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Luigi Marini

Magistrato, Italia
 biografia
1.  La percezione che la vita oggi valga sempre meno è molto forte quando vediamo le immagini drammatiche della devastazione che le guerre stanno causando in troppe parti del mondo e quando ci rendiamo conto che le violenze non risparmiano ospedali, scuole, mezzi di soccorso, mercati frequentati dalla popolazione civile. Violazioni palesi del diritto internazionale umanitario cristallizzato dalla Convenzione internazionale firmata all’Aja nel 1954, che mirava proprio a proteggere gli obiettivi civili e le persone non combattenti.
 
Non posso però nascondere che una sensazione altrettanto forte della perdita di valore della vita è provocata da singoli episodi che nella nostra società accadono sempre più frequentemente all’interno della vita quotidiana di persone “normali”. Gli esempi potrebbero essere molti e mi limito qui a due casi che mi appaiono significativi. 
Il 17 giugno scorso Satnam Singh, un operaio straniero che lavorava in Italia senza documenti e assicurazione in un’azienda agricola, ha avuto un incidente gravissimo che gli ha provocato l’amputazione di un braccio. Il proprietario dei terreni ha avuto paura delle conseguenze legali e ha deciso di non portarlo in ospedale, lasciandolo davanti casa in condizioni così drammatiche che, anche per questo ritardo nei soccorsi, l’uomo è deceduto pochi giorni dopo.
Il 23 giugno scorso, Thomas, un ragazzo di 17 anni, è stato ucciso a Pescara con 25 coltellate da due coetanei per un debito di 200 euro legato all’uso di droghe. Dunque, una vita vale meno di 200 euro.
 
2.  Si potrebbe obiettare che quanto appena descritto non è affatto nuovo nella storia dell’umanita è che, se confrontassimo i fatti di oggi con quelli del passato, non avremmo ragione di interrogarci.
In effetti, se confrontiamo la condizione media degli esseri umani di oggi con quella delle grandi civiltà di duemila anni fa, da quella greca a quella assira, da quella egiziana a quella di Roma, dovremmo dire che allora la vita della stragrande maggioranza delle persone valeva molto poco e le discriminazioni era fortissime. Non vi è dubbio che la vita degli schiavi, dei malati e dei portatori di qualsiasi forma di handicap, dei più poveri e, quasi sempre, delle donne aveva un valore modestissimo o nullo ed era alla mercè non solo dei re e dei dignitari, ma anche degli uomini liberi e potenti: una strettissima minoranza secondo il diritto allora vigente aveva potere di vita e di morte sull’assoluta maggioranza della popolazione.
Il discorso non è molto diverso se guardiamo ai secoli successivi, fra guerre tribali, conflitti religiosi ed economici, violenze inenarrabili sulle minoranze, e così via.
Il che porta taluni ad affermare che da sempre la vita umana non ha lo stesso valore per tutti e che diseguaglianze e ingiustizie fanno parte della storia dell’uomo.
 
3.   Eppure, il fatto che oggi si avverta che la vita umana “vale sempre meno” ci dice che la storia non è lineare e che qualcosa con cui oggi possiamo confrontarci è avvenuto e ha cambiato le culture e le prassi.
Questo qualcosa ha radici antiche, ma ha preso forma nel mondo occidentale verso la fine del XVIII secolo. E’ allora che è maturata la consapevolezza che tutti gli uomini sono uguali in dignità e nei diritti fondamentali che appartengono loro proprio in quanto essere umani 
(per ragioni di tempo tralascio qui il legame fra diritti delle persone e diritti della terra che abitiamo, un discorso bellissimo, ma che ci porterebbe lontano).
 
Fu allora che venne affermato, e trasformato in dichiarazioni ufficiali e in regole di convivenza, il principio che la vita delle persone, di ogni persona, ha il medesimo valore.
Ed è con questo sviluppo delle coscienze  e con le sue ricadute pratiche che oggi ci confrontiamo, chiedendoci se quei principi si siano purtroppo incrinati e l’umanità in troppi casi stia dando alla vita umana un valore più debole e più condizionato da fattori contingenti.
 
