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José Manuel de Sousa Rodrigues

Presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione Autonoma di Madeira, Portogallo
 biografia
Ringrazio per il gentile invito della Comunità di Sant’Egidio a partecipare a questo Incontro Internazionale per la Pace che, in questi tempi turbati ed incerti, costituisce un’opportunità perché riflettiamo sullo stato delle Democrazie e comprendiamo come possiamo rafforzarle e metterle al servizio della riconciliazione e della concordia tra i popoli. 
Vengo dall’isola di Madeira, la prima terra tra quelle scoperte dai Portoghesi, dove, dal XVI secolo, si incrociano persone, culture e civiltà, giacché è stata la prima Diocesi del Nuovo Mondo, che si estendeva da Funchal sino all’India, una terra di Missione e, oggi, una meta turistica, dove si conosce bene il significato dell’incontro e della comunione di culture.
Saluto tutti i partecipanti a quest’Incontro, provenienti da diversi contesti politici, e i rappresentanti delle diverse religioni che qui onorano il senso della Vita e le virtù della Pace e dell’Amicizia fra gli Uomini.
Esattamente oggi, fanno 22 anni dal momento in cui il cuore di New York fu violentemente colpito da attacchi suicidi che provocarono migliaia di morti e misero il mondo in allarme, davanti ad un attacco terrorista di quella dimensione. 
Compio questa triste evocazione perché ritengo che uno dei problemi delle nostre società stia nel non curare la c.d. “Cultura della Memoria” e nel non imparare dagli errori commessi, evitando conflitti e guerre come quella che oggi torna a distruggere l’Ucraina. 
Ed oltre a non preservare la memoria, sembra che ci si diriga verso la scomparsa dell’indignazione. 
Al contrario, si corre il serio rischio di banalizzare la violenza, di normalizzare la guerra, guardando alla sofferenza ed alla morte, oggi nel cuore dell’Europa, come se fosse una fiction cui, ogni giorno, si aggiungono nuovi episodi. 
La sola guerra che ci deve mobilitare sulla linea del fronte, come soldati scelti, è la guerra contro la povertà e l’ingiustizia e per la Libertà e la Democrazia. Questa dev’essere la guerra cui tutti si devono presentare come volontari. Questa è una guerra che chiama tutti e che umanizza tutti. Questa è una guerra per la civiltà [civilizzatrice]. 
Questa città di Berlino, che ci ospita, conosce bene, attraverso diversi momenti della sua lunga Storia, la barbarie delle tirannie, gli orrori delle guerre e le loro conseguenze sulle libertà e sulla divisione tra i cittadini. 
 
Gentili Signore e Signori
Venendo al problema che ci chiama a questo forum, è indiscutibile che la strada migliore verso la Pace è che ci battiamo per l’applicazione dei Diritti Umani, senza transigere, portando a compimento i Diritti e i Doveri dei cittadini, cioè garantire che lo Stato di Diritto è per tutti, che nessuno è al di sopra della legge e che per tutti c’è uguaglianza di opportunità nelle proprie comunità. 
Orbene, non c’è Stato di Diritto se non esiste una Democrazia autentica e in salute. 
Quando, dopo la caduta del muro che divideva questa città, lacerava una Nazione e separava un popolo, emerse dalla fine del totalitarismo sovietico, in Europa centrale ed orientale, un gruppo di paesi indipendenti, poggiante sui valori della Libertà, sorse una consistente Speranza che la fine della Guerra Fredda avrebbe costituito non solo la fine di un potenziale conflitto nucleare, ma anche l’inizio di una globalizzazione della democrazia, in tutti i continenti. 
Questo era il nostro auspicio, ma la realtà non è stata così. 
Purtroppo, gli ultimi studi sulla Democrazia nel Mondo attestano che questa forma politica regredisce e che, ogni anno che passa, ci sono [nuove] dittature che si sostituiscono agli Stati di Diritto, un po’ in tutto il Mondo. 
Per ogni Stato che avanza in direzione della Democrazia, ce ne sono due che si indirizzano verso l’autoritarismo e questo è il peggior risultato dell’ultimo decennio, secondo il rapporto dell’Istituto Internazionale per la Democrazia e l’Assistenza Elettorale (International IDEA). 
Ora, noi tutti sappiamo che le dittature e le cosiddette “democrazie muscolari” potenziano tensioni, odi e violenze, che generano repressioni, conflitti e guerre. 
È vero che alcune Nazioni democratiche hanno dato il via ad interventi militari, alcuni giustificati, per evitare mali maggiori, altri perfettamente illegittimi, cioè in violazione delle regole del Diritto Internazionale, ma la verità è che i grandi conflitti della Storia e della nostra epoca sono stati scatenati da tiranni e da regimi totalitari. 
