30 Settembre 2013 16:30 | Basilica di Santa Maria in Trastevere
Fraternità cristiana e unità nel mondo
Cari fratelli,
“nessuno è della città empia ed atea … né vi sarà mai chi la vedrà”
(Plutarco, Contro l’epicureo Colote, 31)
Nel crepuscolo del secondo millennio, molti sono stati coloro che hanno predetto la fine della religione e l'ingresso dell'umanità in un'epoca senza religione. Tuttavia, oggi, all'alba del terzo millennio, a supporto dell'affermazione di Plutarco e nella confutazione della profezia relativa alla fine della fase religiosa dell'umanità, la religione si propone di nuovo come una costante dell'esistenza umana.
Contro il vuoto esistenziale, la perdita del senso della vita, il caos delle informazioni, le contrastanti proposte per la realizzazione di sé e l’estrema messa alla prova dell’uomo con se stesso, la religione continua ad offrire all’uomo del XXI secolo, bisognoso di orientamento esistenziale, senso della vita, coscienza morale, identità culturale, prospettiva di salvezza eterna. Essa offre all’uomo la capacità di comprendere pienamente se stesso solo a partire da Dio come Creatore, inizio e origine del mondo, Dio di tutti i popoli e degli uomini, Dio dell'Amore, del benessere e della salvezza “per il gran numero delle sue misericordie” per tutte le sue creature.
Ci aspetteremmo che la ripresa effettiva globale della religione divenga un agente di diffusione della pace e sostegno alla lotta per la giustizia e la dignità. Tuttavia si osserva che l'identità religiosa spesso si rivela apportatrice di divisione e d'intolleranza, di fanatismo e di violenza. Questo accade quando la coscienza religiosa viene manipolata e l’identità religiosa fraintesa, il fanatismo religioso ha la pretesa di negare la libertà dell’altro in nome di Dio. La religione è posta sotto assedio, e talora espugnata, dalle forze del messianismo, del totalitarismo, dello sciovinismo, dell’etnicismo, del fondamentalismo, dell'esclusivismo ideologico.
Di fronte a noi si erge lo spettro minaccioso di un conflitto di civiltà, la cui principale caratteristica identitaria è la religione. Una tale prospettiva sarebbe disastrosa oggi, quando le società umane, a livello mondiale, hanno finalmente detto addio all'era dell’identità culturale dominante e hanno accettato la sfida non solo del vivere insieme, ma anche dell’interazione fra identità culturali differenti. Attualmente non esiste comunità umana che non includa persone di origini culturali diverse, con diversi punti di vista sul rapporto tra Dio e l'uomo, tra l’individuo e il gruppo, tra i diritti e le responsabilità, tra libertà e autorità, tra uguaglianza e gerarchia.
In effetti la religione differenzia oggi il comportamento dell’uomo, più che l'identità nazionale. Se passeggiamo questa sera per Roma è possibile incontrare persone che si dicono metà arabi e metà italiani. Tuttavia non si possono incontrare persone che si dicono per metà cattolici e metà musulmani.
Dunque, nonostante la religione non si ponga come fattore di divisione, ma di relazione tra le persone, purtuttavia dobbiamo confrontarci con il dovere dell’aspettativa davanti alle divisioni universali: cioè quello di contribuire ad un dialogo significativo e proficuo tra le diverse tradizioni religiose. Il punto di partenza di un tale dialogo deve essere quello di mettere a fuoco gli elementi che accomunano le religioni, piuttosto che quelli che le dividono. Il punto di partenza di un tale dialogo deve essere la promozione di valori comuni alle diverse religioni, piuttosto che quegli orientamenti incentrati sulla superiorità religiosa che minano la tolleranza nella diversità. Lo scopo di tale dialogo dovrebbe essere quello di evidenziare il ruolo unificante e pacificante delle religioni. Lo scopo di tale dialogo dovrebbe essere il consenso delle religioni in una etica minima comune, senza distorsioni della fede.
Certamente le nostre intenzioni, per quanto oneste possano essere, non saranno trasformate in azioni, se noi stessi per primi, come rappresentanti delle Chiese Ortodossa, Cattolica e Protestante non daremo l’esempio di unità nella diversità, come una prefigurazione della necessità della convivenza pacifica dei credenti delle differenti religioni.
La nostra presenza qui oggi testimonia la necessità di un rispetto reciproco. Questo rispetto non significa né accettazione dell'insegnamento dogmatico di una Chiesa da parte dell’altra, né riconoscimento di un insegnamento come autentico. Significa invece accettazione dell'altro come essere creato e rilevante che affronta un duro sforzo per raggiungere e sperimentare la verità della vita in Cristo. Significa accettare il potere della Chiesa come corpo di Cristo, non per uniformarsi al mondo, ma per rimodellare il mondo.
So bene che alcuni in modo fobico sostengono che il dialogo interconfessionale e interreligioso fa scolorire le specificità religiose e favorisce il sincretismo. Ma costoro non riescono a rendersi conto che l'uomo e la fede religiosa convivono indissolubilmente fin dall'inizio del mondo. Non riescono a capire che la fede religiosa non viene mai eliminata dall’identità esistenziale degli individui e dei popoli, come molti hanno cercato di volta in volta di dimostrare. Non riescono a capire ciò che io quotidianamente constato nel mio impegno pastorale nell’Africa, vero e proprio mosaico di popoli e religioni: che la fede in Dio rimane l'unica certezza in un mondo che va pericolosamente alla deriva.
Il problema non è tanto il pluralismo religioso, quanto piuttosto il nostro atteggiamento verso di esso. Se vince la paura di fronte alla diversità religiosa, allora saremo condotti inevitabilmente verso un imprigionamento all’interno della nostra comunità e verso pericolose assolutizzazioni. Ma se il pluralismo religioso fiorisce sul terreno di una più ampia considerazione di valore tra le religioni, allora si eviteranno tanto l’allontanamento dalla verità che il fanatismo della verità.
È tempo di insegnare ai nostri fedeli non solo a rimanere fedeli alla propria tradizione, ma anche a mantenere l'identità costitutiva, e, ancor di più, a essere aperti a chi è diverso e a nutrire rispetto per la religione dell'altro, prima di tutto proprio perché anche loro sono persone di religione. È tempo di insegnare ai nostri fedeli che l'assolutizzazione della specificità non costituisce una difesa della verità, ma una falsificazione della verità e uno scivolamento verso la nevrosi religiosa del senso di esclusività.
Questo è il messaggio che desidero trasmettervi dal Medio Oriente, dove da due millenni, tra l'incudine e il martello, sperimentiamo la fede nel Dio dell’Amore come speranza di risurrezione che dà un senso al dolore, di amore per l’uomo e di servizio, di lotta per la giustizia e per la pace.
Grazie.