Il titolo di questa tavola rotonda mi sembra particolarmente appropriato. Sì, la guerra in Ucraina, alle porte dell’Unione Europea, è una sfida per questa Unione, nata dagli orrori della seconda guerra mondiale e dalla volontà di alcuni uomini di buona volontà di andare verso la riconciliazione, la pace e la costruzione di un avvenire comune. Questa Europa si trova a confrontarsi con una guerra crudele, così vicina, provocata dal presidente russo, Vladimir Putin, che rifiuta i suoi stili di vita, i suoi principi democratici e li vede come una minaccia. L'UE è un progetto di pace, riaffermato dopo la caduta del Muro di Berlino: si sperava di poter finalmente godere dei dividendi della pace. L'Europa si è quindi concentrata sul suo potenziale economico, sul mercato che rappresenta. La guerra in Ucraina è un crudele richiamo all’ordine, un invito a essere più lucidi sugli sviluppi mondiali.
È vero che questa Europa non ha mantenuto tutte le sue promesse: non è stata in grado di mantenere viva la fiamma dei suoi inizi tra le nuove generazioni (fatta eccezione forse per coloro che sono vicini ai suoi confini e più consapevoli della loro fragilità). L'argomentazione della pace non era più sufficientemente convincente, almeno tra i giovani francesi, tanto i conflitti sembravano lontani - e questo nonostante l'irruzione del terrorismo e della sua violenza. La sicurezza che cercavano non era contro un potenziale nemico, ma per una maggiore giustizia sociale, per la lotta alla disuguaglianza, per il benessere materiale, per una maggiore considerazione della crisi climatica. Alcuni nei nostri Paesi sono stati persino tentati di rifiutare il progetto europeo, di indirizzarsi a politiche populiste e nazionaliste. Inoltre, abbiamo assistito a fratture tra i Paesi dell'Est e dell'Ovest, incomprensioni reciproche, obiettivi diversi di fronte a sfide quali la questione dell'immigrazione o l'evoluzione dei costumi.
Le pesanti conseguenze della guerra
Conseguenze tragiche innanzitutto per gli ucraini, per gli uomini, le donne e i bambini, e per il loro territorio devastato. Ci sono crimini di guerra e la necessità di documentarli e condannarli. Ma conseguenze pesanti anche per la Russia.
Chi sarà il vincitore? Non c'è mai una vera vittoria (come abbiamo visto con tutti i conflitti in cui si sono imbarcate le grandi potenze, gli Stati Uniti in Iraq o in Afghanistan o anche le operazioni esterne della Francia in Africa, in Mali...). E se c'è una sconfitta, i popoli e i loro leader, umiliati, vivono nel desiderio di rivalsa. Se la fine di una guerra non si accompagna ad una soluzione politica giusta e praticabile, è difficile sapere cosa emergerà da questo caos.
Anche se la crisi energetica ci costringe ad adottare comportamenti economici assolutamente necessari e in definitiva virtuosi per il pianeta, nell'immediato si verifica il ritorno alle centrali a carbone, il rilancio del nucleare... E sul territorio devastato dalla guerra, un danno ambientale notevole.
Il rafforzamento dell’impegno militare, necessario per aiutare l'Ucraina, è un punto di svolta. Gli stanziamenti aumentano ovunque: + 23% per il bilancio francese, il sesto più grande del mondo, in 5 anni, per raggiungere il 2% del PIL. Gli orientamenti strategici non sono sempre chiari e rispondono alle pressioni delle autorità militari che chiedono mezzi e dei produttori/venditori di armi. In questa guerra, ci misuriamo di nuovo anche con la minaccia delle armi nucleari. La dottrina della deterrenza, difesa durante la Guerra Fredda, non è più sufficiente; esistono armi nucleari di minore intensità ma terribilmente pericolose, così come terribili armi chimiche. Anche questa è una sfida per la Francia, unico Paese dell'Unione (ed insieme alla Gran Bretagna nell’Europa tutta) a possedere quest'arma nucleare. Ma altri Paesi sono sotto l'ombrello della NATO e ospitano queste armi sul loro territorio. In futuro, converrebbe meglio discernere le aspettative dei Paesi più vicini alla Russia e dei cosiddetti Paesi "neutrali" (Austria, Malta, Cipro, Irlanda, ecc.).