Nonostante ci troviamo in un tempo in cui abbiamo più domande che risposte, è il caso di analizzare le ragioni per le quali le Democrazie sono malate e in crisi e perché molte di esse soccombono ai populismi e agli estremismi. 
Ovviamente, i rischi e le minacce per le Democrazie variano da continente a continente e da paese a paese, ma esistono cause comuni a tutte e che hanno a che fare con la crisi delle istituzioni dello Stato e il discredito dei suoi poteri, cioè il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario, e con l’allontanamento dei cittadini dalla partecipazione alla vita politica, che trova la sua espressione più significativa nei crescenti livelli di astensione alle elezioni. 
Si conoscono le conseguenze di questa erosione della democrazia: la distanza tra eletti ed elettori; il discredito dei risultati elettorali; la corruzione e la mancanza di trasparenza nell’attività di governo e la disillusione dei giovani verso la politica. 
Il risultato è la crescita degli estremismi, cui danno corpo i partiti populisti, o il farsi assorbire in movimenti disorganici che mettono in causa la stabilità dei regimi e la pace sociale. 
Quel che è accaduto negli Stati Uniti e in Brasile, democrazie che ritenevamo stabilizzate; la crescita e l’ascesa al potere di partiti estremisti in Europa, impensabile dopo quello che è accaduto nella Seconda Guerra Mondiale, devono essere motivo di profonda riflessione da parte di tutti coloro che lavorano per la res publica, ma devono soprattutto muovere all’azione. 
A questo proposito, ritengo cruciale un ritorno all’istituzionalismo, rafforzando e restituendo dignità agli organi giudiziari, esecutivi e legislativi, nel pieno rispetto della separazione dei poteri, ma cooperando istituzionalmente per il rafforzamento dello Stato di Diritto. 
Il clima di sospetto che imperversa nelle nostre società, alimentato da violazioni del segreto nel corso dei procedimenti giudiziari e dal regolamento di conti tra politica e giustizia, corrode la fiducia della società nei propri dirigenti e mette in discussione la Democrazia. 
La subordinazione dei poteri finanziario ed economico al potere politico dev’essere accresciuta, naturalmente senza mettere a rischio la [loro] auspicabile collaborazione a beneficio della crescita e dello sviluppo delle comunità. 
Il Bene Comune dev’essere anteposto a qualsiasi interesse privato. 
I Parlamenti devono essere più vicini ai cittadini e gli eletti agli elettori, rafforzando i meccanismi di partecipazione dei cittadini ai procedimenti legislativi ed anche ai processi decisionali, affinché le persone non provino la sensazione che la Democrazia si riduce al rituale delle elezioni e che la loro parola, tramite il voto, conta solo negli atti elettorali, di solito ogni quattro anni. 
I referendum vincolanti, su questioni molto concrete della vita delle comunità, devono essere una prassi e non un’eccezione, in un salutare esercizio di democrazia partecipativa. 
Le cariche di governo, ai diversi livelli dell’amministrazione, devono essere sottoposte a un limite di mandato, perché non si realizzi un’occupazione permanente del potere e si rinnovino e ringiovaniscano [i titolari delle] cariche di governo. 
Gli organi di controllo, come le Corti dei Conti, devono esser visti come organi essenziali per il buon governo e per una gestione rigorosa dei fondi pubblici, non considerati come ostacoli per le opportune decisioni esecutive e per la celerità nell’esecuzione delle politiche pubbliche. 
Abbiamo bisogno di rafforzare i freni e i contrappesi delle nostre Democrazie e, a questo proposito, bisogna recuperare il ruolo essenziale degli strumenti di comunicazione sociale di riferimento, il cui potere e la cui [capacità di] intervento sono stati gravemente ridotti dalla comparsa dei social network, affinché possiamo rafforzare un’informazione veritiera ed imparziale che contribuisca a formare cittadini preparati. 
Si deve effettuare la regolamentazione dell’informazione – o della disinformazione – che circola su internet e nei social network, altrimenti, in nome delle libertà individuali, finiremo per sopprimere la Libertà e la Democrazia. 
Il funzionamento del regime democratico e del sistema politico e i Diritti, la Libertà e le garanzie dei Cittadini devono costituire una preoccupazione permanente ed essere presenti nei programmi dei vari cicli del sistema educativo. 
L’Educazione alla Cittadinanza Attiva dev’essere prioritaria nelle nostre scuole e la partecipazione politica dev’essere vista come un diritto irrinunciabile ed un dovere nei confronti della comunità tutta. 
