8 Settembre 2014 16:30 | Karel de Grote-Hogeschool, Campus Groenplaats, Aula Swaelen
L’arte e il lavoro per la pace
Gentili signori,
attualmente vediamo che nel corso di molti conflitti armati nel mondo anche i beni culturali vengono distrutti intenzionalmente con violenza. Ciò dimostra quanto la cultura e l’arte di un popolo siano considerati dall’aggressore un valore importante.
Non posso in questo contesto approfondire il tema dell’arte negli stati totalitari neppure quello della commercializzazione morbosa delle opere d’arte come fossero azioni quotate in borsa, oppure parlare delle conseguenze dell’arte come pura provocazione al servizio del sensazionalismo.
Mi sembra, inoltre, che nella nostra civiltà occidentale molte produzioni artistiche siano significative solo per un ristretto gruppo di persone, mentre rimangono estranee e incomprensibili per la maggior parte della gente. Ciò è un ulteriore problema.
In questa conferenza vorrei però sviluppare il mio tema “l’arte e il lavoro per la pace” partendo da una prospettiva diversa.
Nel XV secolo il filosofo e teologo Nicola Cusano creò un personaggio letterario che fino ad oggi viene menzionato in relazione alla creatività e all’arte: un artista è seduto sulla riva di un fiume, precisamente della Mosella, intento a scolpire un pezzo di legno per farne un bel cucchiaio. L’artista è felice, pieno di gioia, la sua opera è per lui come una preghiera. Mentre lavora si domanda se un simile cucchiaio già esiste nel mondo naturale: no, non esiste; il Creatore se ne è semplicemente dimenticato. Tuttavia, per fortuna, ora è SUO compito proseguire e completare l’opera creativa di Dio.
Lavorando continua a riflettere e si chiede se esistono altri cucchiai, simili o addirittura uguali al suo. La sua risposta è ancora no, poiché egli, come creatore di tale oggetto, è un individuo distinto da tutti gli altri scultori di cucchiai. Per questo motivo ogni cucchiaio è diverso. (al contrario di quello che avviene negli stati totalitari nei quali si apprezzano solo le realizzazioni stereotipe).
A questo punto l’artista si domanda: perché scolpisco proprio un cucchiaio? Lo devo vendere? No, lo sto facendo perché sono uno scultore e nel mio lavoro sono alla ricerca della bellezza. La mia opera ha un valore intrinseco.
Nei 550 anni, trascorsi dall’epoca del racconto, molti artisti e artiste si sono seduti sulla “riva di un fiume”. Avevano e hanno obiettivi diversi, utilizzano mezzi e tecniche differenti, tutti insieme lavorano alla realizzazione di un’enorme opera d’arte che abbraccia il mondo, che è cresciuta nel corso secoli. Tutto ciò in che modo interessa il lavoro per la pace?
Tre riflessioni sul tema “Arte e lavoro per la pace”:
1. Conflitti, paura, dolore, tristezza, stress, delusioni, odio …. il lungo elenco di tali carichi negativi appesantisce l’esistenza umana. Tuttavia esiste da sempre UN farmaco per la cura: l’espressione di questi sentimenti. La musica, la letteratura, la danza, la pittura, il teatro, la scultura, lo spettacolo, la fotografia, il cinema, le installazioni: in tutte le forme di espressione artistica agisce una forza catartica. Essa non crea solamente un’opera d’arte ma nello stesso tempo purifica l’animo umano. Questo compito benefico non è solo prerogativa dei grandi artisti, ogni essere umano può adempierlo quando contempla o si confronta con un’opera d’arte. Avendo un effetto salutare, l’attività artistica si è rivelata particolarmente benefica proprio con i disabili, gli anziani, i malati e tutte quelle persone che vivono ai margini della società. L’espressione individuale di un artista ci mostra quello che gli brucia dentro, ciò può essere una sua “ferita intima” oppure un problema mondiale o, ancora, la sua aspirazione al bello. La bellezza è un bene di Dio che in molte parti del mondo industrializzato viene facilmente dimenticata. Per questa ragione secondo me è pedagogicamente sbagliato aver ridotto o addirittura abolito nei nostri curricola scolastici le ore di musica a favore di discipline più utili per l’economia, così i bambini non vengono più educati alle possibilità dell’espressione artistica. Ogni volta che le persone dipingono, suonano, cantano, ballano …. in modo vigoroso e allegro si da un contributo al lavoro per la pace. Dove fioriscono queste opere d’arte non c’è aggressività.