Qual è lo stato dei vari trattati di riduzione degli armamenti convenzionali, chimiche e nucleari? Difficile che queste domande trovino ascolto in un momento in cui si vuole aiutare un popolo minacciato nella sua sovranità, tuttavia, questa riflessione non deve fermarsi. Al contrario, quello che gli ucraini stanno vivendo così vicino a noi dovrebbe indurci a pensare che la guerra non è mai la soluzione e che bisogna fare di tutto per evitarla.
Il contesto bellico sarà in grado di imprimere un nuovo slancio all'Unione?
Sì, sono successe cose positive dall'inizio della guerra (come d'altronde in occasione della pandemia): abbastanza rapidamente, l'Unione si è riunita per decidere le sanzioni economiche contro la Russia, l'accoglienza dei rifugiati, il sostegno militare all'Ucraina, la distribuzione delle risorse di gas (anche se in Francia, per esempio, si è sentita qualche voce che deplorava il fatto che stessimo condividendo le nostre riserve quando c'era il rischio di penuria!). E questo non è stato solo affare dei politici: l'accoglienza dei rifugiati ucraini è avvenuta molto rapidamente e in condizioni ragguardevoli; alcuni Stati, come i Paesi confinanti con l'Ucraina o la Germania, si sono particolarmente mobilitati.
La difesa e la diplomazia sono certamente prerogative nazionali, ma possiamo andare verso una diplomazia europea, verso una difesa europea? Dal 1990, l'UE ha aumentato i suoi poteri in questi settori. La crisi attuale dovrebbe renderci meno concentrati su noi stessi e sui nostri interessi, più attenti ai Paesi vicini alla Russia e all'appello degli Stati che desiderano entrare nell'Unione? L'allargamento, come sappiamo, non è facile e può richiedere del tempo, troppo per i paesi richiedenti...
È assolutamente necessario che l'Europa parli con una voce assertiva e distinta, anche rispetto a quella degli Stati Uniti; la promessa dello scudo NATO non deve portare a soffocare le differenze di approccio. Anche se si sentono sfumature nelle posizioni europee: le parole di Papa Francesco a favore di una soluzione diplomatica non sempre sono state comprese, né gli scambi telefonici del presidente francese con Vladimir Putin. Le differenze non devono spaventarci, dobbiamo imparare ad affrontarle, a discuterle per raggiungere un consenso.
Cosa ne pensano i cittadini europei? Lo scorso giugno, il think tank European Council on Foreign Relations (ECFR) ha condotto un sondaggio su 8.000 cittadini di nove Paesi dell'UE e del Regno Unito: le risposte si sono ripartite fra coloro, il 35% del panel, che volevano cercare una rapida soluzione diplomatica anche a costo di accettare concessioni (in particolare in Germania e in Italia), coloro che non volevano cedere su nulla (fra cui, non a caso, i polacchi) e coloro che oscillavano fra le due posizioni ma erano preoccupati per gli effetti della guerra sul loro Paese (energia, inflazione, ecc.). Alcuni rimproverano al loro governo di fare troppo a favore degli ucraini. "La tenuta delle democrazie europee dipenderà dalla capacità dei governi di mantenere il sostegno dell'opinione pubblica per misure potenzialmente costose", affermano gli autori dell'indagine. A lungo termine.
Questa voce particolare, distintiva dell'Europa deve promuovere l'idea del multilateralismo, che ha sofferto molto a causa della presidenza Trump negli Stati Uniti e dei blocchi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ciò solleva una questione particolare per la Francia: dovremmo orientarci verso un seggio europeo nel Consiglio di Sicurezza? Il presidente francese ha detto che le regole devono cambiare, ma si è guardato dall'arrivare a tanto. Il nostro mondo si sta frammentando, la guerra si fa "a pezzi", come dice Papa Francesco, e a volte per "procura" in aree dove le grandi potenze non vanno, ma dove comunque giocano un ruolo importante; si affermano potenze autoritarie in Russia, Cina, Iran... I valori della democrazia o i diritti umani vengono calpestati. In questo mondo, più che mai, c'è bisogno di "un'autorità pubblica di competenza universale", secondo le parole di Papa Giovanni XXIII (Pacem in terris, 1963). L'Europa deve contribuire a questo obiettivo.
Ma perché la sua voce sia ascoltata, perché sia credibile, deve incarnare i valori che difende ed esserne degna. Questi valori sono nati in ambiente cristiano; oggi invece l'Europa è in gran parte multiculturale e questo deve essere il suo messaggio attuale: è possibile, nonostante le differenze di cultura, pensiero, religione e spiritualità, vivere insieme in pace, "tutti fratelli".