Condividi su

Gaël Giraud

Economista, Francia
 biografia
Negli ultimi due anni, qualcosa è cambiato nel rapporto dell'Occidente con la transizione ecologica. Quando siamo usciti dall’isolamento imposto durante la pandemia COVID, eravamo ancora pieni di speranze: molti speravano che la comunità internazionale avrebbe tratto insegnamento della pandemia e avrebbe finalmente accettato di affrontare le colossali sfide ecologiche che abbiamo di fronte: riscaldamento globale, mancanza di acqua potabile, parziale collasso della biodiversità, inquinamento da plastica… Nel gennaio 2022, i rappresentanti del gotha della finanza facevano a gara per ascoltare Greta Thunberg a Davos. Da allora, la necessaria transizione sembra essere scomparsa dalla maggior parte delle agende politiche dell'Occidente; i partiti promotori di battaglie per l'ecologia stanno registrando le peggiori sconfitte degli ultimi decenni; i media hanno relegato la catastrofe ecologica in corso al rango di argomento secondario. Le Nazioni Unite faticano a costruire una coalizione intorno alla lotta contro l'insicurezza alimentare. 
 
La transizione ha perso la sua importanza? Evidentemente no: i fenomeni fisici che sono alla base del riscaldamento globale, dell'interruzione del ciclo dell'acqua e della continua distruzione dei nostri ecosistemi naturali sono solo peggiorati. Sappiamo che raggiungeremo il tetto di +1,5°C di riscaldamento del pianeta (fissato 9 anni fa a Parigi) prima della fine di questo decennio. E che sarà praticamente impossibile evitare di raggiungere i +2C prima della metà del secolo. Sappiamo che il divario fra domanda e disponibilità globale di acqua potabile è destinato a raggiungere il +40% entro il 2030 se continueremo a fare poco per garantire l'accesso all'acqua a tutta l'umanità. Sappiamo che la deforestazione in Amazzonia è oggi al 18% (rispetto all'era forestale preindustriale) e che se superiamo il 25%, rischiamo di trasformare il principale polmone del pianeta in una savana. E in modo irreversibile. 
 
Che cosa è successo? Naturalmente c'è stata la guerra in Ucraina, che ha fatto precipitare la comunità internazionale nell'immediatezza del conflitto. Ora c'è il conflitto in Medio Oriente, che domina i titoli dei giornali. Ma non credo che questo basti a spiegare perché, in un momento in cui i disastri climatici si moltiplicano in Europa, l'Occidente sembra fare un passo indietro sul fronte ecologico. 
 
Credo che un fattore decisivo sia passato in gran parte inosservato, eppure sta giocando un ruolo decisivo: alla fine del 2022, la maggior parte delle compagnie di riassicurazione del mondo occidentale si è ritirata dal rischio di eventi meteorologici estremi - inondazioni, siccità, uragani... - proprio gli eventi che sono destinati ad aumentare di numero (o di gravità) a causa del riscaldamento globale. Ciò significa che, da quasi due anni, la maggior parte dei riassicuratori rifiuta di riassicurare gli assicuratori contro i danni causati da questi eventi. Eppure l'impatto di questi danni sulla professione assicurativa è enorme. Nel 2021 e poi nel 2022, il risultato netto registrato dagli assicuratori residenziali nazionali in Florida è stato una perdita annuale di circa 1.000 miliardi di dollari (poco meno del PIL della Spagna). Più in generale, come mostra la Fig. 2, le perdite annuali indotte da eventi meteorologici estremi negli Stati Uniti hanno superato i 50 miliardi di dollari all'anno dal 2016 e sfioreranno i 200 miliardi dal 2021. Se non si interviene, è probabile che tutti i riassicuratori, e poi gli stessi assicuratori, si ritirino dall'assicurare i rischi associati agli eventi metereologici estremi. 
 
