Françoise Rivière
Vicedirettore generale per la Cultura dell’UNESCO
Ricerca spirituale e crisi economica
E’molto difficile per gli economisti discernere ciò che si intende quando si lancia la parola «crisi economica» . E’ senza dubbio ancora più delicato per le autorità morali riconosciute dire in che senso noi vivremo una crisi spirituale. Di quale economia parliamo? Di quale spiritualità manchiamo? Porre queste domande è sufficiente per scartare tutte le intenzioni di pronunciarsi su queste materie, che hanno a che fare più con la retorica che con l'analisi.
Contrariamente a Sant’Agostino, che confessava di sapere molto bene cosa fosse Dio, ma si trovava a corto di argomenti quando si trattava di spiegarlo, gli argomenti a proposito della crisi economica come di quella spirituale sovrabbondano ma non sappiamo affatto cosa sia.
Invece di affrontare ciascuna di queste due nozioni, è forse saggio esaminare ciò che succede veramente.
Il dato di base è che andiamo verso un mondo unificato di circa otto miliardi di persone (nove attorno al 2050), che vengono da storie, culture, costumi molto diversi gli uni dagli altri, e che il movimento della mondializzazione li integra assai rapidamente in una appartenenza comune.
Questo processo iniziato da tempo, ma che prende sotto i nostri occhi una accelerazione percettibile mentre si generalizza a tutti gli aspetti della vita, comporta necessariamente delle tensioni, delle rotture che vanno individuate, gestite, e ridotte se possibile.
Ciò che colpisce in questo processo, sono alcuni sistemi stabiliti su una scala locale anche se alcuni di loro si erano adattati a dimensioni mondiali. Così per le culture egemoniche, come lo mostra ad esempio la diffusione dell'abbigliamento occidentale del XX secolo, di certe religioni, divenute veramente mondiali, di certe forme di organizzazione, come il sistema bancario costruito nel medioevo lombardo… Anche se la mondializzazione di questi sistemi è stata ampia, essa va letta come la generalizzazione riuscita di ciò che era una particolarità. Essa resta anche vulnerabile alla critica secondo la quale non è veramente universale nella sua essenza.
La riorganizzazione delle strutture del funzionamento di tutte le società, secondo questa trasformazione globale –la mondializzazione- che sono alla base di tutte le evoluzioni del nostro tempo, si manifesta attraverso delle inflessioni che noi interpretiamo spontaneamente, dall'interno di sistemi limitati che ci erano familiari, come anche dalle crisi. E sono veramente crisi, poiché esse perturbano il funzionamento attuale dei sistemi dei quali annunciano la scadenza imminente a vantaggio di sistemi di altro genere, ancora inimmaginabili. Ritorniamo all'etimologia della parola crisi: è un setaccio che lascia passare qualche cosa, ma ne trattiene una parte e implica quindi alcuni cambiamenti, tra i quali alcuni sono promettenti o in ogni caso necessari. La crisi non è una cosa cattiva in sé. È un «male necessario». Applicato al nostro tema, questo ragionamento fa sì che la crisi non è quella di questo o quel sistema particolare, bensì essa è il segno in questi sistemi di una mutazione assai più ampia che si sta compiendo in modo positivo, e verso la quale conviene volgere le nostre menti.
Questa mutazione, per semplificare, è quella dell'accesso all'unità del genere umano attraverso una presa di coscienza della sua diversità. Se i magisteri spirituali e sistemi economici hanno qualcosa in comune, forse è nell'avere difficoltà con questa nozione della diversità. Gli economisti che sostengono che l'obiettivo finale sia assicurare i grandi equilibri e ottenere l'optimum per il mercato, e i religiosi che considerano l'elevazione spirituale il vero scopo dell'esistenza, hanno forse ragione, ma la sfida immediata è altrove.
Il mondo fragile che noi condividiamo ha assolutamente bisogno di concordia per inventare i cammini della sua evoluzione durevole. Ogni spreco di energia provocata dalla discordia restringe sempre di più lo spazio all'interno del quale dovremmo comunque vivere insieme. L'interesse di ciascuno passa ormai per quello di tutti.
Per questo, bisogna che tutti riconoscano che il cammino dell' unità passa per la diversità. In altre parole, bisogna che la sfida sia la diversità stessa poiché essa ha l' effetto meccanico di educare a considerare l'altro come un somigliante differente, e non come uno estraneo in contrapposizione.
Questa sfida non è spirituale, né economica, ma puramente pratica, dettata dal numero di uomini e dalla limitatezza del loro spazio di vita. Ma essa propone una risposta alle sofferenze spirituali ed economiche che provocano la grande mutazione in corso.
In effetti, coltivare la diversità come una sfida decisiva equivale ad affermare la dignità dell'uomo, che per natura è diverso, ciò lo colloca al principio della diversità intesa come varietà, e che è per cultura in grado di accedere a diversi modi di vedere, ciò che di nuovo lo pone alla radice della diversità, compresa come attitudine alla pluralità.
Anche il semplice fatto di mettere la diversità in primo piano nel progetto umano dona un nuovo punto d'appoggio sia alla spiritualità che all'economia.
