1 - Tra il consenso dato alcune settimane fa a parlare in questo forum e oggi, ho vissuto un momento forte che vorrei condividere con voi. Su invito del Patriarca Latino di Gerusalemme, l'Arcivescovo cattolico di Parigi, Mons. Laurent Ulrich, e il suo Consiglio Episcopale, ci siamo recati a visitare alcune comunità cristiane in Palestina e in Israele. Durante questa visita, tutti, sul posto, ci hanno descritto, ciascuno dal suo osservatorio particolare, la generalizzazione dell'odio sia da parte israeliana che da parte palestinese. La parola odio è stata usata da tutti, leader religiosi, fedeli cristiani, anche diplomatici, e al tempo stesso ci è stata descritta una situazione catastrofica, senza precedenti dal 1948.
Prima di partire lo sapevo, ma il fatto di averlo ascoltato in modo unanimemente mi ha impressionato moltissimo e permea profondamente le parole che ho l'onore di rivolgervi.
Perché di fronte a questa constatazione, la nostra preghiera, di noi cristiani francesi che visitavamo fratelli e sorelle circondati dall'odio di due popoli, è stata fortemente richiesta. La preghiera per la pace, la preghiera per la riconciliazione di due popoli che mai come ora hanno indicato l' altro come nemico, la preghiera contro l'assurdità della guerra.
Vi confesso che sono stato scosso da queste ripetute e pressanti richieste. Scosso perché non erano l'espressione di una disperazione, che sarebbe stata del tutto giustificabile, vista da uno che vive in pace. No, non era la disperazione di persone che si sarebbero improvvisamente ricordate, nell'impasse, che poteva esserci ancora una via d'uscita definitiva dall'orrore, una via d'uscita chiamata Dio. Contro ogni previsione, queste richieste hanno manifestato con una forza davvero impressionante, la speranza che Dio possa cambiare i cuori, anche quando gli orrori del terrorismo e della guerra li hanno induriti così duramente. Abbiamo incontrato persone che incarnano la bellissima frase che ha detto Justin Welby ieri: "La disperazione non ha futuro".
Quando ieri Andrea Riccardi ha detto che la cultura della pace è crollata, ho pensato che avesse ragione a chiedere di dare senso alla storia liberandoci dalla rassegnazione di fronte alla guerra. Perché abbiamo visto persone che, assistendo a un conflitto da un punto di vista umano del tutto irreversibile, rifiutano questa rassegnazione.
2 – E allora che dire della preghiera?
a) Le nostre esperienze sono certamente diverse, ma all'interno di questa diversità e nonostante essa, c'è una costante che spesso fa retrocedere l'odio: nella consapevolezza di una felice dipendenza da Dio, comune a ogni preghiera, l'uomo si riconosce povero davanti a Dio. Questa povertà gli infonde umiltà, lo spinge a mettersi in discussione, e questo clima interiore combatte l'odio. Certo, bisognerebbe sviluppare, parlare del ruolo benefico del silenzio per questo, e in termini cristiani, parlare dello "Spirito Santo, misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo" (Giovanni Paolo II), e disposto a convertirlo.
b) Vorrei, inoltre, sottolineare la fortuna di "essere insieme per pregare" (ricordiamo la precisazione di Giovanni Paolo II che spiegava Assisi ai collaboratori sorpresi dall'iniziativa: "essere insieme per pregare ma non per pregare insieme"). Essere insieme per pregare.
Dobbiamo ricordare quello che accadde ad Assisi, la prima volta, nel 1986. E di ciò che il fatto di stare insieme per pregare ha prodotto, fin dall'inizio.
Ha scritto un vecchio cardinale, che non è più con noi ma che aveva lavorato molto alla preparazione dell'incontro, e che in Francia amiamo molto perché era un uomo semplice che aveva conservato l'accento dei suoi Pirenei. È il cardinale Etchegaray:
«Non ho intenzione di fare il vecchio giardiniere. Ma, essendo stato testimone stupito della sua germinazione nel pensiero del Papa e artefice privilegiato della sua fioritura, oserei dire che quel giorno sentii battere il cuore del mondo. È bastato un breve incontro su una collina, poche parole, pochi gesti, perché l'umanità lacerata ritrovasse gioiosamente l'unità delle sue origini. Quando, al termine di una grigia mattinata, l'arcobaleno apparve nel cielo di Assisi, i capi religiosi riuniti dall'audacia profetica di uno di loro, Giovanni Paolo II, videro in esso un pressante appello alla vita fraterna: nessuno poteva dubitare che la preghiera avesse suscitato questo segno visibile di connivenza tra Dio e i discendenti di Noè.
Nella cattedrale di San Rufino, quando i capi delle Chiese cristiane si sono scambiati il segno di pace, ho visto le lacrime su alcuni volti, anche quelli di persone di non poco conto.
Davanti alla Basilica di San Francesco, dove, congelati dal freddo, tutti sembravano stringersi gomito a gomito (Giovanni Paolo II era accanto al Dalai Lama), quando i giovani ebrei hanno preso d'assalto il podio per offrire per primi le piante di ulivo ai musulmani, mi sono sorpreso ad asciugarmi le lacrime dal viso".
Rileggendo questa storia, dico a me stesso, e vi suggerisco di crederci con me, che non c'è un solo cuore che non possa un giorno, liberarsi da tutte le forme di odio che possono così rapidamente insediarsi, lasciarsi toccare da tali immagini e desiderare a sua volta la pace con il peggiore dei suoi nemici. Grazie.