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Mario Marazziti

Journalist and Writer, Community of Sant’Egidio, Italy
 biography
Vengo da Cipro, dove da 50 anni esiste un Muro, più sclerotizzato di quello di Berlino, che ha resistito per 35 anni. E’ lì da 50 anni, la linea verde, che divide territori occupati dai turchi e colonizzati da turchi che poco c’entrano con i turco-ciprioti di quella guerra civile lontana e greco-ciprioti, l’Unione Europea. E vengo da Nairobi, dove con la Comunità di Sant’Egidio siamo impegnati da anni per porre fine alla guerra incivile che accompagna tutti i 13 anni del più giovane stato del mondo. E’ così evidente la necessità di vivere insieme quanto appare impossibile. Per la patologia della memoria. Per i torti subiti. Per i torti ancora in corso. Tutti parenti e tutti differenti, ma anche sempre più incapaci di riconoscere il volto dell’altro come semplicemente umano.
 
Vivere insieme è un obiettivo semplice e a suo modo ovvio, che sembra diventato impossibile.
Quando si passa dalla democrazia astratta, che non ha difficoltà ad essere plurale, a quella concreta, all’obbligo morale e politico, per noi europei, di vivere e incarnare una democrazia inclusiva, ogni minoranza può essere descritta come un vicino sgradito, un ospite inatteso. E ogni minoranza rivendica la propria identità e i propri diritti, con la tentazione di essere universale: la mia minoranza è il tutto, va riconosciuta come il tutto, io sono più minoranza di te, il mio dolore è più grande del tuo, nessuno può capirlo: società ricche, opulente e un numero sempre più grande di esclusi e di vittime. Ci sono tanti ostacoli al vivere insieme. Uno tra i tanti, recente, è la cultura della vittimizzazione, dall’interno di minoranze che hanno goduto e godono di meno diritti, e un linguaggio “politically correct” a volte rischia di esserne prigioniero, simmetrico alla percezione di tanti di non poter essere capiti, e al rifiuto di volerlo essere perché in ogni tentativo di comprensione e vicinanza può celarsi il paternalismo.
 
Nel cuore di questo Incontro di ricerca della pace oltre il pensiero corrente, vorrei che prendessimo sul serio alcune suggestioni dell’apertura di questo Imaginer la Paix. Uno slancio immaginativo. Cambiare lo sguardo.
 
C’è un non invitato in questo incontro dove culture laiche e grandi religioni mondiali sono, siamo a raccolta. Una religione molto diffusa, in tutto l’Occidente e non solo: è l’individualismo. E’ presente, è pervasivo nella nostra società, oltre i confini che individuano lo spazio religioso e quello civile, credenti e non credenti o credenti a modo proprio. E’ una religione di grande successo, indebolisce le comunità, i corpi intermedi, la politica, provoca una frammentazione della società, impedisce di ricercare il bene comune. Impedisce l’identificazione con l’altro. Impedisce di vedere nell’altro la nostra umanità. Dis-umanizza l’altro e noi stessi. In ogni guerra si dis-umanizza l’altro e si perde la propria, di umanità, anche a partire dal proprio essere vittime. 
E’ quella che Byung-Chul Han chiama l’espulsione dell’altro. In un mondo omologato si cerca di espellere l’altro dalla nostra vita perché rappresenta una domanda e questo provoca in qualche modo un dolore da superare. Spingendo a cercare solo il principio del piacere, i like, gli omologhi. 
I nuovi sovranismi mi appaiono simili e pericolosi come i nazionalismi novecenteschi, ma sono diversi. Perché non c’è nessun sentimento collettivo reale come la nazione. su cui si fondano, in un mondo di individui soli, senza senso del bene comune e di un destino collettivo. Le partizioni linguistiche, gli spostamenti di popolazione dopo la prima e seconda guerra mondiale si muovevano lungo le frontiere della ricerca della omogeneità, religiosa, etnica e hanno lasciati irrisolte montagne di problemi per il vivere insieme. Così la decolonizzazione. Questa incapacità di vivere insieme mette a rischio l’umanesimo europeo, l’universalismo dei diritti, che non riguarda gli oltre 200 milioni di migranti o i 120 milioni di profughi forzati, raddoppiati nell’ultimo decennio, e trattati come se fossero una emergenza. L’espulsione dell’Altro e la democrazia digitale sta mettendo a rischio lo strumento elettorale come espressione del voto basato sul consenso informato, nella difficoltà di formare questo consenso su basi certe, nel tempo dell’inflazione delle notizie e della disinformazione, basata sulla non evidenza, ma sulla narrazione da non documentare: le passioni negative, da non dimostrare ma da seguire. 
 
Abbiamo un compito immane e semplice stamattina: Cambiare lo sguardo, cercare il punto di partenza per reinventare il gusto e la pratica del vivere insieme. Attorno a noi e a livello globale, planetario.