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Marco Impagliazzo

Storico, Presidente della Comunità di Sant’Egidio
 biografia
Con grande emozione, prendo la parola, a nome della Comunità di Sant’Egidio, in questo luogo simbolico per la Francia e non solo. Ringrazio calorosamente l’Arcivescovo di Parigi Mons. Ulrich per il suo invito e per aver sempre sostenuto il nostro cammino di dialogo per la pace. In questi giorni siamo tornati insieme al cuore delle nostre tradizioni di fede e della sapienza religiosa e umanista. Andare in profondità è insieme un esercizio di umiltà e di resistenza.
 
Umiltà perché il ritorno alle fonti ci fa capire che c’è qualcosa di più grande delle nostre emozioni, delle nostre sensazioni o dei modelli cristallizzati. C’è qualcosa che va al di là di noi, del nostro presente e dell’attualità.
 
Resistenza ad una cultura semplificatrice che si abitua ai conflitti e che ruota tutta attorno all’ego.
 
Tornando alle nostre fonti spirituali noi abbiamo scoperto un orizzonte che ci unisce e ci fa sperare. Anche nei momenti più bui noi intravediamo una luce.
 
Insieme, questa sera, dopo aver dialogato ed esserci confrontati, vogliamo innalzare un grido forte di protesta: un grido di resistenza di fronte alla guerra e a tanta violenza. Vuol dire protestare di fronte al mondo per tutti i morti (la maggioranza vittime innocenti). Noi protestiamo contro tutta questa violenza, contro tutto questo odio, estranei alla nostra volontà di vivere in pace, a quella di tanti uomini e donne.
 
NO! la guerra non è il nostro futuro, non può essere il nostro destino!
 
La sconfitta della logica militare, nelle relazioni internazionali così militarizzate, ci spinge a dire che c’è un orizzonte che non possiamo vedere da soli. Ma solo insieme. Immaginarlo e realizzarlo insieme. Bisogna essere insieme proprio nei momenti difficili della storia per scorgere l’orizzonte che supera l’odio, la violenza e la guerra. Siamo quindi riconoscenti per questi giorni che ci hanno illuminato: abbiamo ricevuto di nuovo uno spirito di resistenza che si ricongiunge a quello delle generazioni precedenti, quelle che, qui in Europa, hanno cercato vie di pace durante e dopo la catastrofe della guerra mondiale. Ci hanno lasciato un’eredità, detta chiaramente e in semplici parole: mai più la guerra!
 
Qui abbiamo immaginato insieme il ritorno della pace in questi tempi di guerre. Insieme noi possiamo avere un’immaginazione creativa che supera le nubi scure del presente e prepara il futuro. Ci siamo resi conto del pericolo di danzare con incoscienza sulle frontiere dell’abisso della guerra che espone il mondo a un rischio incontrollabile.
 
Vedo qui molti giovani. Noi desideriamo trasmettere l’eredità del sogno della pace da una generazione all’altra, trasmettere un mondo più in pace: le giovani generazioni devono ricevere questo dono da parte di coloro che li hanno preceduti. Vogliamo rafforzare e mai spezzare questa catena di solidarietà fra le generazioni! Il sogno della pace non può limitarsi a una sola generazione.
 
Esiste già una via per uscire da un clima di guerra permanente: é stata tracciata da quelli che ci hanno preceduto e che hanno sognato un mondo più giusto per i loro figli su tutti i continenti.
 
Nella notte buia, i nostri anziani sono per noi degli esempi di una speranza coltivata contro ogni speranza. La loro speranza era la pace. È anche la nostra questa sera.
 
Bisogna avere il coraggio di rischiare la pace. In questo incontro si sono espresse tutte le lingue e tutte le culture, capendosi e scoprendo che nella profondità c’è un’inquietudine di pace comune a tutti. Un’inquietudine che chiede a tutti i livelli più dialogo. Ci siamo ascoltati e l’abbiamo capito: bisogna uscire, comincinando da se stessi, da posizioni bloccate.
 
Anche se c’è la guerra, è necessario pensare oggi la pace di domani: è un’opera di saggezza. La pace è la nostra vittoria: non una vittoria contro gli altri ma con gli altri.
 
Una celebre antropologa francese, Germaine Tillion, diceva che una “politica di conversazione con l’altro” è necessaria. La strada della conversazione e del dialogo con l’altro porta, prima o poi, sicuramente alla pace. È quello che abbiamo vissuto in questi giorni: parlare, immaginando l’utopia della pace, più forte di tutte le logiche e conoscenze umane.
 
Grazie Parigi ! Da questa città-mondo dove hanno risuonato tutte le tradizioni, senza nessuna che si imponesse sulle altre, oggi vediamo meglio che la pace è possibile.