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Catherine Wihtol de Wenden

Direttore di ricerca presso il CNRS, Sciences Po, Francia
 biografia
Sant'Egidio si riunisce a Parigi per discutere di vari temi legati alla pace. Uno di questi è la migrazione internazionale, una questione controversa in Europa e altrove, alimentata da idee preconcette e terreno fertile per agende populiste, dove la costruzione dell'Altro come nemico va di pari passo con la paura che suscita.
Nel discorso tenuto a Marsiglia il 23 settembre 2023, Papa Francesco ha condannato l'indifferenza e la paura di un'Europa tentata di ritirarsi di fronte ai migranti: “Il fenomeno migratorio non è tanto un'emergenza momentanea, sempre buona per la propaganda allarmistica, ma un fatto del nostro tempo. Questo processo va gestito con un senso di responsabilità europeo capace di affrontare le difficoltà oggettive”. Due parole sono risuonate, alimentando le paure della gente: invasione ed emergenza. Ma chi rischia la vita in mare non è un invasore: cerca ospitalità e non deve essere visto come un peso da sopportare. Il Papa denuncia un nazionalismo arcaico e bellicoso e una solidarietà europea messa a dura prova. Temendo che “il Mediterraneo, culla della civiltà, possa trasformarsi nella tomba della dignità”, chiede un risveglio delle coscienze per evitare il naufragio della civiltà: “il futuro non sta nella chiusura, che è un ritorno al passato. Il salvataggio in mare è un dovere di umanità, un dovere di civiltà”.  A suo avviso, il ruolo dell'Europa nell'accoglienza degli immigrati è quello di dire no all’illegalità e sì alla solidarietà.
Le politiche europee, e spesso ben oltre l'Europa, offrono lo spettacolo di costruire una narrazione dell'immigrazione per legittimare politiche restrittive, dissuasive e repressive che hanno fallito da trent'anni. 
L'Europa di Schengen compirà quarant'anni nel 2025. Gli accordi di Schengen sono stati firmati il 14 giugno 1985 a Schengen (Lussemburgo) da cinque Paesi confinanti: Francia, Germania, Lussemburgo, Belgio e Paesi Bassi, con l'obiettivo di creare un'area di libera circolazione per i cittadini comunitari all'interno dell'allora Comunità europea. Ad essi si è aggiunta la Convenzione di Schengen del 1990, che prevedeva l'abolizione delle frontiere interne dei Paesi firmatari e l'istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia per gli europei, con un'attuazione graduale scelta dagli Stati. Con il Trattato di Amsterdam del 1997, sono stati incorporati nell'acquis comunitario, entrato in vigore nel 1999 e accompagnato da strumenti di controllo delle frontiere esterne dell'Europa, l'altra componente dello spazio Schengen: il SIS (un sistema informatizzato scambiato tra gli Stati sui trasgressori che attraversano illegalmente le frontiere esterne dell'Europa), l'archivio Eurodac, per registrare tutte le domande di asilo ed evitare le domande multiple; i VTA, visti di transito aeroportuale per evitare di uscire durante uno scalo in un Paese europeo; il visto “Schengen”, un visto turistico di tre mesi per l'intera area Schengen dal 1986; il SIVE (sistema integrato di vigilanza esterna) sulle coste; e Frontex, dal 2004, un'agenzia europea per mettere in comune i controlli di polizia alle frontiere esterne dell'Unione. Il sistema europeo è stato accompagnato da accordi volti ad armonizzare il diritto d'asilo tra i Paesi europei (Dublino I, II, III), che hanno avuto l'effetto di limitare il diritto d'asilo con i concetti di Paesi sicuri, Paesi terzi sicuri e “domande manifestamente infondate”. A questo arsenale si sono aggiunte misure di esternalizzazione delle frontiere europee: accordi bi- o multilaterali con Paesi extraeuropei, in cui i Paesi europei negoziano per mantenere i migranti sul proprio territorio in cambio di visti per chi ne ha i requisiti, aiuti allo sviluppo o miliardi di euro aggiunti alle molteplici frontiere attrezzate dalle imprese che contribuiscono alla loro militarizzazione. L'immigrazione è diventata uno strumento di diplomazia migratoria con i Paesi di partenza e di transito, proprio come per i Paesi alle porte dell'Europa che sostengono l'immigrazione illegale per destabilizzare i Paesi europei. Lo abbiamo visto alla frontiera con la Bielorussia con la Polonia e al confine finlandese con la Russia. 
