Nell'idea di cultura del vivere insieme vi è sia un desiderio sia un impegno per realizzare un mondo di comprensione reciproca tra diversi gruppi umani. Tuttavia, questo obiettivo non è stato realizzato in passato data la diversità di stili di vita e di appartenenze lungo i diversi tipi di frontiere. Nel frattempo un nuovo mondo e una nuova immagine ha fatto irruzione nel nostro immaginario. E' la metafora del villaggio globale - l'immagine dominante nel nostro tempo - che caratterizza il mondo contemporaneo.
La metafora del villaggio globale riflette i progressi nelle comunicazioni e la consapevolezza della necessità di vivere insieme in un unico mondo; riflette un commercio a livello globale, un mercato a livello globale, per usare le parole di Marx, con le conseguenti distinzioni tra metropoli e periferie; riflette tutti i diversi tipi di scambi (inclusi gli stili di vita metropolitani). Quello che si intende per vivere insieme è il fatto che una serie di scambi economici, sociali e culturali tra le comunità, volente o nolente, ha ampliato le aree di identità trans-comunitaria, di empatia e diversi gradi di consapevolezza delle diversità globali.
L’attuale modello di coabitazione, esemplificato dalla pubblicità martellante della globalizzazione, offre poche convergenze. Viene chiesto a tutti di aspettare in una sala d’attesa temporale in attesa del giorno felice in cui tutto sarà riconciliato. Questa attenzione al futuro ignora l’esperienza effettiva delle persone qui e ora. Se dobbiamo muoverci dalla situazione contingente – in cui buona parte delle persone sono costrette a vivere – verso relazioni più armoniose, il presente deve essere reso più vivibile.
Paradossalmente, il bisogno di vivere insieme e l’emergere di relazioni di integrazione non hanno eroso le lealtà parrocchiali verso le comunità di appartenenza; anzi, il crescente riconoscimento dei caratteri distintivi delle comunità locali ha rafforzato ed esteso identità di sotto-gruppo, spaccature e rivendicazioni. Il regionalismo, la violenza etnica e razziale e il nazionalismo in Europa e Africa, il fondamentalismo religioso nel Medio Oriente e in Africa e la nascita di politiche identitarie in buona parte dell’Asia e delle Americhe esasperano le situazioni critiche in tutto il mondo.
Il crescente sospetto circa la natura omogeneizzante delle interdipendenze inter-comunitarie e la paura di essere inghiottiti in essa, hanno indubbiamente incoraggiato una primordiale presa di coscienza delle comunità locali, sub-nazionali e nazionali, poichè solo queste comunità vanno incontro al bisogno di identità e rassicurazione degli individui di fronte a influssi stranieri. Inoltre, non ci si può aspettare che le comunità che resistono alla penetrazione dell’autorità centrale del loro paese accolgano interventi anche positivi provenienti da influssi esterni che sono al di là della loro conoscenza ed esperienza. E’ un’altra questione il fatto che queste forze, sia favorevoli sia ostili ai loro interessi, incidano su di loro in questo mondo diventato più piccolo.
Ma questo restringimento del mondo provocato dalla storia deve servire come base per raggiungere nuovi livelli di integrazione, senza tener conto delle tradizioni e delle culture locali? Questi processi da macro a micro indeboliscono le comunità che sono costitutive degli esseri umani. Gli individui non esistono al di fuori o indipendentemente dalle comunità in cui crescono e vivono. Accelerare il ritmo dell’integrazione sulla base di una certa etica universalizzante, lontana dagli archetipi più profondi della comunità, non può favorire una duratura cultura della coabitazione.
La cultura del vivere insieme deve essere nutrita nelle comunità locali. Ci sono enormi ostacoli a questo. Le comunità locali in cui l’intero processo si colloca, sono caratterizzate da orientamenti interni e insularità che resistono le tendenze omogeneizzanti a livello macro. La generale spinta omogeneizzatrice ha messo in pericolo l’universo di molte comunità locali. Con la perdita dell’autonomia comunitaria e l’erosione di nuclei di fedeltà, queste comunità tendono alla frammentazione e non sono propense a scendere a compromessi con il sistema omogeneizzante. Questi valori devianti forse condivisi da buona parte delle comunità parziali, soprattutto del Terzo Mondo, si muovono in senso contrario ai valori che stanno dietro alle attuali idee di interdipendenza.