Le istituzioni democratiche devono colmare lo sfasamento oggi esistente tra la loro agenda e quelle che devono essere le nuove Cause di mobilitazione dei giovani, come, ad esempio, l’Ambiente, i Cambiamenti Climatici, il Patrimonio [culturale e ambientale], la Transizione Digitale, la Decarbonizzazione dell’Economia, il Volontariato, la Cultura e i Diritti Umani. 
La Democrazia è un regime imperfetto, ma esiste una certezza indiscutibile: i paesi coi migliori indici di sviluppo sono regimi pluralistici e con libere elezioni. 
E inoltre, non possiamo mai dimenticare che è facile essere difensori di una dittatura in un paese democratico; quel che è difficile, è essere democratici in un paese che vive sotto una dittatura. 
Questa è la realtà che fa tutta la differenza in molti dei nostri paesi e nelle nostre vite. 
 
Gentili Signore e Signori,
Su un altro piano, ritengo cruciale una riforma delle organizzazioni internazionali, in particolare quelle che hanno la missione di mantenere e consolidare la Pace. 
È il caso [dell’organizzazione] delle Nazioni Unite, che è venuta perdendo forza e potere nella gestione dei conflitti e nei negoziati che conducono alla Pace o alla guerra, poiché, in molte occasioni, si trova ad essere limitata dal potere di cui godono alcuni dei suoi Stati Membri. Ciò che resta nell’opinione pubblica è l’impressione che solo le cosiddette super-potenze siano in grado di mettersi a un tavolo e trovare un accordo sulle grandi questioni mondiali. 
Il mio concittadino António Guterres ha un bel richiamare alla ragione le Nazioni, in favore della concordia, della concertazione e dell’azione comune verso una Pace ed uno Sviluppo sostenibili: è sempre una voce che grida nel deserto, giacché l’impressione che ci rimane, e di cui è esempio il Consiglio di Sicurezza, è che gli interessi dei singoli paesi si impongano sull’interesse della comunità. 
La riforma dell’ONU e, in particolare, del funzionamento del Consiglio di Sicurezza, è indifferibile, se vogliamo un mondo più giusto e più fraterno per tutti! 
Su questo piano, è importante anche che l’Unione Europea adotti, una volta per tutte, una politica comune in tema di migrazioni, anziché continuare a scaricare il problema da un paese all’altro, a scapito della vita di migliaia di rifugiati che muoiono in mare. 
Queste persone vogliono solo un’opportunità per migliorare la propria vita e devono avere gli stessi Diritti e gli stessi Doveri dei cittadini dei paesi di accoglienza. 
Ancora in quest’ambito, ritengo molto importante che i programmi di cooperazione coi paesi più poveri e con quelli in via di sviluppo garantiscano finanziamenti destinati al rafforzamento dei pilastri dello Stato di Diritto, giacché quest’ultimo è una condizione per combattere le cause di molti conflitti che trovano origine nella debolezza delle istituzioni pubbliche, nella fame e nella povertà, nella crisi climatica, nei traffici di esseri umani, di minerali, di droga e di armi, nel terrorismo e nelle persecuzioni etniche, politiche e religiose. 
I cosiddetti “Stati falliti” sono terreno propizio per le maggiori atrocità e le più grandi disumanità, per il dilagare di fanatismi di ogni specie, compreso quello religioso. 
Per questo è decisivo il dialogo tra culture e tra religioni. 
Quanto più estesa sarà la loro reciproca conoscenza, quanto maggiore sarà la loro interrelazione, tanto maggiore sarà la probabilità che esse trovino punti in comune e lavorino insieme per la riconciliazione e la Pace. 
Le religioni, tutti gli uomini di buona volontà, devono costruire ponti anziché muri; edificare l’unità e non l’ostilità; promuovere l’incontro anziché il rifiuto; erigere la speranza e non il conformismo. 
Non esistono guerre sante e non possiamo permettere che si usino la fede e il nome di Dio per praticare e giustificare la violenza e il terrore. 
Dio è Pace e quel che ci viene chiesto, come proclamava Paolo VI, è di coltivare la Pace, che deve cominciare in ciascuno di noi, nel nostro cuore, perché, partendo da lì, riusciremo a portarla all’altro, alla nostra famiglia, al nostro paese e al Mondo. 
Per questo è cruciale offrire una Educazione alla Pace alle nuove generazioni, che le educhi al rispetto dei Diritti Umani – la cui Dichiarazione ha compiuto ora 75 anni – e che le renda protagoniste della fraternità, della riconciliazione, della cura della Creazione; e che le faccia diventare attrici del Dialogo Politico, del Dialogo Interreligioso ed Interculturale, condizioni essenziali perché la giustizia non sia un’utopia e perché la Pace sia una realtà.