Il Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo, adottato nel 2024 e che entrerà in vigore nel 2026, riprende i fondamenti di questa politica dissuasiva e repressiva dopo quattro anni di negoziati tra gli Stati europei. Si limita all'asilo: politiche di rimpatrio ed espulsione accelerate per i richiedenti asilo respinti, accordi di sviluppo con i Paesi di origine, esternalizzazione delle frontiere con i Paesi a sud del Mediterraneo. Allo stesso tempo, è stato applicato un regime diverso agli ucraini, ai quali è stata concessa una protezione temporanea in base a una direttiva europea del 2001 che non era mai stata applicata: accesso immediato ai diritti sociali, al lavoro e all'alloggio. La Germania ha accolto di gran lunga il maggior numero di rifugiati in Europa. Tuttavia, il nostro Paese ha rinnovato gli accordi del Touquet, in base ai quali la Francia si impegna a impedire che i richiedenti asilo nel Regno Unito prendano il mare, un compito che i Paesi europei chiedono ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo.
I risultati di queste politiche sono schiaccianti: circa 50.000 morti registrati nel Mediterraneo dagli anni '90, quasi 3.300 entro il 2023, 3.000 entro il 2022, con il bilancio delle vittime che aumenta di giorno in giorno tra Calais e il Regno Unito. Più si impedisce alle persone di attraversare il confine, più i contrabbandieri ci guadagnano. Le condizioni in cui le persone attraversano la frontiera dalla Libia sono i racconti di migranti abbandonati nel deserto, ridotti in schiavitù e di stupro, per non parlare dei “respingimenti” praticati da Paesi che hanno firmato accordi di esternalizzazione, come la Libia, ma anche da Frontex, il cui direttore ha dovuto terminare il suo mandato europeo dopo le morti al largo delle coste della Grecia. L'immigrazione però continua, visti i fattori strutturali di partenza nei Paesi di origine, con 130 milioni di richiedenti asilo entro il 2023. 
Neanche le politiche di rimpatrio combinate con gli aiuti allo sviluppo hanno prodotto risultati, poiché pochi rimpatri volontari sono accompagnati da aiuti per una reintegrazione sostenibile. Quanto agli aiuti allo sviluppo, essi rappresentano solo un terzo delle rimesse inviate dai migranti ai Paesi d'origine (630 miliardi di dollari all'anno). È un gioco da ragazzi quando i Paesi del Sud firmano accordi per controllare le loro frontiere, e le rimesse sono una delle principali fonti di valuta inviata dai migranti ai loro Paesi d'origine. Lo sviluppo incoraggia la migrazione, così come la migrazione incoraggia lo sviluppo.
È ora di porre fine a questa ipocrisia mettendo in sicurezza le rotte migratorie di chi viene a lavorare o a chiedere asilo, il che risolverebbe lo “smistamento” alle frontiere dei flussi misti (che non sarebbero più condannati a chiedere asilo perché il lavoro è loro vietato; il traffico diminuirebbe e l'euro sarebbe più sicuro). I traffici diminuirebbero e l'Europa, che invecchia e manca di manodopera, senza guardare alle crisi che sono dietro l'angolo (politiche e ambientali), rispetterebbe meglio i diritti umani invece di adottare politiche pensate per l'opinione pubblica che rasentano la disumanità.