Quindi, diversi tentativi di integrazione sono naufragati, data l’introversione e le realtà di dura povertà che caratterizzano buona parte delle comunità del Terzo Mondo. Queste comunità non hanno né l’inclinazione per iniziare, né i mezzi per continuare, né la consapevolezza per incoraggiare una cultura del vivere insieme basata su principi di equità e legami naturali tra comunità. Ad oggi esse vedono questi tentativi come una sorta di dialettica che porta alla loro incapsulazione, che minaccia la loro autonomia o quello che ne resta.
Per ora abbiamo descritto scenari di interdipendenza globale, le direzioni che hanno preso e le resistenze che hanno fronteggiato. Ma c’è una qualche speranza che questa cultura del vivere insieme evolva? Io sono ottimista perché credo che, per quel che riguarda i valori centrali di umanità, la bontà e una giusta etica non siano appannaggio di nessuna civilizzazione e /o di nessuna fede tradizionale. Tutte le fedi tradizionali condividono alcuni valori fondamentali, come l’idea di “ama il tuo nemico”. Il discettare del vivere in pace con l’altro, proveniente da tradizioni culturali e fedi diverse, deriva dalla coscienza biologica dell’uomo e dalla sua esperienza sociale. In un certo senso, il mondo non è mai stato culturalmente isolato, ci sono sempre state interazioni e diffusione di idee, costumi e manufatti. I legami non escludevano la coesistenza di diversità. Le tradizioni native, con le loro distinte eredità spirituali, hanno ancora la forza di garantire autonomia culturale e di assumersi responsabilità a livello di tutta l’umanità.
Quindi, le diverse tradizioni di fede riconoscono il primato dell’autonomia dello sviluppo e del ricercare il significato della vita nel mondo di tutti i giorni. Queste visioni del mondo fondate sulla fede ritengono che gli esseri umani abbiano aspetti in comune con gli altri esseri umani, sebbene la loro manifestazione sia diversa caso per caso. Ciò comporta l’accettazione della multi-lateralità della realtà e l’evitare di imporre agli altri la propria comprensione della verità e della realtà.
Forse tutte le tradizioni di fede si concentrano sulla liberazione di sé non attraverso la conquista ma attraverso il raggiungimento dell’armonia con una rete sempre più ampia di relazioni, che richiede la trascendenza della concentrazione su di sé. L’armonia diventa in questa prospettiva non solo una personale aspirazione ma un obiettivo della società e un ideale universale. La società non è più la totalità omni-comprensiva di un’astrazione fittizia, ma una rete di coscienze estese. Il primato dell’individuo è riconosciuto ma la sua esistenza è considerata impossibile al di fuori della comunità.
Quindi, anche se viviamo in mondi incommensurabili, è possibile tradurre, anzi trascendere la loro incommensurabilità. In un certo senso abbiamo imparato a stabilire una continuità con altri esseri umani, comunità e gruppi, anche se imperfettamente. E cosa ci consente di superare questa imperfezione? Per me la chiave è il dialogo tra culture e fedi religiose.
L’idea di vivere insieme non si oppone all’idea di vivere separati. L’idea di vivere insieme è quella di vivere in dialogo tra culture e di sviluppare reciprocità tra diverse concezioni del mondo. Questo porta alla demistificazione dell’altro. L’idea di vincolo e di particolarità non esclude il rafforzamento della cultura di coabitazione tra diverse identità.
La prospettiva della coabitazione si fonda sull’interdipendenza degli esseri umani, la quale si fonda sull’empatia e la compassione che sono al centro delle nostre eredità spirituali. Per familiarizzarci con la diversità degli altri dobbiamo comprendere che concetti quali libertà e diritti hanno rilevanza intrinseca trasversalmente a molte culture, anche se non esattamente nel modo con cui l’occidente vorrebbe. Si sottolinea la necessità di rendere universali impegni sui valori di fondo, sebbene essi debbano manifestarsi dove la persona vive. In questa prospettiva moralità e socialità costituiscono una componente integrale dello sviluppo della persona e sono la base per relazioni armoniose con il mondo esterno, tra persone, società e natura. Se si deve sostenere e portare avanti questa cultura del vivere assieme, occorre fare appello alla variabilità e vitalità delle comunità locali, mantenendo al tempo stesso un elevato grado di fiducia in se stessi e di auto-determinazione. In altre parole quello di cui c’è bisogno è la legittimità della cultura della coabitazione, che è radicata nella moralità delle comunità locali sparse per il mondo. Ciò richiede, come Fouad Ajami ha osservato nel contesto della cultura globale e dell’Islam, camminare su una corda tesa evitando l’abisso dell’”egemonia culturale” e del “puro relativismo culturale”.