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Stefano Stimamiglio

Direttore "Famiglia Cristiana", Italia
 biografia

Il valore della vita umana è un tema centrale nell’etica cristiana, radicato nella convinzione che ogni persona sia creata a immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1,26-27). Ma anche le altre religioni e tutte le carte internazionali (ONU, UE, Consiglio d’Europa, ecc.) considerano la grande e inalienabile dignità dell’uomo.

Osservando la società contemporanea, tuttavia, si percepisce un crescente processo per il quale sembra che la vita delle persone venga considerata via via sempre meno preziosa e degna di tutela, sia nella sfera pubblica che in quella privata. Questo fenomeno è complesso e tocca molti aspetti: dalle politiche economiche alle guerre, dall’indifferenza verso la povertà alla cultura dello scarto, fino all’eutanasia e all’aborto.

 

La cultura dello scarto

Papa Francesco ha più volte parlato della “cultura dello scarto”, tanto da diventare un modo di dire comune. Un fenomeno che descrive come la società moderna tenda a valutare la vita umana in base alla sua utilità economica o sociale. In un sistema che privilegia il profitto e il potere, coloro che non sono produttivi o non soddisfano determinati standard vengono marginalizzati, ritenuti inutili. Anziani, disabili, poveri, immigrati sono tra i gruppi più vulnerabili. Questa logica economica porta chiaramente a una svalutazione della vita umana, perché tratta le persone come oggetti da sfruttare o, peggio ancora, da eliminare quando non servono più.

La comunicazione, evidentemente, gioca un ruolo fondamentale in questo preoccupante fenomeno.

Alcuni esempi:

1- La mercificazione della vita

La comunicazione commerciale promuove una cultura in cui le vite sono spesso valutate in base al consumo e al profitto. La pubblicità e i messaggi commerciali trasmettono l’idea che la felicità e il successo si misurano attraverso beni materiali. Quando il valore della vita viene ridotto a quello che si possiede o si consuma, si rischia di perdere di vista l'importanza intrinseca di ogni individuo.

2- La politica e la sua retorica

La comunicazione politica può avere un impatto significativo sulla percezione del valore della vita. Discorso di odio, demonizzazione dei gruppi avversari e retorica bellicista che ormai sono entrati nel vocabolario comune riducono la vita umana a un mero strumento per il potere. Quando i leader politici utilizzano una comunicazione che minimizza la dignità degli individui, si crea un clima in cui la vita delle persone può sembrare sacrificabile.

3- Il ruolo della comunicazione

Come operatore della comunicazione cristiano desidero affrontare qui più in generale il ruolo dei media, e fra questi dei social media, in questa “deriva etica” a cui stiamo assistendo, sentendoci a volte come Davide contro Golia.

La comunicazione, infatti, gioca un ruolo cruciale nel plasmare la percezione del valore della vita umana, influenzando le opinioni, i comportamenti e le emozioni delle persone. In un’epoca in cui una massa enorme di informazioni viaggiano rapidamente e sono accessibili a tutti, i messaggi che circolano nei media e nei social network contribuiscono in modo decisivo a una cultura in cui la vita sembra avere un valore sempre minore.

I social media, in particolare, tra i tanti aspetti positivi che hanno giocano però un ruolo significativo nel processo di desensibilizzazione riguardo al valore della vita umana. Questo fenomeno avviene attraverso diversi meccanismi che riguardano il modo in cui i contenuti vengono prodotti, consumati e diffusi su queste piattaforme.

a. La sovraesposizione alla violenza e alla sofferenza

Una delle principali ragioni della desensibilizzazione è l’enorme quantità di contenuti violenti, tragici o sensazionalistici condivisi ogni giorno da milioni di persone sui social media. Immagini e video senza alcuna censura di azioni di guerra, di disastri naturali, di incidenti, di atti di violenza vengono diffusi con estrema facilità in rete e in tempo reale, senza alcun discernimento sugli effetti sulle persone.

Spesso, oltretutto, accompagnati da commenti o emoticon che banalizzano la gravità delle situazioni o le situazioni che le persone coinvolte vivono. Come se fosse un grande film. Questa continua esposizione fa sì che, con il tempo, le persone si abituino a vedere tali immagini, riducendo l’impatto emotivo che avrebbero avuto in circostanze un tempo considerate “normali”. Di conseguenza, la sofferenza umana diventa quasi uno spettacolo, e la capacità di sentire e mostrare empatia diminuisce.

b. Velocità e superficialità dell’informazione

I social media sono progettati, e soprattutto sono redditizi per chi li concepisce e li mette sul mercato, per promuovere il consumo rapido di contenuti. La natura stessa di queste piattaforme, con i loro feed in continua evoluzione, incoraggia gli utenti a passare velocemente da una notizia all’altra (scrolling) senza prendere il tempo necessario per riflettere sul senso e la portata di ogni immagine. È il consumo di immagini, e quindi di emozioni, che non elaborate porta a rendere il cuore e la mente meno (o per nulla) solidali con le persone coinvolte.

