7 Settembre 2015 17:30 | Cattedrale della Resurrezione di Cristo (Cattedrale Ortodossa)
Intervento di John Olorunfemi Onaiyekan
1. Desidero trattare questo argomento dalla prospettiva della mutevolezza del rapporto tra politica e religione, con riferimento al nostro mondo globalizzato contemporaneo.
2. Questa è sempre stata una questione ricorrente da quando l’umanità ha iniziato a vivere in gruppi sociali, che hanno sempre provato ad organizzarsi in base al loro rapporto con Dio (religione) e con i loro vicini (politica).
3. La maggior parte delle volte, politica e religione sono strettamente collegate. Di conseguenza ogni nazione ha il suo Dio e la sua religione. Da questo punto di vista questo significa che ci sono tanti dei quante sono le nazioni. Ma all’interno di ogni nazione non c’era spazio per la diversità o il pluralismo religioso. Il dissenso religioso equivaleva al tradimento contro lo stato.
4. Questo è stato alla radice della lunga e sfortunata storia delle guerre e delle persecuzioni religiose, con conseguenti tragedie, dolori e sofferenze, tutti presumibilmente “nel nome di Dio”.
5. Solo di recente si è verificato un grande cambiamento, con il graduale riconoscimento dell’idea di libertà di religione, di pensiero e di coscienza. Questo ha fatto nascere il diritto al dissenso e l’accettazione delle differenze religiose. Benché ciò sia stato formalizzato nella dichiarazione dei diritti fondamentali dell’uomo, firmata e approvata da quasi tutte le nazioni della terra, la realtà è che questi diritti devono ancora essere completamente rispettati e applicati. Molte nazioni rispettano queste dichiarazioni solo a parole, interpretandole in un modo che praticamente le smentisce.
Esempi noti sono quei paesi che ancora mettono in pratica quelle che vengono chiamate “leggi sulla blasfemia”, che semplicemente negano la libertà di pensiero e di espressione. In modo simile alcune nazioni proibiscono per legge di poter cambiare religione, negando in questo modo la libertà di coscienza. Dire che stanno rispettando la legge di Dio, che ha precedenza sulla legge dell’uomo, è un modo per evitare l’argomento.
6. Tutto questo è stato notevolmente esacerbato dal processo scatenato della globalizzazione, che ha trasformato l’intero pianeta terra in un unico villaggio. Adesso dobbiamo vivere con il fenomeno del pluralismo delle religioni, non solo a livello globale tra le nazioni, ma anche all’interno di ciascuna nazione. Per molti, questo richiede un grande sforzo per riadattare il proprio modo di pensare e le proprie convinzioni religiose. Nessuna nazione può oggi realisticamente affermare che tutti i suoi membri appartengono ad una singola religione.
Nemmeno l’Arabia Saudita. Va detto che questo problema riguarda principalmente quelle nazioni che si definiscono “islamiche”. Potrebbe essere necessario per loro rivedere la loro costituzione nazionale per mettersi al passo con il resto del mondo.
7. Adesso dobbiamo elaborare un modello di nazione con molte fedi. Questo può essere fatto, e già viene fatto, da molte nazioni. Ciò richiede di dare la dovuta priorità a una cittadinanza comune, che formi la base per garantire i diritti umani fondamentali di ogni cittadino, sotto un’unica legge. E’ questione di UNA NAZIONE, UNA CITTADINANZA E UNA LEGGE.
8. Ciò non richiede necessariamente una netta separazione dello stato dalla religione, il quale forse la tratta con benevola indifferenza. Ancora meno si può giustificare la repressione della religione da parte dello stato. Piuttosto, lo stato potrebbe essere coinvolto nelle seguenti tematiche:
- Proteggere i diritti di tutti i gruppi religiosi. Proteggerli contro qualsiasi discriminazione basata sulla fede.
- Sostenere i progetti sociali e talvolta anche i programmi religiosi dei gruppi religiosi. Ma quando questo avviene, deve essere fatto in modo giusto ed equo, per evitare litigi e gelosie tra i gruppi.
- Controllare l’uso della libertà di religione, entro limiti generalmente concordati di comportamento civile, per il bene comune della società.
9. Quando lo stato tratta i gruppi religiosi con giustizia ed equità, è un bene per tutte le parti coinvolte. I gruppi religiosi godrebbero della loro dovuta autonomia e libertà; lo stato troverebbe nei gruppi religiosi validi partner al servizio della gente. Nascerebbe un buon rapporto tra i gruppi religiosi, facilitando l’azione comune al servizio della comunità. È allora che la religione potrà svolgere tutto il suo ruolo per costruire la pace nella comunità più ampia.