 
 
Cosa può succedere? Una delle due cose: o lo Stato interviene come assicuratore di ultima istanza, oppure rinuncia a salvare i suoi cittadini dal prossimo disastro, simile alle inondazioni che stanno devastando l'Europa dell'Est proprio in questi giorni. La difficoltà, ovviamente, è che le finanze pubbliche di molti Stati sembrano troppo fragili per potersi permettere perdite di diverse decine di miliardi ogni volta che un uragano o una siccità colpiscono il loro territorio. Tuttavia, se il settore pubblico si disimpegna, il settore bancario non tarderà a seguirne l'esempio: i prestiti bancari si basano principalmente sulla capacità del mutuatario di esibire garanzie reali, che possono essere sequestrate dal mutuante in caso di mancato rimborso. Tuttavia, i beni non assicurati contro il rischio climatico costituiscono una garanzia insufficiente. Ciò potrebbe significare che le aree non assicurate ed esposte a rischi climatici estremi potrebbero finire per essere abbandonate dal credito bancario, e quindi da qualsiasi forma di investimento. Ai cittadini che hanno i mezzi per farlo non resterà che disertare queste regioni. Questa prospettiva sembra aver convinto alcuni investitori e fondi di gestione patrimoniale che è ormai troppo tardi per investire nel verde. 
 
 
Nel 2023, noti finanziatori come Allianz e Vanguard hanno ritirato i propri investimenti su organizzazioni ambientaliste. La banca statunitense JPMorgan ha ridefinito i propri criteri di investimento, allentando notevolmente i requisiti ambientali. Il fondo Inclusive Capital, gestito dall'attivista Jeff Ubben, che si proponeva di investire in gruppi poco rispettosi dell'ambiente per cambiarli dall'interno, ha annunciato la scorsa settimana la rinuncia e la restituzione dei 2,3 miliardi di dollari (2,1 miliardi di euro) raccolti dai suoi clienti.
La finanza verde sembra avere ingranato la retromarcia ovunque. Secondo il Wall Street Journal, altri sei fondi hanno cancellato ogni riferimento agli standard ESG e hanno deciso di orientarsi verso investimenti molto più convenzionali. Trentadue hanno chiuso nel 2023. 
 
L’inflazione indotta dalle restrizioni alle forniture mondiali in energia non risolve niente, al contrario: incoraggia le principali banche centrali ad alzare i tassi d'interesse di riferimento, il che aumenta il costo degli investimenti e rende i progetti “verdi” ancora meno attraenti di prima. 
Infine, le tensioni geopolitiche hanno convinto alcuni gestori patrimoniali che ora l'urgenza è quella di finanziare il settore della difesa, soprattutto negli Stati Uniti, dove l'industria degli armamenti sta lavorando a pieno ritmo per alimentare la resistenza ucraina.
 
Possiamo uscire da questa situazione di stallo e riportare la transizione ecologica in cima alla lista delle nostre priorità? 
 
Per immaginare una via d'uscita, credo sia necessario tenere conto dei seguenti fattori: 
  • l'inflazione globale non è causata da un eccesso di liquidità sul pianeta, ma principalmente dalla dipendenza delle grandi economie dai combustibili fossili. Il modo migliore per combattere l'inflazione in Occidente non è aumentare i tassi di interesse (con il rischio di affossare tutti gli investimenti e di innescare un altro crollo finanziario), ma promuovere l'indipendenza dai combustibili fossili finanziando la transizione verso le energie rinnovabili.    
  • È fattibile? L'Istituto Rousseau ha fornito un percorso di decarbonizzazione a zero emissioni per l'Unione Europea che costerebbe “solo” il 2,3% del PIL dell'UE ogni anno da oggi al 2050. Il Sudafrica ha fatto lo stesso e ha ottenuto una cifra simile. Altri Paesi devono salire a bordo. Ma è sbagliato dire che sappiamo che è impossibile.   
  • Il debito pubblico non è un vero e proprio ostacolo: è possibile effettuare degli scambi debito-clima, come ha fatto la Banca Mondiale su larga scala 20 anni fa. Pretoria sta negoziando un dispositivo di questo tipo per il suo debito pubblico. L'Eurozona dovrebbe fare lo stesso con la sua Banca Centrale, che è creditrice di diverse centinaia di miliardi di debito pubblico europeo: questo non metterebbe in alcun modo in discussione il funzionamento dell'euro perché, come ha sottolineato la BRI, una banca centrale può operare molto bene senza capitale proprio. 
  • Infine, se vogliamo prevenire le guerre di domani, la cosa più urgente è liberare le vecchie industrie dalla loro dipendenza dai minerali che stanno presentando delle criticità. È infatti sul loro approvvigionamento che rischiamo di veder nascere nuovi conflitti. L'invenzione di un'industria a bassa tecnologia che risparmi energia, acqua e minerali è una delle chiavi della pace nel mondo. 
 
Questi sono tutti motivi per cui la transizione ecologica è più attuale che mai.