Le tragedie umane vengono spesso ridotte a uno scroll continuo, a post scorrevoli e a brevi video, creando una distanza emotiva tra l’utente e la realtà dietro quelle immagini o storie. Questa dinamica superficiale riduce la percezione della gravità degli eventi, contribuendo a una visione più distaccata e cinica della vita umana.

c. Sensazionalismo e ricerca di attenzione

Sui social media, i contenuti più estremi o scioccanti tendono a guadagnare maggiore visibilità, poiché generano più interazioni e condivisioni. Questo fenomeno spinge spesso le persone a cercare l’attenzione attraverso la pubblicazione di contenuti crudi o emotivamente manipolatori, che riducono la complessità delle situazioni umane a un sensazionalismo volto a guadagnare click o like. La vita e la morte, in questo contesto, vengono commercializzate e spettacolarizzate, rafforzando la disumanizzazione.

d. La normalizzazione del dolore e della violenza

La continua esposizione a contenuti legati a tragedie o violenze sui social media porta a una normalizzazione di tali eventi. Quando la violenza o la sofferenza diventano un tema quotidiano, le persone possono percepire queste situazioni come parte integrante della realtà e, quindi, meno degne di attenzione o indignazione. Questa normalizzazione riduce la nostra capacità di reagire con empatia o solidarietà nei confronti delle vittime, poiché il dolore altrui diventa una routine.

e. Anestesia emotiva da sovraccarico di informazioni

Questo sovraccarico di informazioni sotto varie specie (immagini, video, audio, emoticon…) attraverso cui i social media ci inondano creano un sovraccarico cognitivo ed emotivo. Questo flusso continuo di notizie, video, post e immagini rende difficile per gli utenti elaborare pienamente ciascun evento o storia. Di fronte a una quantità così massiccia di stimoli, le persone possono sviluppare una sorta di “anestesia emotiva”, una difesa psicologica che riduce la sensibilità al dolore altrui per proteggersi dallo stress generato dal costante bombardamento di negatività. Una sorta di meccanismo di autodifesa. Di conseguenza, la vita umana può sembrare meno preziosa, poiché ogni evento tragico viene trattato come uno dei tanti.

f. Disumanizzazione attraverso l’annullamento dell’individuo

Sui social media, le persone spesso diventano numeri, statistiche o volti in mezzo a una moltitudine di post. Questo processo di anonimizzazione disumanizza le vittime di tragedie, violenze o ingiustizie. Quando le vittime di una guerra, di un incidente o di una violenza sono ridotte a una “notizia” o a una “statistica”, è più facile per gli utenti trattarle come entità astratte, perdendo di vista l’unicità e il valore di ogni singola vita umana.

g. Hate speech e retorica tossica

I social media danno poi voce a molti individui e gruppi che fomentano l’odio online e una certa retorica disumanizzante. Commenti offensivi, razzisti o xenofobi possono proliferare senza un’adeguata moderazione, contribuendo a creare una cultura in cui la vita di certe persone o gruppi viene svalutata. Questa disumanizzazione retorica riduce il valore percepito della vita di chi appartiene a categorie socialmente emarginate o politicizzate. Per non parlare del cyberbullismo (v. Carolina Picchio).

h. Algoritmi e ricerca di dopamina sociale

Gli algoritmi dei social media sono progettati per mantenere gli utenti attivi e coinvolti, spesso suggerendo contenuti che rinforzano loro credenze preesistenti o che suscitano reazioni forti. Questo sistema alimenta una cultura della gratificazione immediata, in cui l’attenzione è focalizzata sulla quantità di reazioni che un contenuto genera piuttosto che sulla sua qualità o sul messaggio umano che trasmette. Di fronte alla continua ricerca di approvazione sociale, la profondità del significato e il valore della vita umana vengono spesso sacrificati in favore di una maggiore visibilità.

i. “Memificazione” della tragedia

I meme sono una delle forme più diffuse di comunicazione sui social media, ma la loro natura spesso riduttiva può trasformare tragedie umane in oggetti di ironia o scherzo. Quando eventi drammatici o morti vengono trasformati in meme, il loro significato viene ridotto a un gioco di parole o a un’immagine divertente, contribuendo ulteriormente alla desensibilizzazione. Il tragico diventa una forma di intrattenimento, allontanando ulteriormente l’utente dall’empatia necessaria per comprendere la gravità delle situazioni.

 

4- La responsabilità della comunicazione

È fondamentale allora riconoscere la responsabilità che tutti abbiamo nel comunicare in modo etico e consapevole. Ogni messaggio che trasmettiamo ha il potere di influenzare gli altri. Promuovere una comunicazione che valorizzi la vita, l’empatia e il rispetto reciproco può contribuire a contrastare la tendenza a considerare la vita umana come qualcosa di meno significativo.

In questo senso vengono in aiuto non solo ai credenti i Messaggi per la Giornata mondiale della comunicazione che papa Francesco sta scrivendo ogni anno, che prende a cuore queste dinamiche della comunicazione cercando di umanizzarle. 

  • LVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2024 - Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana
  • LVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2023 - Parlare col cuore. «Secondo verità nella carità» (Ef 4,15)
  • LVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2022 - Ascoltare con l’orecchio del cuore
  • LV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2021 - “Vieni e vedi” (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono
  • LIV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2020 - “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia.
  • LIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2019 - «“Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana»
  • LII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2018 - «La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace».
  • LI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2017 - «Non temere, perché io sono con te» (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo
  • L Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2016 - Comunicazione e Misericordia: un incontro fecondo.
  • XLIX Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2015 - Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore.
  • XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2014 - Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell'incontro.