Ciò che avvenne due secoli e mezzo fa fu, in parole povere, il convergere di una crescita spirituale collettiva e di una consapevolezza giuridica nuova: una convergenza che portò all’ideazione dei diritti universali, che possiamo anche chiamare diritti fondamentali, di cui una persona e una comunità non possono essere privati senza che con questa venga meno il fondamento del vivere comune. 
In questo processo i fermenti spirituali hanno avuto un ruolo essenziale, ponendo domande che scardinavano le strutture basate sul potere verticistico, sulla concentrazione delle decisioni in poche mani e sulle forme di violenza quotidiana e sistemica che negavano la dignità e la vita stessa di troppe persone.
Furono domande che entrarono in relazione col pensiero illuminista, anche quando i due universi apparivano in conflitto, talvolta fino a negarsi reciprocamente.
 
Anche il percorso successivo non è stato lineare, con fasi di progresso nella crescita dei diritti civili e sociali e altre in cui l’umanità ha conosciuto epoche buie. Le guerre sanguinose dell’800, la rivoluzione industriale con le sue diseguaglianze e le violenze, il colonialismo, le due guerre mondiali del secolo scorso sono la prova più evidente delle contraddizioni che hanno segnato il cammino recente dell’umanità e messo in evidenza il legame strettissimo che esite fra i diritti fondamentali e la pace.
 
4.  Questo legame è stato colto finalmente negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, dando vita a un nuovo e decisivo passo in avanti.
Dopo due guerre mondiali devastanti, gli Stati hanno trovato la forza di dare risposta al bisogno di pace che emergeva dalle popolazioni. Questa spinta:
  • Sono nate le Nazioni Unite;
  • Il 10 dicembre 1948 è stata sottoscritta la Dichiarazione Universale die Diritti dell’Uomo;
  • È stata sottoscritta nel 1954 la Convenzione dell’Aja che regola e limita i comportamenti dei belligeranti;
  • Sono stati sottoscritti i grandi Patti internazionali, a partire da quello sui diritti economici e sociali  e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (adottati dall’Assemblea generale il 16 dicembre 1966).
  • Sono state sottoscritte le convenzioni a tutela dei bambini e delle donne, quelle contro il crimine organizzato transnazionale e contro la corruzione.
 
Tutti questi documenti e le costituzioni adottate in quel periodo da molti Paesi si basano sull’idea fondamentale che ogni persona ha diritti fondamentali che non possono esserle tolti, che la sua vita ha la medesima dignità della vita di ogni altra persona e che non può aversi convivenza pacifica senza il rispetto di questi principi essenziali.
Un grande teologo e mistico del secolo scorso avrebbe detto che l’umanità stava andando “più avanti e più in alto”,  verso il suo compimento.
 
Si era di fronte a un processo di crescita che sembrava avere imboccato una direzione irreversibile e la fine della guerra fredda nel 1989 fu vissuta con grande speranza come una conferma positiva.
Ma questo processo si è rivelato fragile ed è entrato in crisi. Una crisi che ci fa chiedere se la tutela della vita, di tutte le vite, stia di nuove perdendo valore.
 
5.  Sarebbe riduttivo limitare le nostre riflessioni ai soli casi in cui una vita o più vite vengono soppresse con violenza, perché il valore dell’esistenza si misura anche sulla sua qualità, il che vale a dire secondo il principio di dignità con cui le persone vengono trattate. Se è vero che i casi di morte violenta costituiscono la manifestazione più grave, molto più numerosi sono i casi di drammatiche violazioni che rendono la vita delle vittime un vero e proprio calvario.
Gli esempi potrebbero essere infiniti.
Proviamo a pensare alla scelta di quegli imprenditori che non adottano le misure necessarie a evitare l’inquinamento delle acque, dell’aria, dei cibi; scelte che provocano sofferenze e malattie a intere comunità. Oppure alle azioni disumane dei trafficanti di persone, per i quali una vita umana vale solo per quanto denaro riesce a procurare. O, ancora, alle forme di sfruttamento del lavoro, soprattutto del lavoro minorile, che spesso comportano vere e proprie forme di schiavitù.
E’ giusto, allora, chiederci se il denaro, il potere e l’affermazione di sé rappresentino ancora oggi i parametri essenziali delle scelte umane e pongano la vita e la sua dignità sempre più ai margini della storia.
 
6  Il dialogo fra spiritualità e diritto, che è alla base della costruzione dei diritti fondamentali dell’uomo, non è mai stato così necessario come in quest’epoca, dove registriamo una inattesa fragilità delle conquiste culturali e materiali che pensavamo oramai acquisite e dove assistiamo al diffondersi di linguaggi d’odio e di contrapposizioni basate su un approccio individualista ed egoista (dei singoli e delle comunità) alla vita e alle relazioni.  
 
