formazione di cricche o club.
In un mondo di liberalizzazione della comunità, tutti debbono avere la possibilità di forgiare le proprie vite. Ma non tutti ne sono capaci. Coloro che sono privi di capacità comunicative, gli sfortunati professionalmente, i disoccupati o le vittime della povertà appaiono come i perdenti della liberalizzazione, perché è più difficile per loro trovare la comunità. Le comunità cristiane debbono essere la casa non solo di coloro che traggono vantaggio dalla liberalizzazione, ma anche dei perdenti.
Le comunità cristiane sono interpretazione di un concetto di comunità basato sulla libertà comunicativa, attori vitali della società civile e agenti ideali di una società civile globale. Sono in rete con il mondo, ma allo stesso tempo sono profondamente radicate con le loro strutture nei contesti locali. Sono proprio questi i soggetti di cui abbiamo bisogno - soggetti impegnati con passione affinché, a un determinato punto della storia, ogni persona su questa terra possa vivere in dignità.