Le diversità umana appare come il principio imprescindibile di costruzione della globalità del destino che ci è divenuto necessario per sopravvivere.
La crisi economica recente non è altro che una controprova di questa massima: essa è nata dall' univocità della monocoltura bancaria, cioè nella dimenticanza della diversità di interessi, di valori, di registri di azione, al profitto della sola ottimizzazione finanziaria presa come fine a se stessa. Abbiamo visto il risultato: una catastrofe mondiale evitata con precisione grazie all'entrata in scena appunto di quei rappresentanti della pluralità, della diversità, che sapevano esser i politici.
La crisi spirituale, per quanto l'espressione corrisponda alla realtà della recente crisi finanziaria, viene forse, anch’essa, da una mancanza di ecumenismo delle diverse confessioni, abituate ciascuna a coltivare una spiritualità di un certo stile, e indebolite dall'irruzione dei modi di esser, di vedere, di pensare, che mal si accordano. Di nuovo, ragionare in termini di diversità può aiutare: la crisi della spiritualità non può che pensarsi in rapporto ad un livello precedente che si suppone migliore di alcune spiritualità, ma dal punto di vista di tutto il mondo, si può al contrario pensare che l'obbligo fondamentale di frequentare il proprio prossimo e di amarlo come se stesso renderà fertile il rinnovamento spirituale.
Non dobbiamo affatto ragionare come se non sapessimo quale rinnovamento spirituale sta per equilibrare le tribolazioni dell’economia e raddrizzare il timone.
Noi viviamo in un mondo in mutazione, che per la prima volta fa l’esperienza dell’unità del genere umano. Questo si interpreta sul modello della crisi. Ma è molto più fecondo, e ben più urgente, preoccuparsi delle condizioni necessarie affinché questo genere umano in corso di consolidamento viva in quanto umanità, umanità unica .
Queste condizioni sono conosciute: giustizia, libertà, pace sono i predicati di una medesima idea, cioè “l’ideale democratico di dignità, di uguaglianza, e di rispetto della persona umana’’. E’questo che costituisce la ragione d’essere dell’UNESCO. Questo ideale si basa sulla diversità inerente ad un genere umano riconosciuto unico, sulla complementarietà della natura tra individuo e umanità, e come tale, offre un fondamento, sia allo sviluppo economico armonioso che ad un’armonia morale dove tutte le spiritualità possano trovare la pace dell’anima.
In queste condizioni perché non liberarsi dal concetto di crisi, che non ha senso se non in rapporto a alcune realtà in corso di superamento, e scegliere audacemente per una speranza, e anche per una strategia di rinnovamento? Notoriamente il mondo è maturo, grazie alla prova sia della crisi economica sia delle turbolenze o vacuità spirituali, per accogliere una proposta che dorme in se stessa dalla notte dei tempi, ma di cui il momento dinamico è venuto, cioè di sapere andare all’essenziale, che è la responsabilità collettiva del genere umano verso la vita nell’universo.
Questa proposta si basa sul riconoscimento fondante della diversità e ha come orizzonte la visione lucida dell’unità di destini su un pianeta ormai chiuso dappertutto su se stesso. Essa consiste nel cercare nella diversità culturale lo spazio di differenzazione a lungo cercato nella sola superiorità economica, ed a farlo su un modello equo, mutualmente rispettoso, laddove la concorrenza economica si poggiava sull’ineguaglianza. Essa consiste nel passare dalla competizione tra culture, società, interessi al comune rispetto verso la responsabilità condivisa, sia verso la dignità umana, insita in ciascun essere umano, sia verso la conservazione premurosa delle condizioni di vita sulla terra.
Questa è la sfida che i presenta a noi oggi. La crisi economica la favorisce nella misura in cui essa ha fatto sentire allo stesso tempo il rischio corso collettivamente, a livello mondiale, e l’unità di appartenenza, ma essa la sfavorisce non appena attizza la tentazione di risoluzioni immediate di corta veduta.
La crisi spirituale può aiutare ad aprire gli spiriti verso nuove speranze, ma essa può portare terribili involuzioni qualora favorisca il ritorno a fondamentalismi medievali portatori di deliri mimetici carichi d’odio tra idealismi concorrenti.
Limitarsi a queste due considerazioni fa tra l’altro dimenticare un terzo aspetto ancora più grave, che è la perdita di punti di riferimento, l’anonimato, la coscienza fluttuante di moltitudini che non hanno altro come guida se non il riflesso compiaciuto della loro stessa futilità nel bagno mediatico che nutre i loro cervelli e alimenta la loro propensione al consumo.
E’contro questa bestialità economica, spirituale violenta o rampante, che è urgente proclamare “l’ideale democratico di dignità, uguaglianza, e di rispetto della persona umana’’, con tutte le sue conseguenze. Allora e solo allora, la profezia di un vecchio Direttore generale dell’UNESCO avrà qualche possibilità di realizzarsi e “la civilizzazione dell’ universale’’ avrà qualche possibilità di costruirsi sul fondamento della diversità tra culture.