Queste tendenze, che posso soltanto accennare, sono il segno di una involuzione del pensiero individuale e collettivo; esse debbono essere comprese per trovare risposte all’altezza della loro importanza.
La circostanza che ci troviamo di fronte a questioni di estrema serietà trova conferma nel fatto che, sulla scia di questo sentire ampio e articolato, anche per le istituzioni pubbliche il valore della vita umana non è lo stesso, ma varia con il mutare dei contesti in cui esse si muovono e degli interlocutori che di volta in volta le interpellano.
 
Mi limito qui a pochissimi esempi che, per la loro evidenza, non richiedono molti commenti ma possono rappresentare un punto di partenza per il dibattito di oggi:
  • Stranieri: il ritorno in molte aree alla centralità dell’appartenenza etnica rappresenta certamente il momento più vistoso di questa tendenza, ma essa si affaccia con forza anche in Paesi dove viene invocata non tanto l’appartenenza etnica ma l’appartenenza a una comunità nazionale da preservare. Le esigenze di difesa e di preservazione dei supposti valori e interessi della comunità locale prevalgono sulla dignità e sulla vita stessa di chi non è riconosciuto come parte di essa. La vita di costoro, che sono “altro da noi”, viene percepita di rango inferiore in tutte le sue manifestazioni, compresi gli aspetti umilianti e tragici a cui, talvolta, le nostre società contribuiscono.
  • Detenuti: anche costoro sono vissuti come corpi separati, come “altro da noi”, come qualcuno che non vogliamo vedere e di cui non intendiamo interessarci. Questo vale tanto per le condizioni della detenzione, segnate spesso da decessi per assenza di cure e da suicidi, quanto per l’intero processo che conduce alla pena di morte e alla sua esecuzione. Il sovraffollamento delle carceri di molti Paesi occidentali è certamente un problema complesso, purtroppo relegato ai margini del dibattito pubblico e dell’azione delle istituzioni, ma esso è poca cosa rispetto alle condizioni di detenzione spaventose delle carceri di molti Paesi di altre aree del mondo, nelle quali il valore della dignità della persona è radicalmente e senza alcuna speranza negato. 
    Senza dimenticare il permanere della pena capitale in molti Stati, totalitari e democratici, con l’ulteriore momento di barbarie rappresentato dall’esecuzione che in Alabama ha visto Kenneth Smith ucciso ricorrendo a un metodo basato sulla somministrazione di azoto, metodo non consentito neppure in ambito veterinario.
  • Le persone “scartate”: la visione economicista della vita e la centralità del denaro - che oramai vanno ben oltre le realtà e i Paesi definiti capitalisti -  qualificano come inutili le vite degli anziani non autosufficienti, dei malati cronici e di coloro che soffrono di deficit inabilitanti. Sempre più spesso si ascoltano commenti e si intravedono politiche pubbliche segnate dall’idea che quelle vite valgono meno delle altre e che non meritano troppa attenzione, troppe cure, troppi investimenti.
  • Un discorso in parte diverso deve farsi per le comunità governate da regimi a vario titolo autocratici. Si tratta di regimi che non tollerano le opposizioni, che opprimono le minoranze etniche e religiose e che non accettano alcun limite fondato sul rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone. A queste posizioni seguono sempre forme di contrasto, anche violento, all’azione di coloro che quei diritti presidiano, dai giornalisti liberi alle associazioni e alle persone che monitorano e denunciano le violazioni dei diritti umani. 
 
7.  Ma questi momenti di crisi dei valori di umanità e di fratellanza non sono la parola finale. L’evoluzione del pensiero e della politica che ha condotto alla creazione del moderno multilateralismo e il rinnovato dialogo interreligioso cui abbiamo fatto cenno hanno condotto a una crescita delle coscienze individuali e collettive e aperto orizzonti che non possono essere abbandonati. Oggi l’uomo sa che la pace è un obiettivo possibile e che la convivenza può essere costruita sul rispetto e sulla pari dignità di ogni essere umano. 
Esistono, dunque, in moltissime persone, a ogni latitudine, la consapevolezza di ciò che può essere (l’impossibile che si fa possibile) e la volontà di agire per rendere il possibile reale. Il numero troppo elevato di conflitti armati e le terribili offese altrimenti arrecate alla vita delle persone ci dicono che il cammino è ancora lungo, ma noi sappiamo che lo spirito e l’intelligenza dell’uomo possono far prevalere forme diverse di confronto e di convivenza.