Alcuni giorni fa ho letto il testo di Dostoevskij “Memorie dalla casa dei morti” nel quale racconta delle sue esperienze di condannato in un gulag siberiano. Nel mezzo di tutte le sofferenze che quelle centinaia di carcerati giornalmente dovevano subire brillava una luce. Per Natale quei criminali malridotti e indigenti potevano organizzare una rappresentazione teatrale. L’arte, questa fu la scoperta dello scrittore, aveva il potere di trasformare queste figure aggressive e minacciose in uomini totalmente diversi, migliori almeno per poco tempo. Questa esperienza incoraggerà lo scrittore anche nel corso delle sue successive produzioni.
2. Quando poco dopo la Seconda Guerra Mondiale un pittore della zona dell’Eifel in Germania ebbe l’dea di radunare tutti gli artisti e le artiste di quelle terre confinanti che fino a poco prima si erano combattute violentemente (allora ci si poteva incontrare solo in segreto) si svilupparono delle amicizie profonde lavorando insieme e organizzando numerose mostre. Nei loro dipinti e nelle loro sculture troviamo simboli della orribile vicenda della guerra per la cui narrazione mancavano le parole. La lingua pregnante dell’arte figurativa favorì una rinnovata sintonia. Questo è solo UN esempio di come artisti e artiste possano attraverso il loro genio (se mettono da parte le dispute faziose e la competitività) tralasciare le differenze e procedere sulla strada della solidarietà internazionale e della pace dando un esempio di impegno per la comprensione reciproca.
L’Associazione Europea degli Artisti Figurativi esiste ancora oggi, lavora per la pace.
3. L’arte può trascendere la realtà quotidiana. Attraverso di essa si incontrano l’immanente e il trascendente. Il pittore Paul Klee afferma che l’arte vuol rendere visibile l’invisibile, dare espressione ad una particolare realtà dell’essere che da unità alla nostra esistenza. Il mio motto è “ogni cosa ha il suo tempo” oppure dicendola con Joseph von Eichendorff “in ogni cosa dorme un canto”. L’arte può destare e far risuonare questo canto. Noi in questo senso ci immaginiamo un artista ideale, un maestro pieno di talento che non si sottrae mai al suo impegno di volgere lo sguardo al trascendente, allo spirito.
C’è, tuttavia, anche un altro tipo di artista, quello capace di creatività sociale, di fare un lavoro sociale. Joseph Beuys la chiama “scultura sociale”. Nella Comunità di Sant’Egidio avviene allo stesso modo: realmente si aiuta in maniera professionale (cure mediche, offerte o molto altro, aiuti che assicurano la sopravvivenza) ma questo realismo si accompagna a qualcosa di trascendente, direi a qualcosa di magico cioè all’amicizia.
Entrambi costituiscono l‘opera creativa per la pace! La pace, infatti, è una forma di vita che gli uomini devono desiderare e per la quale devono impegnarsi in maniera creativa. Penso a quella famosa citazione di uno scrittore russo “Bambini, giocate ai soldati. Non preferite giocare alla pace anziché alla guerra?” “Sì, certo, ma come si gioca alla pace?”.
Le mie tre riflessioni portano a questa conclusione: il lavoro artistico per la pace che parte dal basso costituisce nelle sue diverse espressioni un fondamento stabile. Completa efficacemente le preghiere, che sono indispensabili, e le iniziative politiche. Il nostro impegno per il futuro è far sviluppare tutto ciò.
– Permettetemi di aggiungere ancora un ultimo pensiero personale: l’arte apre il nostro (e anche il vostro) mondo reale al cielo. Da qui irradia una emozione tutta particolare, la gioia.
Quale emozione può essere migliore quale compagna della pace?